Abbiamo visto che in Italia, a grandi linee dal 1929 al 1934, quasi tutti i massimi scrittori dell’epoca si interrogano sugli Stati Uniti, interpretando la società statunitense come un’aberrazione moderna (Evola), un altrove utopico (Pavese), un mondo dalle contraddizioni insanabili (Soldati, Borgese). In questo arco di tempo, invece, quale fu il contributo degli italo-americani alla narrazione americana che loro stessi stavano vivendo?
Quasi tutti gli studiosi dell’emigrazione italiana concordano sul fatto che gli emigrati italiani, seguendo la generale tendenza politica della madrepatria, si spaccarono tra una maggioranza filofascista o comunque nazionalista (gli «orgogliosi») e una minoranza militante di sinistra, sindacalista e solo successivamente antifascista (i «fuoriusciti»). Dato che, come asserisce Luconi,
29 MARAZZI Martino, Little America: gli Stati Uniti e gli scrittori italiani del Novecento, cit., pp. 29 e successive
30 «Alberto Moravia, in tre lunghi articoli usciti tra il 1937 e il 1941, mette in mostra una virulenza antiamericana in sinistra sintonia con l’inasprimento delle relazioni internazionali, e con l’isolamento dell’Italia in seguito alla guerra d’Etiopia», ivi, p. 58.
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nel 1930 ben «4.546.877 individui di ascendenza italiana vivevano negli Stati Uniti»,31 la lotta politica
nelle «colonie» non era affatto un evento irrilevante.
Il fascismo spadroneggiò nelle comunità italiane approfittando sia del fascino esercitato da Mussolini sul pubblico americano, sia della connivenza degli enti di informazione italofoni: sempre secondo Luconi, «80 giornali italo-americani su un totale di 129 erano more or less fascist nel 1940»,32
e lasciava carta bianca alla penetrazione della propaganda fascista tra le sue colonne.
All’epoca, il mercato giornalistico era stato monopolizzato da Generoso Pope (1891-1950), un italo-americano col fiuto per gli affari che si era buttato sul mondo dell’informazione per ricavare ingenti profitti attraverso le pubblicità. Costui controllava Il Progresso Italo-Americano, giornale più letto di tutta l’Unione, e una serie di testate minori che costituivano una vera e propria cordata editoriale. Secondo John Diggins fece scalpore la sua scelta di affiliarsi al fascismo per puro opportunismo economico:
Pope, as the dominant Italian-American publisher in the country, did not go astray but instead accepted the free telegraph service and other special privileges from the Italian government, remaining until 1941 a most dutiful servant of the fascist regime. […] One of their favourite themes were the similarities between the institutions of the United States and those of Italy.33
Diggins sostiene inoltre che, verosimilmente fino agli accordi di Monaco del 1938, i predicatori del fascismo d’oltreoceano ricevettero chiaramente l’ordine di non compromettere i rapporti con gli Stati Uniti.
Tenere a bada l’anti-americanismo – che in Italia, soprattutto dopo la guerra d’Etiopia, era in crescita – aveva chiari significati politici. Il regime non voleva inimicarsi del tutto la potenza americana, e soprattutto stava cercando di continuare l’opera di fascistizzazione delle colonie approfittando della tolleranza americana verso l’ingerenza della propaganda di Mussolini. Per tutto il decennio, i fascisti stimolarono l’orgoglio nazionale degli emigrati per trasformarli in una vera e propria «quinta colonna» dentro la democrazia americana, ma gli ingenti sforzi del regime non furono ripagati da risultati altrettanto fruttuosi. Diggins lo spiega con le cifre:
taking four and a half million as the approximate population of Italian-American in 1940, these hopelessly diverse estimates range from 10000 Blackshirts on the
31 LUCONI Stefano, La diplomazia parallela: il regime fascista e la mobilitazione politica degli italo-americani, cit., p. 35. 32 Ivi, p. 67.
113 one hand to somewhere between 225000 and 450000 all-out Fascists on the
other.34
Insomma, solo una minoranza di emigrati fu attivamente coinvolta nelle attività del regime, mentre la maggioranza si limitò a una generale approvazione dell’operato di Mussolini. Queste difficoltà di penetrazione del fascismo, tuttavia, non impedirono scontri sanguinosi tra «orgogliosi» e «fuoriusciti», che terminavano molto spesso con omicidi e denunce.
I fascisti sostenuti dal regime si trovarono infatti a dover fronteggiare un’agguerrita minoranza di origine sindacale che, sin dalla fine dell’Ottocento, si era organizzata in modo brillante e aveva sperimentato per decenni le migliori tecniche di resistenza armata grazie agli scioperi e ai picchetti aziendali.
La propensione alla violenza, che dunque proveniva da entrambe le fazioni coinvolte nello scontro, portò ad episodi ancora poco noti in Italia, ma molto vivi nell’immaginario collettivo delle colonie italiane all’estero. Uno dei momenti di massima tensione tra fascisti e antifascisti si ebbe relativamente presto, nel 1926, quando i funerali di Rodolfo Valentino (icona italiana di New York) si trasformarono in pretesto per lo scontro politico. I fascisti, infatti, cercarono di strumentalizzare la sua personalità ricoprendo la bara con un tricolore e un fascio nero; a quel punto, i sindacalisti e gli estremisti di sinistra scatenarono dei tafferugli che macchiarono la memoria del defunto e vennero aspramente criticati da tutti i giornali dell’epoca.
La resistenza di sinistra, dunque, non ebbe paura di affrontare i fascisti anche sul piano della violenza. Nel corso della ricerca abbiamo già fatto i conti con alcuni vivaci esponenti del sindacalismo italiano in America, come Arturo Giovannitti; le loro fila si arricchirono poi di esuli perseguitati dal regime, come Armando Borghi, Enea Sormenti, Arturo Labriola, Giuseppe Antonio Borgese e Gaetano Salvemini.
La propaganda di regime si trovò dunque una fastidiosa spina nel fianco, perché l’instancabile azione di questi oppositori (abituati a fare proselitismo tra gli emigrati) si faceva sentire in ogni angolo dell’Unione. Sebbene la resistenza antifascista fosse isolata e nelle migliori situazioni poco coordinata, nel corso del decennio sarebbe cresciuta notevolmente, accogliendo un numero sempre più alto di personalità importanti e di emigrati ormai sfiduciati dal regime.
L’uomo più importante del fronte antifascista, una vera e propria celebrità, a quel tempo, fu l’anarchico Carlo Tresca. Secondo Diggins,
114 rebels like Tresca are too rare in history. A freedom fighter who possessed all the
virtues of political engagement without the vices of ideological commitment, he commanded the enduring admiration of American intellectuals of all stripes.35
Carlo Tresca fu senza dubbio l’eroe della resistenza antifascista americana e l’esponente più famoso di quella borghesia che si sentiva accomunata dalla critica al fascismo. Intellettuale eclettico, dedicò gli ultimi periodi della sua vita ad una lotta senza quartiere, ingaggiata nelle strade e nelle colonne dei quotidiani; inoltre, scrisse una commedia intitolata Attentato a Mussolini che scandalizzò l’opinione pubblica americana e venne censurata in Italia.
La sua Autobiography, rimasta incompiuta nel 1943, dà l’idea dell’importanza di questo personaggio nel panorama politico americano. Tresca era rispettato da tutti e in un’edizione del “New York Times” venne inserito tra le dodici personalità di spicco del decennio, in compagnia di icone dell’Occidente come Freud e Einstein. Egli era dotato di un carisma e di un’autorità che erano capaci di mettere d’accordo tutti: non a caso, durante la seconda guerra mondiale, riuscì nell’impresa riunire tutte le fazioni politiche antifasciste sotto un’unica voce, per portare all’orecchio dell’America la protesta contro il regime di Mussolini.
Uomo coraggioso, idealista e sincero, Tresca avrebbe pagato con la vita tutte le sue instancabili azioni contro il fascismo; fu ammazzato a New York in una fredda notte di dicembre del 1943, in circostanze mai del tutto chiarite. Anche se la polizia cittadina non riuscì mai a individuare un colpevole, per molti cronisti dell’epoca fu fin troppo semplice individuare nel governo italiano il mandante dell’omicidio.
Quale fu, dunque, la portata dell’antifascismo in America?
Tutti gli studiosi concordano nell’affermare che la resistenza antifascista degli italiani in America fu faccenda di un manipolo di intellettuali, e del loro piccolo seguito di lettori. Questo sostanziale flop dell’antifascismo fu determinato da molte congiunture.
Innanzitutto, la stampa italofona era in mano al regime, e l’unico giornale di una certa importanza che offrì le proprie colonne agli antifascisti fu “Il Congresso” di San Francisco, diretto da Carmelo Zito. Non dobbiamo poi dimenticare che l’opinione pubblica americana non mise praticamente mai in discussione il prestigio di Mussolini, che fino al 1938 rimase il politico europeo maggiormente apprezzato negli States. Infine, l’antifascismo non riuscì a raccogliere consensi perché agì in ritardo rispetto al fascismo, che aveva imposto la propria ideologia con arguzia e intelligenza. Salvemini analizzò lucidamente la sconfitta dell’antifascismo: secondo lo storico, il
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fascismo era riuscito a diffondere l’idea che essere fascisti significasse amare l’Italia, ed essere antifascisti significasse, invece, odiare la propria nazione. A causa di questo ragionamento, gli intellettuali dissidenti non riuscirono mai a rendere popolari le proprie posizioni.
Da un punto di vista politico e letterario, il miglior risultato raggiunto dall’antifascismo America fu la creazione della Mazzini Society (24 settembre 1939), un’associazione voluta fortemente da Salvemini con lo scopo di radunare tutte le opposizioni al fascismo. Essa assomiglia molto, per composizione e idee espresse, al Comitato di Liberazione Nazionale, che proprio in quegli anni cominciava a prendere forma: troviamo infatti liberali (il conte Carlo Sforza), socialisti (Gaetano Salvemini), anarchici (Carlo Tresca), comunisti (Max Salvadori) e via discorrendo, tutti uniti nell’unanime critica al brutale regime fascista.
La Mazzini Society si dotò di un proprio periodico, il Mazzini News, che uscì sotto forma di bollettino fino al 1942. Gli articoli in esso contenuti hanno un piglio piuttosto battagliero, e toccano argomenti molto distanti tra loro: dalle beghe interne alla società italo-americana sino alla critica feroce a Generoso Pope, il magnate dell’editoria compromesso col regime; dalle critiche al fascismo sino alle nuove proposte degli antifascisti, che cercavano di far vedere all’opinione pubblica americana l’esistenza di una minoranza irriducibile pronta a costruire un nuovo paese dopo il crollo del regime.
Il Mazzini News ebbe ovviamente una tiratura molto ridotta, e quasi tutti i costi della pubblicazione vennero coperti dagli autori. Eppure, alcuni interventi sono davvero degni di nota perché danno il senso di un momento storico estremamente difficile: quello del tramonto del regime.
Data la partecipazione di intellettuali di spicco (Borgese, Poggioli, Tarchiani), il Mazzini
News divenne un giornale politicamente molto denso e si prefiggeva lo scopo di smascherare il
fascismo e le sue bugie sull’America. A noi questo periodico non interessa tanto per le valutazioni storiche dei suoi scrittori o per l’impostazione ideologica di quella che era ormai divenuta una vera e propria resistenza partigiana al fascismo; a noi interessa perché attraverso le parole di Salvemini e degli altri collaboratori possiamo ricostruire uno stadio ulteriore del mito americano, quello che sarebbe crollato assieme alla disfatta fascista dell’8 settembre 1943. Nel bollettino numero 10, datato 13 aprile 1941, leggiamo:
l’America è descritta con un 40% di ebrei con l’ambizione di conquistare il mondo, il popolo americano è protestante, ruba-soldi, troppo codardo per combattere. La propaganda ha effetto perché dice agli italiani che tutti amerebbero la pace e la vittoria ad eccezione degli americani i quali pensano di
116 combattere senza volontà, di aiutare l’Inghilterra per prolungare la guerra e
arricchirsi.36
Nonostante «i nostri pochi lettori», il “Mazzini News” si impegnò in una nobile battaglia per la demistificazione delle idee tenacemente diffuse dal regime fascista; attaccando Generoso Pope, che coi suoi giornali favoriva l’adesione al fascismo, gli antifascisti dimostrano una grande cognizione di causa:
anno dopo anno, i prominenti senza scrupolo e i propagandisti venduti hanno abbindolato gli italo-americani nel far credere che Hitler e i suoi satelliti avevano ragione. Come risultato, gli italo-americani hanno conquistato la reputazione di esser un gruppo non americano e hanno sofferto una discriminazione di cui soltanto il signor Pope e i suoi simili sono stati responsabili.37
Il manipolo di antifascisti riunito lungo la costa orientale degli States lavorò sempre in funzione della situazione politica italiana, ereditando, in un certo senso, l’attitudine politica che era stata propria della sinistra italo-americana. Sin dai tempi di Gaetano Bresci, infatti, la sinistra espatriata aveva considerato gli Stati Uniti come un rifugio temporaneo dove preparare la rivoluzione; allo stesso modo, le forze politiche radunate sotto la Mazzini Society si ispiravano ai vecchi ideali del Risorgimento per sperare in una decisiva rifondazione della società italiana.
Tra l’autobiografia di Carlo Tresca, le lettere americane di Salvemini e le informazioni della
Mazzini Society, è possibile rintracciare la febbrile attività di questo manipolo di antifascisti, che
rimasero compatti almeno fino all’omicidio di Tresca nel 1943. Il loro organo di stampa, il “Mazzini News”, per quanto poco diffuso e poco letto rimase in circolazione dalla fine del 1939 fino quasi al 1942, lo stesso periodo di tempo in cui il mito americano e l’ideologia fascista si scambiavano le ultime stoccate in Italia. Nel 1939, infatti, Emilio Cecchi avrebbe pubblicato il caustico America
amara, testo che fisserà per lungo tempo una certa immagine dell’America nella nostra opinione
pubblica; nello stesso periodo di tempo, Vittorini andava curando la silloge Americana e Moravia si faceva portavoce dell’anti-americanismo coi suoi articoli apparsi su “La Repubblica”. A buon diritto, si può affermare che i bollettini dell’antifascismo americano siano stati l’ultimo valido contributo delle colonie italo-americane alla riflessione attorno al mito degli Stati Uniti. Come vedremo nel prossimo capitolo, infatti, la comunità italo-americana aveva ridotto di molto i propri contributi letterari e stava affrontando una difficile crisi identitaria.
36 MERCURI Lamberto, Mazzini News. L’organo della Mazzini Society (1941-42), Foggia, Bastogi, 1990, p. 58 37 Ivi, p. 62.
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