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Stando alle stime di Tirabassi e Audenino,86 tra il 1870 e il 1910 circa 55 milioni di europei

si stabilirono nei territori americani: la maggior parte dei new immigrants proveniva dalle zone mediterranee (italiani, spagnoli, slavi) e dall’Europa orientale (polacchi, romeni, bulgari, armeni). Il fenomeno cominciò a cavallo della grande crisi economica del 1873 e si affievolì in maniera decisiva poco prima della Grande Guerra, arrivando alla chiusura definitiva della frontiera solamente nel 1924, quando il celeberrimo Immigration Act stabilì delle irrisorie quote d’ingresso per ogni paese convolto nella rotta migratoria tra le due sponde dell’Atlantico (ad esempio, cinquemila partenze l’anno riservate al nostro Paese, laddove quindici anni prima ve n’erano state trenta volte tanto).

Per quanto riguarda l’Italia, si stima che dal 1880 al 1910 circa due milioni e mezzo di italiani lasciarono la loro terra per gli Stati Uniti.87 I motivi di fondo erano più o meno sempre gli stessi: la

fuga dalla miseria italiana, la speranza di un riscatto sociale, il desiderio di toccare con mano una

85 FRANZINA Emilio. Dall’Arcadia in America. Attività letteraria ed emigrazione (1850–1940), cit., p. 91 e successive. 86 AUDENINO Patrizia, TIRABASSI Maddalena, Migrazioni italiane: storia e storie dall'ancien régime a oggi, cit. 87 BERTONE Giorgio. La patria in piroscafo. Sull’Oceano di Edmondo De Amicis, cit., p. 16.

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società senza classi, fatta vagheggiare dagli agenti delle compagnie di navigazione, che spesso aggiungevano connotati fantasiosi al Nuovo Mondo.

Il mito italiano dell’America produsse risultati impressionanti: spinti dal desiderio di riscatto personale e dal fascino degli Stati Uniti, intorno al 1940, gli italo-americani arrivarono a non meno di quattro milioni di individui, tra emigrati di prima generazione e discendenti di seconda e terza.88

Si tratta di una percentuale considerevole della popolazione americana, che divenne decisiva in alcune città come New York (dove è ancora viva la tradizione di eleggere un sindaco di origini italiane, da Fiorello la Guardia in poi) e San Francisco (che fu il capolinea della nostra emigrazione, ed ebbe moltissimi giornali in lingua italiana fino al 1940). Il picco emigratorio si ebbe nel 1906, con oltre trecentomila approdi a Ellis Island in meno di dodici mesi.89

Occorre tenere ben presenti questi dati per comprendere quanto sia stata influente e determinante la comunità italo-americana nei rapporti tra i due paesi. Dalla Statua della Libertà al Golden Gate, gli emigrati italiani vissero sulla loro pelle il mito americano e contribuirono, assieme alla letteratura e al cinema, alla sua fisionomia nel panorama culturale italiano.

Un mito variopinto, complesso, trasversale, che ha interessato in modi e tempi diversi tutta la società italiana. Sebbene i primi a coltivare un piccolo sogno americano fossero gli esuli risorgimentali (Garibaldi docet, con la sua permanenza a New York nel 1850), è grazie ai ceti popolari e alla loro volontà d’evasione che l’America (e in particolare gli Stati Uniti) irruppe nella nostra cultura. Attraverso una narrazione sfuggente, molto spesso orale e ormai irrecuperabile, troviamo quell’America Terra Promessa che è terra ambigua, capace di dare e togliere tutto nel giro di un secondo. È terra del trionfo di una modernità che spesso spaventa poiché non è totalmente comprensibile, ma che offre a tutti un riscatto; un Eden industriale dove a tutti è data una seconda

chance, ma allo stesso tempo una città di Dite, un mostro antropofago che risucchia le energie

migliori dello Stato nazionale fresco di unificazione.

La fine dell’Ottocento ci consegna dunque un mito non solo radicato, ma anche complesso e stratificato a livello sociale, che vive una lunga fase di gestazione che parte dal periodo risorgimentale pre-unitario e arriva sino alle prime, decise prese di posizione della cultura ufficiale tanto nei confronti degli Stati Uniti quanto nei confronti dell’emigrazione ad essi relativa.

Come abbiamo visto, il mito nasce nei circoli liberali, dove, riprendendo le parole di Ambra Meda, «gli intellettuali cominciano a guardare all’America come a un approdo possibile, una sorta di

88 LUCONI Stefano, La diplomazia parallela: il regime fascista e la mobilitazione politica degli italo-americani, Milano, FrancoAngeli, 2000, p. 132.

89 Ancora statistiche di AUDENINO Patrizia, TIRABASSI Maddalena, Migrazioni italiane: storia e storie dall'ancien régime

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rifugio delle libertà precluse in patria dal ritorno dell’assolutismo»;90 dopo una flessione

dell’interesse verso l’America nel periodo post-unitario, l’attenzione italiana verso gli Stati Uniti cresce in maniera costante e si radica profondamente nella cultura popolare e dotta.

Un mito trasversale e interclassista, dunque, è quello che pervade l’Italia di fine Ottocento. Seguendo i ragionamenti di De Amicis, scopriamo che, per le fasce subalterne della popolazione, l’America rappresenta un Eden, un paradiso terrestre dove il contadino vessato da obblighi assurdi può ritrovare la propria dignità, e il pastore sfuggire ai rigidi inverni e alla sua vita semiselvaggia.

Tuttavia, grazie a Ventura e soprattutto a Fontana, scopriamo che la stessa America Terra Promessa è una civiltà antropofaga, terrificante, che divora chi non è capace di adattarsi in fretta al selvaggio darwinismo sociale che regola gli Stati Uniti. Alle voci degli intellettuali si aggiungono quelle dei politici e dei proprietari terrieri, che vedono nell’America un pericoloso sogno d’evasione che rischia di spopolare le campagne e di vanificare la difficile unificazione nazionale con una crisi demografica senza precedenti. Canzoni popolari, almanacchi e letteratura di consumo, resoconti orali e lettere dei parenti lontani concorrono a completare questo puzzle complesso che continuiamo a chiamare mito italiano dell’America.

Ed è possibile, alla luce di tutte le testimonianze che abbiamo richiamato, stabilire gli elementi fondamentali di questo complesso mito culturale italiano, che si affaccia al Novecento con una stratificazione davvero sorprendente.

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Capitolo 2 –

IL PROIETTILE, IL NIDO, LA PAURA ROSSA

City without history and without legends, City without scaffolds and without monuments, Ruinless, shrineless, gateless, open to all wayfarers, To all the carriers of dreams, to all the burden bearers, To all the seekers for bread and power and forbidden ken; City of the Common Men

Who work and eat and breed, without any other ambitions, O Incorruptible Force, o Reality without visions,

What is between you and me?

Arturo Giovannitti, New York and I, Collected Poems, 1960.

Finora ci siamo soffermati sulle origini del mito americano, indissolubilmente legate a un valore politico di base (quello liberal-risorgimentale) e a un forte carattere popolare (quello forgiato dalla Grande Migrazione); per tutta la seconda metà dell’Ottocento esso deve essere inteso come sogno d’evasione, come altrove inafferrabile che poi, a contatto con la realtà, tende a dissolversi in un realismo difficile da comprendere per i nostri connazionali, intellettuali o analfabeti che siano. Abbiamo dunque individuato il nocciolo duro del mito americano, che sin dalla sua formazione non smarrì mai il proprio carattere ambiguo, basato su coppie antinomiche: utopia- distopia, Eden-Dite, o, per dirla con Marazzi, «attrazione-repulsione». Abbiamo poi disquisito sulle ansie identitarie degli emigrati, che davanti all’ostacolo linguistico e culturale degli americani WASP si sono rifugiati nell’idealizzazione della terra d’origine, ridotta molte volte a un idillio del tutto slegato dalla realtà; ma abbiamo anche notato, praticamente a ogni pagina, quanto fosse potente e capillarmente diffuso il mito rappresentato dagli Stati Uniti come terra vergine, per tutti, senza classismo e ricca di opportunità, esemplificato una volta per tutte dalle fantastiche descrizioni sulla California, l’Eldorado per antonomasia alla fine del XIX secolo.

Con l’inizio del Novecento, le testimonianze scritte – da parte di intellettuali famosi e non, ma anche di improvvisati memorialisti d’oltreoceano – cominciano a diventare sempre più numerose. Il mito popolare legato agli Stati Uniti d’America comincia a perdere il proprio tratto distintivo, ossia la narrazione visuale-orale, e assume connotati più precisi attraverso la scrittura.

Ai fini della nostra ricerca, infatti, il primo quarto del XX secolo deve essere visto come un prodromo fondamentale al successivo ventennio fascista. In quest’arco di tempo, che si apre

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idealmente con l’assassinio di Umberto I a Imola (29 luglio 1900) e si chiude con la ratifica dell’Immigration Act da parte del Congresso (26 maggio 1924), i rapporti tra Italia e Stati Uniti assunsero una corposità senza precedenti, plasmando ulteriormente quel mito italiano dell’America che tanto era stato importante per l’avvio della Grande Migrazione.

Non possiamo infatti comprendere i rapporti del regime fascista con gli Stati Uniti – da un punto di vista ideologico, culturale e politico – se non consideriamo questo importantissimo retroterra storico: attraversando alcuni eventi capitali come la Grande Guerra e la Paura Rossa, viaggeremo nelle acque agitate dei primi venticinque anni del Novecento cercando di capire in che stato si presentasse il mito italiano dell’America all’alba della fascistizzazione della penisola.

Da un punto di vista metodologico, dunque, si è scelto di proseguire per date-simbolo, cercando di restituire uno spaccato efficace dei rapporti tra Italia e Stati Uniti, delle condizioni della «colonia» in America, e del mito in sé. Dopotutto, queste tre variabili si influenzano a vicenda e non è possibile escludere anche una sola tra storia, letteratura e politica; nei prossimi paragrafi, dunque, oscilleremo con attenzione tra questi tre versanti della ricerca, cercando di tenere ben saldo il timone della nostra navigazione scientifica e culturale. Ci siamo lasciati alle spalle un ideale triangolo mitologico il quale, alla fine dell’Ottocento, doveva la sua esistenza in massima parte alla società italiana di partenza, con contributi minimi da parte degli Stati Uniti e delle neonate comunità all’estero. Come vedremo, nel 1924 il triangolo da noi disegnato subirà notevoli modifiche, e soprattutto estenderà la propria superficie.