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Un futurista a New York Prosa sperimentale e impressioni di Depero

Fortunato Depero partì alla volta dell’America il 29 settembre 1928, imbarcandosi, come tanti altri, dal porto di Genova. Così lo salutò un giornale locale:

pittore, architetto, scenografo, decoratore principe, Fortunato Depero, anzi il “Mago Depero” parte oggi con “L’Augustus” per l’America del Nord, dove si reca a organizzare una serie di esposizioni della sua arte audace, sintetica, potente, ultramoderna. Siamo certi che egli conquisterà di colpo i mercati artistici del nuovo mondo dove la sua produzione è già conosciuta, seguita e ammirata. Il “Giornale di Genova” saluta col suo più sincero e fervido augurio di meritata fortuna questo genuino rappresentante italiano, il quale passa l’oceano spinto dal desiderio di propagandare i nuovi valori artistici della nazione.3

La nostra lunga teoria di scrittori comincia dunque con un artista poliedrico, che partito pochi mesi prima del tracollo finanziario del 1929 si reca negli Stati Uniti inseguendo una vera e propria chimera dei nostri intellettuali: la possibilità di fare una rapida fortuna grazie ai propri meriti culturali.

La sua prosa, molto spesso bozzettistica, riusciamo a trovare un fondamentale punto di snodo tra le considerazioni sul mito americano di epoca pre-fascista e quelle dominate dall’influenza ideologica del regime.

Il suo modello è evidentemente quello del reportage tardo-ottocentesco, basato soprattutto sull’esperienza sudamericana di De Amicis ma anche sulle descrizioni cittadine di Fontana, di cui abbiamo avuto modo di parlare approfonditamente. Depero, infatti, comincia la sua descrizione di New York dal porto di Genova, ricalcando così il modello di Sull’Oceano; si mantiene fedele al De Amicis narrando del grande transatlantico Augustus, ritenuto un prodigio tecnico ma allo stesso tempo un mostro di metallo, un agghiacciante cetaceo artificiale. Sull’Oceano è uscito nel 1889; a separarlo dall’avventura americana di Depero ci sono la Grande Guerra e tutti gli anni Venti, eppure l’impostazione stilistica rimane la stessa:

salgo a bordo per una scaletta ballonzolante. Entro nel palazzo metallico: corsie strette, pulitissime; cabine anguste arieggiate da ventilatori e aspiratori confortevoli. Lavatura recentissima. […] Acqua azzurra nel cielo; cielo celeste nel mare. Nello spazio effervescenza brulicante di atomi solari che elettrizzano con gaudio. Ancora un ultimo fazzoletto ostinatamente batte le sue ali affettuose. È

125 quello di Benvenuto Ottolenghi. Mi affretto a togliere il mio e a ricambiare i

bianchi saluti svolazzanti.4

Si ha l’impressione di ritrovare la prosa di De Amicis, appena aggiornata dall’esperienza futurista che ha «elettrizzato» la descrizione dandole un tocco più moderno. Questo breve brano, che è in realtà un episodio che permette all’autore di menzionare il suo finanziatore, l’autore ci fa capire di essere ancora legato alle forme stilistiche e strutturali dei periodi precedenti.

La prosa di Depero sa anche essere tronfia, esageratamente ricca, volutamente provocatoria. Tic linguistici si alternano a corpi fonici privi di significato; citazioni in inglese emergono improvvisamente quasi fossero protagoniste di un flusso di coscienza irrefrenabile. Non alla descrizione tradizionale, ma alla costruzione linguistica Depero lascia il compito di parlare di New York: egli ci lascia delle impressioni stralunate di quella che chiama «supermetropoli», e che è il simbolo migliore dell’America:

da un taglio sbilenco di logori tendaggi scoloriti, una finta truccata ballerina araba ruota oscenamente il suo ventre pitturato. Un falso cieco suonatore di armonica le sta accovacciato vicino.

Iéé rorari rirorero Iéé rorari rirorero Iéé rorari rirorero.5

Depero intende qui restituirci l’atmosfera allucinata di una compagnia di saltimbanco che si è stabilita nella «giungla urbana» di New York. Egli descrive tutti i personaggi attraverso onomatopee che rimandano ovviamente, ai primi esperimenti di Marinetti.

Dal 1929 al 1930, l’autore scrive freneticamente, approfittando di tutti i ritagli di tempo ricavati dalla sua attività artistico-grafica. L’autore pensa, probabilmente sin dal suo arrivo a New York, alla pubblicazione di un volume costoso, e proprio per questo motivo cerca di uniformare tutti gli appunti, anche i più estemporanei, alle sue precise volontà editoriali.6 In città frequenta i

migliori circoli italiani, conosce Mario Soldati e riempie i suoi taccuini di scene dal sapore teatrale. In linea con la tradizione intellettuale italiana, Depero si concede qualche descrizione non proprio entusiasmante degli emigrati stabilitisi a New York:

4 Ivi, p. 11. 5 Ivi, p. 184.

6 Claudia Salaris, che ha curato la pubblicazione del volume preso in riferimento, ha trovato una serie di appunti preparatori che testimoniano questa intenzione di Depero. Molto probabilmente l’autore aveva già maturato l’idea di un unico volume da pubblicare alla fine del viaggio.

126 gente stanca, delusa, che parte e che arriva, vi sosta come sotto una

provvidenziale grondaia durante l’acquazzone della vita nomade. Poppanti, scugnizzi, vecchi, vedove e madri cariche di fagotti e di bimbi. Spettinate, con gli occhi smarriti e il disordine addosso, vestite di dolore e di stanchezza.7

Sarà solo il primo di una lunga lista di viaggiatori con un complicato rapporto verso gli italo-americani. Scrive Francesco Durante:

è particolarmente rivelatrice di questa sostanziale incomunicabilità la relazione dei nostri scrittori allorché capita loro di doversi confrontare con il piccolo mondo ancora «coloniale» dei nostri emigrati. Mario Soldati ne è irritato, infastidito; dallo stucchevole bozzettismo di tutto, dagli spaghetti ai dialetti alle canzoni, brutte copie di una radice autentica naufragata nell’allegria degli americani. […] L’incontro coi vecchi contadini del Sud, lungi dal suggerire almeno la elementare considerazione che quella gente «ha fatto l’America» ed è entrata nella storia soltanto perché ha avuto il coraggio di fuggire a gambe levate dal rigido classismo della matrepatria, è un’occasione mancata, l’ennesima prova di elitismo della nostra cultura, e la riproposizione di un genere – la satira contro i villani – vecchio di settecento anni.8

Depero, involontariamente, si pone come capofila di una dura requisitoria verso gli emigrati italiani che sarà tra le costanti del mito americano nel corso del decennio.

Senza dubbio, l’esperienza artistica del nostro autore fu irrimediabilmente viziata dalla crisi economica, che obbligò Depero, come abbiamo visto, a rientrare in patria piuttosto frettolosamente. Quando tornò a Genova, il 22 ottobre 1930, l’autore aveva con sé due documenti significativi, raccolti da Claudia Salaris in tempi piuttosto recenti. Il primo è un foglio manoscritto che testimonia l’intenzione (mai portata a termine) di creare un corpus unico per tutte le sue riflessioni sull’America. La chiara calligrafia di Depero dice:

NEW-YORK NUOVA BABELE Film vissuto di Fortunato Depero

Volume di circa 300 pagine di testo (piuttosto meno che più) Con 20 fogli di carta patinata per le illustrazioni.

Formato: 16,5 x 24 cm. (se pubblicato senza disco)

7 DEPERO Fortunato. Un futurista a New York, cit., p. 29.

8 DURANTE Francesco, Introduzione a MARAZZI Martino, Little America: gli Stati Uniti e gli scrittori italiani del Novecento, cit., p. IV.

127 Formato: 20 x 25 se pubblicato con almeno due dischi.

Prezzo di vendita lire 18 senza disco “ “ lire 20 con disco

Copertina a due colori – sopracopertina che avvolge copertine in carta patinata con dinamico fotomontage.

Copie 1000 o 2000.9

Artista veramente poliedrico, Depero voleva costruire un innovativo prodotto editoriale a tre dimensioni, alternando la lettura con l’arte figurativa e la musica: durante il suo soggiorno newyorkese, infatti, l’autore aveva prodotto una serie di fotografie, illustrazioni e vinili per ottenere un’esperienza più «rotonda» della vita americana. Purtroppo, questo interessante esperimento editoriale (che Depero chiamava «primo libro parolibero sonoro») non vide mai la luce. Al contrario, Depero dové accontentarsi di una breve nota redatta di suo pugno scritta al ritorno dall’America:

dopo due anni a New-York (due anni nell’inferno dei vivi) babele internazionale – cannibalismo – cinismo – pugnalate di gomiti – farsi avanti per forza – raggiungere dollari, dollari, dollari morire scoppiare indigestione di dollari (non importa) pittore Depero ritorna campione di resistenza.10

Ancora una volta, Depero si dimostra capofila di un atteggiamento non infrequente negli intellettuali di epoca fascista. Dopo aver raggiunto gli Stati Uniti con un carico di aspettative e scetticismo, torna in patria senza i soldi facili che aveva sperato di guadagnare e si definisce «campione di resistenza» per essere riuscito a sopravvivere alle sirene ammaliatrici del mito americano, che dopo la crisi del 1929 rivelava tutta la sua pericolosità. Riesce infatti a mantenersi autonomo nel complicato labirinto urbano di New York, e nonostante il fascino indiscusso che la metropoli esercita su di lui l’esperienza finisce in maniera sostanzialmente negativa, con l’impressione che l’aberrante società americana non possa essere compresa dalle élites europee. Non bisogna poi dimenticare che Depero va considerato un outsider della letteratura, poiché la sua formazione fu principalmente artistica e raramente lo si vide a contatto coi circoli di Firenze e Milano, le città più attive da un punto di vista culturale. Proprio questa sua scrittura inusuale, a metà tra le innovazioni futuriste e i ricordi della prosa di De Amicis, ci fornisce un punto di vista originale che apre la nostra lunga serie di scrittori.

9 Ivi, p. 221. 10 Ivi, p. 205.

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