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2.2 Da persone a personagg

2.2.1 Pino Mas

2.2.1.1 La doppia natura di Pino Mas

Nel raccontarlo nel suo memoir, Renzo Lulli aveva avuto una sorta di pudore e di attenzione nei suoi confronti. Parlando poi sia con Fabio Gismondi, sia con Renzo Lulli, sia con lo stesso Pino Masi nella fase di ricerca e interviste, sono emerse invece alcune sfaccettature che ci sono sembrate fondamentali per il racconto del film.

Da un lato, si doveva tener conto del problema che Lulli non aveva voglia raccontare alcune vicende personali e delicate di Masi. E poi c’era la stessa complessità del contesto storico, considerato che Lulli dava per scontata la figura artistica e pubblica del Masi. Infatti, nel soggetto il suo personaggio era solo abbozzato, mentre si trova definito come il Maestro, il grande cantante che girava per tutte le feste dell'Unità, ma poco di più.

Forse Lulli, che lo conosceva così bene, aveva da un lato paura di ferirlo accennando ai suoi aspetti più controversi, e da un altro dava per scontata la sua fama, e cioè dava per scontato che i suoi amici e la gente che militava a quel tempo (non a caso gli spettatori più frequenti dei suoi racconti a voce dell’episodio) lo conoscesse così bene che ogni tipo d’introduzione o

spiegazione fosse un surplus. Chiunque, insomma, sentendo il nome “Pino Masi” avrebbe capito di chi si stava parlando. Oggi, però, sono pochi quelli che conoscono Pino Masi, e soprattutto sono in pochissimi a conoscere alcuni suoi tratti personali centrali per capire alcuni passaggi di questo o quell’altro aneddoto e della psicologia meno scontata del personaggio.

Essendo Masi il motore della storia, il “destinatore”, secondo lo schema di Greimas, doveva portarsi addosso sia la forza carismatica per essere protagonista e catalizzatore narrativo, sia l’infamia e il peso della risata, anche irriverente, per lo sbaglio commesso e per l’equivoco generato.

Torneremo a discutere su questo punto nel capitolo dedicato alla comicità. Ma è già lampante adesso che, se questo film si può considerare una commedia, è perché presenta la storia di un equivoco, e gli equivoci sono uno dei maggiori strumenti narrativi della comicità. Chi si porta sulle spalle questo equivoco è prima di tutti Masi: è stato lui in persona a convincere al tempo gli altri due protagonisti, e deve essere lui a convincere lo spettatore della sua “paranoia ragionevole” che è, poi, il motore primario della narrazione.

Quindi era il personaggio più delicato e lo dimostra lo stesso fatto che è stato così anche in fase di casting: non è stato facile riuscire a trovare un attore che recitasse questa ambiguità (di essere il leader, il più grande, il più forte del gruppo ma al tempo stesso il più debole, lo sbeffeggiato, l’elemento comico).

E non è una contraddizione che Lulli sia il punto di vista e Masi il personaggio principale: è uno schema narrativo consolidato e naturale. Quando, in una struttura narrativa, hai una personalità molto preponderante e sfaccettata, ti serve un punto di vista esterno per raccontarla bene, da

un’angolatura funzionale. Ecco, anche a noi serviva qualcuno che potesse, con il suo sguardo, fare da filtro all’ambiguità di un leader forte, dalla personalità trascinante, e allo stesso tempo il personaggio che cade, più di ogni altro, vittima dell’equivoco, quello che verrà preso in giro più di tutti, colui che non vede e non capisce la realtà – e poi di nuovo (con un ultimo ribaltamento alla fine del film) del preveggente: in effetti in Italia un colpo di stato non è accaduto per un soffio e quindi Masi è anche un po’ profeta visto che lo aveva in qualche modo vaticinato.

Insomma definire il personaggio Masi era il compito più difficile. Per questo in sceneggiatura abbiamo pensato a dare sfumature e a voler ispessire il suo carattere, la sua personalità.

Per prima cosa, all’inizio della storia, nel momento in cui riceve le notizie sulla possibilità del colpo di stato, gli abbiamo attribuito un atteggiamento dubitativo, più prudente addirittura di quello che c’è stato nella realtà dei fatti. È un paradosso, ma succede spesso nella scrittura di un copione: le cose vere sono più inverosimili di quelle inventate. Masi, infatti, non aveva mai pronunciato questa battuta che abbiamo inserito in sceneggiatura:

No, compagni, l’unica soluzione è andare verso la frontiera. Ci

mettiamo in un bar a 500 metri dal confine se vediamo movimenti di militari se alla radio dicono qualcosa... siamo fuori in un minuto.64

                                                                                                                64 Cfr. Appendice: Sceneggiatura, Sc. 10.

Masi, nel soggetto del memoir di Lulli e nella realtà, ha proposto subito, d’acchito, di scappare oltre confine.

Questa esitazione che gli abbiamo conferito è servita a creare una progressione drammaturgica che coinvolgesse lo spettatore un po’ alla volta e rendesse più credibile l’intera vicenda. Lo spettatore, cioè, non doveva trovarsi proiettato immediatamente in una dimensione inverosimile, ma doveva arrivarci gradualmente, avvertendo, dopo vari “scalini”, che il passaggio narrativo fondamentale del film – quello di scappare oltre il confine – fosse in prima battuta un’ultima disperata possibilità, poi un’ipotesi ragionevole e infine un’azione necessaria e inevitabile.

La struttura del film, infatti, rassomiglia a quella di un imbuto, in cui il ventaglio di possibilità gradualmente si restringe, e chi porta per mano lo spettatore in questo restringimento di possibilità è, appunto, il Masi.

Uno dei momenti chiave all’inizio della vicenda, in cui la personalità di Masi si afferma, è durante la scena del cascinale, quando deve convincere gli altri due personaggi a partire. Se Gismondi lo segue (ancora) a prescindere, Lulli è quello più resistente, ma allo stesso tempo è il più utile a Masi perché ha lo strumento per conseguire la fuga e cioè una macchina.

Nei suoi confronti, Masi fa in buona fede (in fondo ci crede anche lui) un doppio gioco: cioè fa leva sia sulla paura che si verifichi il colpo di stato, ma anche sul sogno, cioè sul desiderio che Lulli ha di diventare un musicista. Gli prospetta questa fuga come se fosse una potenziale meravigliosa tournée. È grazie a questa capacità di persuasione che convince Lulli, riesce a coagulare il gruppo e conferma di essere leader. È un “costruttore di mondi”, Masi. Ha

una capacità di ribaltamento della realtà, sia quando asseconda le proprie paranoie, sia perché è capace di costruire un mondo altro. È questa la sua forza, ed è in questo che lo potremmo identificare con il destinatore e quindi, in ultima istanza, con l’autore. È in qualche modo chi tesse le fila degli eventi e della trama.

Ulteriori conferme e sfaccettature della sua leadership vengono poco più avanti, alla stazione di servizio. Il momento è quello della divisione dei soldi, per fare benzina.

MASI

Compagno, te fai benzina. Noi ti s’aspetta dentro.

LULLI

Io c’ho duemila lire. Il Masi guarda il Gismondi.

MASI

Te quanto c’hai? GISMONDI

Ottomila.

Il Masi si fa dare i soldi dai due e li unisce ai suoi. MASI

Io nove. Nove e otto diciassette e due diciannove. Quattro per la benzina e cinque a testa.

Il Masi li distribuisce e il Lulli lo guarda stupito.

Siam compagni o no?65

 

Qui Masi si fa tramite, tra l’altro, di una tematica del film cioè del ribaltamento dei valori dagli anni ’70 a oggi. È un aneddoto che non c’è nel

memoir di Lulli ma che ci ha raccontato Pino Masi, parlando di Adriano Sofri.

                                                                                                                65 Cfr. Appendice: Sceneggiatura, Sc. 16.

Questi, a quel tempo, quando lo incontrava, spesso gli chiedeva: “Tu, quanti soldi hai?”: “Tremila lire” – “Io nove. Nove e tre fanno dodici. Ce ne prendiamo sei a testa”. Abbiamo usato questo aneddoto nel copione perché per me e Davide Lantieri questo dialogo andava a raccontare sia una sfaccettatura della personalità di Masi che un aspetto di quel mondo specifico che potremmo chiamare “la sinistra degli anni Settanta”, dove i soldi erano un valore da condividere e ridistribuire. Quello che invece non si doveva condividere era la leadership, il posto che ognuno aveva nella gerarchia.

Infatti, nella stessa sequenza della stazione di servizio c’è un’altra sequenza che riafferma questo paradigma dell’epoca: è la scena del taglio dei capelli, e ancora di più quella del litigio sul diritto del posto davanti in macchina (il capo sta davanti e il subalterno sta dietro). Ci dividiamo i soldi, ma su chi sia il leader non si transige. È un valore fondante di tutta l’area semantica rivoluzionaria: la scala gerarchica che va dal leader di partito, passando dal semplice quadro, per arrivare al militante che dà i volantini.

(È un esempio chiaro di quello che anticipavo prima quando parlavo del tentativo di rimanere attaccati alla spina dorsale della vicenda tentando di trovare, lì, il modo di raccontare altro rispetto a un aneddoto, tutto sommato, minore: usando i rapporti fra i personaggi rispetto ai soldi per la benzina e ai posti in macchina siamo riusciti a raccontare una peculiarità di quel mondo e di quel movimento, senza doverci inventare altre tracce narrative avulse o esterne alla vicenda raccontata da Lulli.)

Uno degli ultimi momenti in cui si avvera nuovamente e in maniera chiara la simbologia del capo avviene nella scena in cui, sfondato il confine, Masi, Gismondi e i gendarmi austriaci sono alla ricerca di Lulli, che è

disperso: è Masi a tenere il megafono in mano per chiamarlo. Dopo che la sua posizione di comando è stata incrinata nella lotta con Gismondi, col quale non ha mai ceduto e ha sempre vinto, ha ripreso qui le sembianze complete del leader e del Destinatore. Ha acettato l’azzardo di sfondare il confine, e in questo momento sembra essere tornato con le redini del gioco (suo e degli altri) in mano. (Addirittura il megafono è in mano sua e non delle guardie austriache che lo stanno portando in carcere.)

2.2.1.2 La caduta

Come ogni parabola del mentore o del leader, arriva la caduta. Le scene in carcere sono, infatti, legate alla perdita irrimediabile di credibilità da parte di Masi. C’è un ultimo momento di ripresa dopo la scena della doccia, ma l'andamento in discesa della parabola ormai è iniziato inesorabile. Si potrebbe fare abbastanza facilmente un diagramma del “fattore credibilità” del Masi. Il picco di questa parabola avviene nella Scena 38:

I tre sono seduti in un cortiletto all’esterno del carcere di Villach. Hanno davanti del caffellatte e un wurstel che mangiano voraci.

LULLI

Com’è bòno sto wurstel. MASI

Mai mangiato così bòno. GISMONDI

Ci dice pure col caffellatte. Pensavo peggio l’Austria.

LULLI

Anche io. Quasi quasi ci si può fermare qui…

MASI

Ora vediamo. Facciamo le prime interviste e poi capiamo dove andare.

GISMONDI

Le interviste? MASI

Ma cosa credete? Sarà scoppiato un casino in tutta Europa. Ora

metteranno un altro ducetto e sarà come il fascismo: tutto il mondo a prenderci per il culo e in Italia zitti e contenti.

Masi attacca un altro morso al suo wurstel. Noi tre saremo tra i pochi a dire come stanno le cose veramente.

LULLI

Come Gramsci. GISMONDI

Suonando però.66

I tre sono convinti che si sia verificato il colpo di stato come avevano previsto, loro si sono salvati, i carabinieri sono stati fermati dalle autorità austriache, sono sicuri di essere in procinto di fare le pratiche per l’espatrio. E’ invece iniziata la parabola discendente del personaggio di Masi (e quindi dell’idea di gruppo che ha determinato): i tre subiscono lo scacco della chiusura in carcere, Masi ha paura di essere spiato, si ricorda che l'Austria è nella NATO, qualcuno viene picchiato fuori della cella e tutti iniziano ad aver paura che saranno torturati.

(Ha un ultimo, illusorio momento di risalita solo dopo aver risolto l'equivoco della doccia.)

                                                                                                                66  Cfr. Appendice: Sceneggiatura, Sc. 38.  

GISMONDI

Ma secondo te cosa ci chiedono all’interrogatorio domani?

MASI

Come facevamo a sapè che c’era il colpo di stato. Chi c’è l’aveva detto.

GISMONDI

E noi che si dice? MASI

Restiamo vaghi, diciamo che si respirava un’aria brutta: i

telegiornali a fà venì paura dei comunisti, polizia ovunque,

fascisti riciclati... e comunque

fate parla’ me.67

Ancora una volta, si ritaglia lo spazio e il ruolo del leader, l’unico capace di interfacciarsi con l’esterno del gruppo.

Ma, a parte questa parentesi, la caduta è un processo irreversibile che

porta Masi all’ultimo gradino della sua credibilità, nel momento in cui si scopre che non è avvenuto alcun colpo di stato e che i tre sono stati accusati di tutta una serie di reati che non hanno commesso. Non è stato il preveggente, non è stato lui il leader che salva se stesso e gli altri, ma ha solo preso un abbaglio, ha fatto una valutazione politica e personale sbagliata. E per non accettare questa realtà c’è, infatti, il massimo del paradosso, del ribaltamento della realtà, da parte di Masi:

MASI

(...) glielo potevi domandare a tuo padre cosa dicono i compagni.

                                                                                                                67  Cfr. Appendice: Sceneggiatura, Sc. 44.  

Magari siamo stati noi, con questo gesto, che non l'abbiamo fatto fare. Dalla dogana avranno avvertito Roma e tutto si è fermato.

Il Masi guarda gli altri due, convincente.

Perché, non potrebbe essere andata così? 68

Anche questa è una battuta che non esisteva nel soggetto di Lulli, che non è stata neanche detta in quel mentre durante il vero episodio, ma che mi ha riferito lo stesso Pino Masi durante l’intervista che gli ho fatto prima di scrivere il copione, quindi quarant'anni dopo quell’episodio. Noi, usandola come se l’avesse detta al tempo, abbiamo in qualche modo creato un altro strumento narrativo ibrido: una battuta che non è stata detta in quel momento, che non era nel soggetto del Lulli, ma che al tempo stesso è stata comunque detta dalla persona reale a cui ci siamo ispirati. Abbiamo insomma retrospettivamente applicato al personaggio di finzione una battuta della persona reale quarant'anni dopo.

Questo feedback fra realtà e finzione è stato fondamentale per dare il massimo della forza alla storia e ai personaggi. Questo mescolamento, come fra vasi comunicanti, ha creato la miscela chimica con le potenzialità migliori. (Ovviamente anche il dialogo sui soldi citato prima rientra in una sottocategoria di questa forma ibrida di adattamento.)

Un altro degli esempi di questo feedback fra realtà e invenzione riguarda sempre il vero Pino Masi che, in effetti, aveva davvero un padre                                                                                                                

fascista ed era stato picchiato insieme alla madre quando era piccolo, e aveva davvero paura di incontrare suo padre. C’è un altro aneddoto divertente che ci ha raccontato un amico dei tre a sua volta raccontato a lui da Adriano Sofri: pare che un giorno il padre di Masi lo avesse trovato nella soffitta nella quale si era rifugiato e che, durante una lite, gli abbia lanciato un vecchio modello di sveglia con un punteruolo che gli si era conficcata nel petto. Masi, correndo all’ospedale, all’altezza del Lungarno, abbia iniziato “a suonare”, perché la sveglia era stata fissata a una certa ora.

Di nuovo siamo di fronte a un altro esempio di come la realtà, per quanto interessante e divertente, non riesca a penetrare nella narrazione cinematografica perché troppo strana.69

Ed è stato grazie a quell’aneddoto che ci è venuta l’idea di un vetro conficcato nel petto del Masi che gli avrebbe procurato la cicatrice sul petto.