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I modelli di riferimento: fra l’eredità della commedia all’italiana e la fascinazione della non-linearità

A Trainspotting ho dedicato anche una parte della tesi di laurea.46 Qui

sostenevo che si tratta di uno dei film modello della stagione del postmoderno degli anni ’90. (Sarà stato anche per questo che sono sempre rimasto affascinato dall’idea di poter percorrere anch’io questo tipo di narrazione.) Alla fine, però, ci siamo alla fine convinti che non avremmo potuto reggere quel tipo di narrazione perché la storia de I primi della lista, per sua natura, era fortemente lineare, con unità di tempo e azione chiare e delineate e, pur essendo un on the road, aveva dei momenti carichi di una forte unità di luogo: il carcere, per esempio, è tutta una zona molto delimitata e compone più di un terzo del film.

La storia dura in tutto una decina di giorni e metà del film si svolge, da quando Lulli esce da casa sua a quando i tre finiscono in carcere, all’incirca in ventiquattro ore. In fondo, si tratta di una sola azione: la fuga dall’Italia all’Austria e le sue premesse e ricadute. Perciò, avevamo evidentemente un problema nello scomporre un tempo e un’azione così circoscritti.

                                                                                                               

46 Quentin Tarantino e Danny Boyle – il cinema postmoderno degli anni novanta. Tesi di laurea in Lettere, Università di Pisa, anno accademico 1998-1999.

Non a caso, Trainspotting racconta un tempo e delle azioni molto rarefatte, quasi come se fosse un continuum temporale che poi è quella percezione che ti dà la droga, di un tempo che si ripete sempre diverso ma sempre uguale, e sempre ricambiabile. In qualche modo ogni scena di quel film era intercambiabile con una diversa.

C’eravamo tanto amati, di contro, si svolge in un tempo che abbraccia

tutta la storia d’Italia, parla di momenti storici completamente diversi l’uno dall’altro: della guerra contro l’occupazione nazifascista, della liberazione dal fascismo, della ricostruzione dell’Italia e del periodo delle speranze, del boom e della disillusione di un sogno. È un arco di storia italiana enorme, lungo quasi trent’anni. E lì, i tre personaggi non sono uniti (oltre che da un inizio e da un’amicizia comune), ma si separano per scelte lavorative, sentimentali, ideologiche e, inizialmente, anche di luogo perché, prima di riunirsi tutti a Roma, ognuno vive in una città diversa e segue un percorso evolutivo individuale. Qui, invece, avevamo una storia che era molto più piccola della storia di C’eravamo tanto amati e in cui i tre personaggi stavano quasi sempre insieme durante il racconto.

Penso che l’idea di inseguire il film scritto da Age, Scarpelli e Scola come modello nascesse da un equivoco, cioè che C’eravamo tanto amati racconta un periodo storico come il nostro, con un tono da commedia simile a quello de I primi della lista. Non ci eravamo accorti, però, che noi non raccontavamo una sequela di eventi storici, noi raccontavamo un episodio molto piccolo e delimitato, non solo nel tempo e nel luogo, ma anche nella tematica – anche l’argomento storico del film aveva una sua unità aristotelica di “tematica” (mi si passi la forzatura). Ce ne siamo accorti per tentativi, dopo brevi esperimenti, che ci allontanavamo e provavamo a espandere la tematica

dentro un orizzonte più ampio (che avremmo potuto intititolare “gli anni ’70”). Abbiamo riflettuto che il cuore di questo episodio non era la lotta studentesca, o il movimento, o il grande sogno, o una nuova concezione della figura femminile, o la repressione, o la lotta al padre-stato – tutto questo era uno sfondo e dava forma a un “contesto” – ma il vero tema centrale del racconto di Lulli era la paura del colpo di stato in quel preciso momento storico.

All’inizio abbiamo avuto paura che non fosse abbastanza importante (credo sia una sindrome abbastanza ricorrente sia per gli esordi, che per le prime tesi di laurea, dove si tende a voler mettere dentro il più possibile), ma poi ci siamo convinti che questa tematica della paura del colpo di stato avesse invece una sua piena legittimità. Dovevamo essere bravi a mantenere le ambizioni di un racconto più ampio legate alla natura del nostro racconto, e solo attraverso l’introduzione, la fine del film, e sfruttando gli agganci già presenti all’interno dei personaggi e delle situazioni - solo là, dovevamo provare ad aprire la storia ad altre tematiche.

A parte C’eravamo tanto amati, I primi della lista ha un grande debito aperto con tutto il periodo della “commedia all'italiana” e, in particolare, con la scuola di sceneggiatura di quel periodo. Il legame fra il nostro film e quella stagione è molteplice. Innanzitutto, direi, ne condividiamo proprio l’intento e la caratteristica principali, cioè il desiderio di fotografare un periodo storico dell’Italia, le sue contraddizioni, attraverso i mezzi espressivi propri della comicità. Masolino D’Amico, nel definire alcune delle caratteristiche della

nascente “commedia all'italiana”, mette a fuoco questi punti, due dei quali sono già corrispondenti ai nostri:

1) Osservazione di un aspetto o di un fenomeno appartenente alla realtà contemporanea, partendo talvolta addirittura da un fatto di cronaca;

2) Importanza del copione: la collaborazione è spesso tra scrittore e attore, più ancora che tra attore e regista;

3) Trattamento in chiave comica o leggera di un tema che si potrebbe benissimo immaginare svolto in chiave drammatica, o comunque seria.47

Ne parleremo meglio più avanti,48 quando avremo introdotto e

analizzato dettagliatamente i nostri protagonisti, ma un’altra caratteristica della “commedia all’italiana” è quella di avere per protagonisti degli “anti- eroi”. I nostri protagonisti, cioè, provengono, come quelli della commedia cinematografica popolare degli anni ’50 e ’60, dalle classi popolari e, ancora come i cugini maggiori, vivono ai limiti della legalità. Inoltre, passando oltre la loro provenienza sociale e culturale, non aspirano a uno statuto tragico o eroico, innanzitutto perché, di fronte all’incombere della Storia, scelgono la fuga. Parleremo ampiamente anche del tema della fuga e del suo significato storico e simbolico nel nostro film:49 per ora, ci basti sapere che la fuga è una

modalità esistenziale e narrativa che Lulli, Gismondi e Masi spartiscono con i protagonisti della “commedia all'italiana”. Solo per fare qualche esempio, pensiamo a due classici del cinema di quegli anni che abbiamo già citato: Tutti

a casa e La Grande Guerra. Nel primo caso il protagonista (Alberto Sordi) si

                                                                                                               

47 Masolino D’Amico, La commedia all'italiana – cinema comico in Italia dal 1945 al 1975, Il Saggiatore, Milano, 2008, p. 57.

48 Cfr. par. 2.2.2.9 ... dell’Antieroe. 49 Cfr. par. 3.2, La fuga.

dà alla fuga per sopravvivere al caos dei giorni che seguirono all’Armistizio dell’8 settembre 1943, nel secondo, i protagonisti (Alberto Sordi e Vittorio Gassman) si danno alla fuga per sfuggire al proprio dovere di militari, nella speranza di non essere coinvolti in azioni belliche pericolose. In ogni caso, la lista di esempi potrebbe essere lunga e includere non solo i titoli più blasonati, ma anche produzioni con ambizioni più modeste. I due marescialli,50 con Totò

e Vittorio De Sica, altro non è che il racconto di un maresciallo che si sottrae ai suoi doveri, travestendosi da prete, per sopravvivere ai rastrellamenti dei nazisti (a caccia di carabinieri ancora fedeli al re dopo l’Armistizio) e di un ladro, ignaro degli ultimi avvenimenti storici, che si finge di essere quel maresciallo, convinto che così non lo arresteranno.

Tutti questi film citati – ma anche altri, che non raccontano il periodo bellico, come Il sorpasso51 – hanno un epilogo di tono diverso in cui i

protagonisti ottengono un riscatto dal sapore spesso amaro, ereditato dal Neorealismo.52 È quanto accade, con le dovute differenze, anche ne I primi

della lista: se, fino al finale, sono stati raccontati come dei folli, dei paranoici,

e per questo abbiamo riso di loro e con loro, nel finale assumono uno spessore di tragica verità e si fanno carico del peso della Storia. Come sappiamo, pochi mesi dopo il buffo episodio di Lulli, Gismondi e Masi, il tentativo di colpo di stato è avvenuto davvero.

                                                                                                               

50 1961, sceneggiatura di Marcello Fondato, Bruno Corbucci, Giovanni Grimaldi, Sandro Continenza, da un’idea di Antonio De Curtis, regia di Sergio Corbucci.

51 1962, sceneggiatura di Ettore Scola, Ruggero Maccari, Dino Risi, regia di Dino Risi.

52 Come sostiene Federica Villa (in Il narratore essenziale della commedia cinematografica italiana degli anni

Cinquanta, Edizioni ETS, Pisa 1999), il passaggio dal Neorealismo alla Commedia è sottile e senza rotture:

“È un uscita rispettosa, in punta di piedi che prende consistenza nei primi anni del decennio” (p. 26). Il ponte fra i due generi è il Neorealismo rosa. Testimonianza viva e vivace di questa paternità è una sorta di irrisoluzione interna della Commedia all'italiana che, però, è anche e soprattutto il suo punto di forza: la tensione fra una proposta conciliatrice, risolutiva, schematica, stereotipata, tipica della commedia e una proposta rivoluzionaria, mutevole, proteiforme, realistica che viene proprio dall'impulso a imitare e raccontare il reale e il mondo, così come il Neorealismo ci ha insegnato.

C’è, però, una differenza fra i nostri protagonisti e quelli della “commedia all’italiana” più pura. Quel mondo raccontato (il passato recente o il presente), e forse quel mondo stesso da cui si originava il racconto (il presente), era fatto di personaggi popolari che, però, rispetto ai nostri, non

disponevano di una coscienza politica. 53 Mariapia Comand, parlando

dell’identità politica nella “commedia all'italiana”, si domanda: “Gli italiani degli anni Sessanta immemori del passato, e alle prese con un presente incerto, finiscono per ritrovarsi in una ‘dimora narrativa’?”.54 La tesi, molto

affascinante, è che sia stata proprio la “commedia all'italiana” a dotare di una coscienza politica diffusa gli italiani; se è vero questo, i personaggi che essa racconta ne sono privi, e se ne impossessano solo all’interno del percorso di crescita narrativo (sostanzialmente nei pressi del finale, di cui ho già parlato).

L’assenza di questa peculiarità storica e sociologica determina anche delle scelte drammaturgiche precise nella definizione dei personaggi, si tratta cioè di personaggi le cui azioni e le cui fughe rispondono non a problemi complessi, di ordine intellettuale, ma di tipo basilare (cibo, sonno, sesso): i nostri protagonisti, invece, si dedicano consapevolmente alla fuga, e non solo per istinto di sopravvivenza. La ragione per cui questo accade è probabilmente di ordine storico: l’oggetto del racconto della “commedia all’italiana” è il Dopoguerra, nel quale era effettivamente assente un certo tipo di coscienza politica (intorpidita dagli anni del fascismo), che invece ritroviamo, in maniera più disinvolta, negli anni ’70. Per fare ancora un esempio, anzi un contro-esempio, Ferdinando Cefalù, protagonista di Divorzio all'italiana (che,                                                                                                                

53 Se si eccettuano pochissimi casi, come Un giorno da leoni, 1961, sceneggiatura di Alfredo Giannetti, Nanni Loy, regia di Nanni Loy. Anche questo film parte dall’8 settembre 1943 e racconta di un gruppo di sbandati che si uniscono alla Resistenza. Fra i componenti del gruppo molti dimostrano di avere una coscienza civica e politica, tanto è vero che alcune scene sono dedicate al dibattito sul senso e sul radicamento del fascismo negli italiani.

come abbiamo visto, appartiene alla fortunata annata del 1961), non escogita tutto quello che escogita per liberarsi della moglie perché è favorevole al divorzio in generale, ma perché ha un problema specifico con il proprio matrimonio. Persistere nella convivenza con sua moglie, semplicemente significherebbe rinunciare a sopravvivere.

C’è poi un altro aspetto che ci lega profondamente a questa stagione e riguarda, in questo caso, più che le modalità espressive, il metodo di lavoro, per almeno due ragioni. La prima è il porre la sceneggiatura come momento centrale del processo produttivo del film. Nel caso de I primi della lista questo avviene per via della mia formazione e della mia esperienza: prima di passare alla regia, sono stato per diverso tempo sceneggiatore. Nell’affrontare la realizzazione di questo film, ho cercato di muovermi camminando sulla strada che avevo già battuto e che conoscevo meglio. Nella “commedia all’italiana”, la sceneggiatura amplifica la propria crucialità, che già aveva conquistato durante il periodo del Neorealismo,55 ma soprattutto cerca, secondo quanto

sostiene Federica Villa,56 una mediazione espressiva maggiore, attraverso le

chiave comica, alle istanze reali. Senza timore di contraddire Hitchcock57,

Mariapia Comand scrive:

Se “all’italiana” significa invece approssimativo, impreciso e arruffato, non è questo il caso dei nostri personaggi (o almeno di molti di loro), che sono tecnicmente solidi, decisamente strutturati sul piano della sceneggiatura. Se il neorealismo invocava un

                                                                                                               

55 Giuliana Muscio in Mariapia Comand (a cura di) Sulla carta – Storia e storie della sceneggiatura in Italia, Lindau, Torino 2006 pp. 109-138. La Muscio, dalle sue ricerche, anche nel suo Scrivere il film, Audino, Roma 2005 (prima edizione, Savelli, Roma 1981) contariamente al pensare comune, sostiene che la stagione del Neorealismo è stata fortemente determinata dall’apporto degli sceneggiatori.

56 Federica Villa, Il narratore essenziale..., op. cit.

57 Hitchcock confessa a Truffaut quanto segue su Age & Scarpelli, con i quali aveva in progetto di realizzare un film: “Ho rinunciato a girare il film perché mi sembrava senza forma e oltre a questo, come lei sa, gli italiani trascurano molto i problemi della costruzione” (in François Truffaut, Le cinéma selon Hitchcock, op. cit., p. 256 della traduzione italiana).

passaggio in stretto rapporto con il tempo e con l’ambiente, oltre che con gli altri elementi narrativi (personaggi e oggetti), gli scrittori della commedia all’italiana onorano quella lezione poiché immergono il personaggio in una fitta rete di relazioni, all’interno del film e tra film e il mondo cui esso appartiene.58

Questa modalità di racconto, le cui potenzialità vengono sostanzialmente scoperte59 con I soliti ignoti60 e si sviluppano – fino a raggiungere la massima maturità espressiva – già nel giro di tre anni, chiede un apporto e un impegno da parte degli sceneggiatori davvero inediti, che vengono prelevati da settori attigui, come la satira del giornale Marc’Aurelio. Nascono le cosiddette “ammucchiate” zavattiniane, gruppi folti di sceneggiatori che lavorano assieme a un unico film dentro botteghe che assomigliano a quelle degli artigiani.61 È illuminante tornare alla pagina di De Concini, che restituisce una

visione assai meno romantica del lavoro dello sceneggiatore rispetto a quella che ho descritto finora, ma parecchio divertente nella sua vis polemica: “Nei confronti del cinema – cui ho sempre cercato di dare il meno di me stesso – mi definirei una mezza cazzola, un muratore. E altrettanto definirei gli altri miei colleghi. Nel cinema non siamo tenuti in nessun conto. È il sistema del cinema che ci fa essere solo dei manovali [...]. Ecco il cinema è un lavoro di équipe e per questo io lo detesto dato che sono un solitario [...]. Le suggestioni che mi hanno portato verso il cinema sono state sempre economiche, io ho

                                                                                                               

58 Mariapia Comand, Commedia all'italiana, op. cit., p. 9.  

59 Andrea Pergolari in Mariapia Comand (a cura di), Sulla carta, op. cit. p. 196.

60 1958, sceneggiatura di Age & Scarpelli, Suso Cecchi D’Amico, Mario Monicelli, regia di Mario Monicelli. 61 Federica Villa, Botteghe di scrittura per il cinema italiano - Intorno a Il bandito di Alberto Lattuada, Biblioteca di Bianco & Nero, Roma, 2002.

sempre odiato il cinema perché considero che nel cinema il mestiere dello scrittore è soltanto un ripiego, una manovalanza. Specie in Italia”.62

È questa la seconda ragione per cui il metodo di lavoro che abbiamo adoperato su I primi della lista può essere associato a quello della “commedia all’italiana”, tenendo presente questa nostra predilezione per una scrittura collettiva, partecipata, che si muove non solo dentro l’asse di collaborazione fra me e Lantieri, e alla “materna” supervisione di Francesco Bruni, ma anche dentro un contesto culturale che è quello dei giovani cineasti romani, per lo più reduci dall’esperienza della Scuola Nazionale di Cinematografia, che io stesso ho frequentato nel triennio 2000-2002.63

                                                                                                               

62 Cit. in Federica Villa, Botteghe di scrittura..., op. cit. p. 34.

63 Sui titoli di testa la dicitura per l’aiuto che Francesco Bruni ci ha dato è stata proprio “con la materna supervisione di” per volere del produttore Carlo Degli Esposti. Il copione poi è stato letto e discusso – come è consuetudine (tradizione ereditata dell’ambiente e clima della commedia all’italiana anni 60?) da diversi giovani colleghi sceneggiatori.