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2. INT GIORNO CASA LULLI CUCINA

4.1 Linearità contro non-linearità

Come anticipato nell’introduzione, durante lo sviluppo della sceneggiatura, il film ha avuto due approcci stilistici completamente diversi, in particolare nella parte iniziale. Il primo approccio avrebbe provato a intrecciare diverse modalità di stile, diversi punti di vista – tre, per l’esattezza – e a giocare con il mezzo cinematografico stesso. L’idea era, appunto, quella di scrivere un inizio e poi un intero film metafilmico e metanarrativo. Abbiamo molto lavorato su questa prima ipotesi. Era probabilmente quella che preferivo, per una ragione e un problema intanto tecnico: mentre il

memoir di Lulli cominciava in medias res, senza introdurre né i personaggi,

né il contesto storico, noi avevamo bisogno di compiere entrambe le operazioni, ma avevo paura che saremmo inevitabilmente finiti a fare una introduzione pedante, didascalica e tradizionale. Per questo, abbiamo optato inizialmente per la versione che potremmo definire non-lineare o postmoderna.

Anche se mi accorgo di non trattare un tema centrale di questa tesi, devo fare un minimo di spiegazione rispetto a cosa intendo con questo termine e cosa comporta l’uso di questa definizione. La prima distinzione che va fatta è che alcune caratteristiche del cinema postmoderno, come per esempio alcuni suoi temi, sono in qualche modo presenti nella natura della storia che siamo andati a raccontare, a prescindere dallo stile lineare e non- lineare. Un esempio da citare è che i personaggi siano disconnessi dalla realtà, combattano contro l’autorità, vivano in una grande bolla di paranoia lungo

tutto l’arco narrativo e che il film riracconti un periodo storico, normalmente narrato con toni seri, con uno sguardo grottesco e quasi parodistico, ma al contempo con una nostalgia per quel tempo andato: sono tutti temi che potrebbero rientrare nella contenutistica postmoderna.

In questo caso, però, uso il termine “postmoderno” specificamente per

distinguerlo dall’altro approccio lineare del film e quindi per racchiudere una serie di caratteristiche stilistiche narrative che i teorici del postmoderno159

hanno delineato rispetto allo studio del cinema. In particolare, mi riferisco alla messa in crisi e sovvertimento di alcune regole del cinema classico, come la destrutturazione della narrazione e del tempo, l’uso di escamotage che mettono in crisi il normale rapporto autore-spettatore e la sospensione delll’incredulità (sono da citare il parlare in macchina, la moltiplicazione di voci over e punto di vista, lo sbalzo temporale e di mezzi linguistici – la mise

en abyme di materiale di repertorio e la mescolanza di questo con la realtà

filmica) .

Il primo film che avevamo preso a riferimento (anche se, di certo, non si può parlare di cinema postmoderno, ma semmai di alcuni tratti ante-

litteram del postmoderno) era C’eravamo tanto amati che riesce a raccontare

un arco narrativo e storico – che va dalla guerra di liberazione italiana contro il nazifascismo fino a metà anni ’70 – un arco insomma lungo trent’anni. Noi, ne I primi della lista, non avevamo bisogno di coprire trent’anni di storia italiana, ma allo stesso tempo avevamo il problema di coprire, raccontare e                                                                                                                

159  Frederic Jameson, Postmodernism and Consumer Society, George Mason Univer

Linda Hutcheon (January 19, 1998). L’University of Toronto English Library.

introdurre una tematica complessa e con radici lontane e profonde che era la paura e la ragionevolezza di un possibile colpo di stato. Per introdurre questa tematica dovevamo, quindi, raccontare anche i fatti storici, le inchieste e il clima di un periodo che partiva dal 1964, anno in cui ci fu il primo tentativo di golpe in Italia con il piano Solo.160 All’interno di questa panoramica storica

andava incluso anche il colpo di stato in Grecia, del 1967, poi, inevitabilmente, la strage di Piazza Fontana (1969), che segna l’inizio di una stagione storica precisa in Italia, fatta di mandanti, complotti, verità nascoste. Attorno a questi episodi avremmo potuto raccontarne altri minori, i quali contribuivano a consolidare la sensazione e l’idea che Piazza Fontana non fosse un evento isolato, un unicum nella storia italiana: era, invece, l’apice di un’altra serie d’indizi e di gravi episodi, come le bombe sui treni (la strage di Gioia Tauro del 1970, quella dell’Italicus del 1974 e, infine, quella più drammatica alla stazione di Bologna nel 1980), come pure altre bombe, che sono rimaste meno “rinomate” solo perché non fecero morti, ma lo solo scopo di intimorire. È, insomma, la cosidetta “strategia della tensione”: creare preoccupazione attraverso il pericolo terrorista per aver mano libera nell’usare il pugno di ferro della repressione.

Infatti, subito dopo Piazza Fontana, si vanno a colpire gli attori principali della sinistra extra-parlamentare e dei circoli anarchici. Si additano come mostri, come responsabili delle bombe: da parte dell’opinione pubblica                                                                                                                

160  Il Piano Solo fu chiamato così perché avrebbe previsto l’impiego del solo corpo dei carabinieri, di cui il generale De Lorenzo era a capo. Grazie a una indagine dell’Espresso (21 maggio 1967) si è venuto a scoprire che era un piano tutt’altro che peregrino. Era ben strutturato e prevedeva la deportazione dei prigionieri politici, degli oppositori nei campi di prigionia in Sardegna, prevedeva l’occupazione dei luoghi nevralgici della Repubblica Italiana, nonché della RAI... Era un vero e proprio piano strategico, ben definito, di presa del potere da parte di un militare e dei militari. Questo avvenimento, forse più degli altri che vado a citare come necessari per fornire un affresco del clima storico, ha avuto una grandissima influenza dal punto di vista drammaturgico, perché rende ragionevole l’equivoco, al quale i protagonisti credono, di un possibile nuovo tentativo di golpe.

c'è una grande alzata di voci allo scopo di richiedere maggior sicurezza. Ci sono diversi documenti che restituiscono l’idea di questo clima, uno forse dei più impressionanti è una dichiarizione su una tv svizzera di Junio Valerio Borghese, l’ex-capo della X Mas della Repubblica di Salò, che affermava con assoluta tranquillità che i comunisti erano il vero nemico dello stato e che, se un italiano era un comunista e andava contro l’Italia, non ci vedeva niente di male ad ammazzarlo. (Cito questa intervista perché era stata inserita in diverse ipotesi d’inizio del film.)

Raccontare nella sceneggiatura questo clima di repressione e questa impennata di valori pseudofascisti come il ricorso, da parte della polizia, alla carcerazione preventiva, alla schedatura di massa, era per noi quasi essenziale quanto raccontare la stessa Piazza Fontana. Il film gioca, sì, su due diversi piani dimensionali – fra la storia piccola dei personaggi e la storia grande, dell’Italia – ma queste due dimensioni non potevano essere accostate arbitrariamente; al contrario, si doveva nutrire l’una dell’altra: in fondo, i nostri personaggi sono motori della storia perché la loro paura più grande era quella di essere prelevati da casa e arrestati nel caso di un colpo di stato. La “ Storia con la esse maiuscola” viene raccontata proprio perché i nostri personaggi affrontano questo equivoco portando alla luce tutte le contraddizioni, inquietudini e risvolti del periodo in questione.

Nella versione non-lineare abbiamo gestito questo tipo di problematica narrativa, quella cioè di raccontare entrambe le dimensioni, spezzando il punto di vista in tre. Tre voci over dei tre protagonisti raccontavano i tre punti di vista (e qui il richiamo a C’eravamo tanto amati era esplicito). L’idea di

sedersi sulle spalle di questo gigante in qualche modo ci confortava, e poi ci sembrava semplice e naturale dividere i tre punti di vista, poiché erano già ben distinti: quello di Renzo Lulli era l’ “io” più casalingo, pisano, provinciale, il “ragazzino” che si affacciava alla complessità del mondo. Da una parte aveva un conflitto aperto con i genitori, la cui risoluzione era ancora in fase di definizione, perché dalle loro figure – da quella del padre in particolare – ancora non era riuscito a emanciparsi, dall’altra aveva il sogno della chitarra e quindi la sua voce over avrebbe raccontato questa dimensione, senza entrare nel contesto storico-politico.

Il personaggio Fabio Gismondi, invece, aveva già un piede dentro questa dimensione politica, anche se ancora a livello locale (uno degli aneddoti che lo descrivono è, infatti, l’episodio in cui si è spaccata la mano durante l’aggressione dei fascisti nell'assemblea per i compagni della Grecia). Il suo personaggio quindi introduceva la politica e riportava la Storia dentro una dimensione più piccola, scolastica e provinciale. Il fuoco del racconto si spostava dai fatti gravissimi del golpe dei colonnelli in Grecia all’incidente che aveva subito. Gismondi faceva da filtro tra la piccola realtà di Pisa e le grandi notizie che arrivavano dall’Italia e dal mondo, e ovviamente prima di tutti da Pino Masi che era quello, invece, che riportava in campo la Storia e anche la memoria di un percorso che aveva portato alla situazione del temuto colpo di stato.

Tramite le interviste ai tre protagonisti, siamo riusciti a recuperare alcuni aneddoti molto interessanti sul passato di Pino Masi, drammatugicamente importanti e allo stesso tempo buffi.

Masi ci raccontò che lui era venuto a sapere della strage di Piazza Fontana una notte quando era scappato dalla caserma dove stava facendo il

servizio di leva, per incontrarsi con la sua ragazza americana. Rientrato in caserma, affranto e arrabbiato, aveva registrato l’inno di Lotta Continua, e La

ballata del Pinelli in una specie di sgabuzzino presso la caserma. Partendo da

questo episodio reale, io e Lantieri avevamo quindi costruito una sequenza surreale:161 Masi sentì la notizia di Piazza Fontana e della conseguente

repressione, incarcerazione e poi uccisione di Pinelli al telegiornale, ma, a dare la notizia e a spiegare la dinamica dei fatti, sarebbe stato lui stesso, nelle vesti di un presentatore del TG. A quel punto, avremmo colto l’occasione per inserire dei filmati di repertorio, al cui interno avremmo trovato anche lo stesso Gismondi, realizzando una sorta di mise en abyme di piani narrativi diversi.

MASI

Compagno, ma ti sei guardato intorno? Hai fatto un riepilogo della merda che ci sta arrivando addosso?

Il Masi si sta per incazzare. Il Lulli è scosso ed è andato in bambola.

LULLI No.

MASI

E allora forse te lo devo fare io. 1. INT. STUDIO TELEGIORNALE (BIANCO E NERO)

PEPPEPPEEEE-PEREPÈ!

La vecchia sigla del telegiornale del 1970 con il suo intramontabile motivetto. Seduto sulla scrivania, in bianco e nero, c’è il Masi vestito in giacca e cravatta.

                                                                                                               

MASI

Sei anni fa, nel 1964, il Generale De Lorenzo, ex capo dei servizi segreti...

Foto del generale De Lorenzo.

...tenta un colpo di stato con il piano di affidare all'Arma dei Carabinieri il controllo militare dei "centri nevralgici" e la

deportazione dei cittadini ritenuti "più pericolosi",[...]

Immagini di repertorio del golpe dei colonnelli greci e di fucilazioni dei sovversivi spagnoli.

E ora la cronaca locale: la notte del trentuno dicembre del

sessantotto, un gruppo di studenti si raduna davanti alla Bussola, un noto locale della Versilia per

contestare lo spreco del capodanno.

Foto del locale e della serata a .

Ad attenderli un reparto della celere in tenuta antisommossa.

Parte un’intervista al Gismondi, la faccia terrorizzata, come se fosse ancora lì, appena dopo gli scontri. Dietro ombre di gente che fugge e rumori di spari.

GISMONDI

C’hanno caricato due volte, e poi ho sentito gli spari. Ma sono scemi? Saranno a salve! E invece no: noi siamo venuti qui a tirare i pomodori, e loro ci hanno sparato addosso.

Dopo il Gismondi, il volto di un altro ragazzo sui vent’anni.

CECCANTI

Stavo scappando, mi sono piegato in avanti e ho sentito lo sparo. Mi hanno preso qui: sotto il collo, un dolore fortissimo…

Adesso l’inquadratura si allarga e vediamo che è in sedia a rotelle.

Dallo studio il Masi riprende la parola. MASI

È la prova generale per la strage di piazza Fontanta. Il dodici

dicembre del sessantanove una bomba uccide 13 persone.

Partono immagini di repertorio di Piazza Fontana. Si incolpano subito gli anarchici e quattro notti dopo il ferroviere Pinelli, durante un interrogatorio nella questura di Milano, vola dalla finestra dell’ufficio del quarto piano perdendo la vita.

Immagine di un uomo che precipita da una finestra seguito da una scarpa. Mentre è ancora in volo, nell’inquadratura del suo primo piano entra un microfono a gelato.

INTERVISTATORE (OFF)

È vero che ha gridato “questa è la fine del movimento?”

PINELLI

No, ma fra un paio di piani ci può scommettere!

INTERVISTATORE (OFF) Perché si è buttato?

PINELLI

C’era un caldo terribile. E poi c’erano delle tendine alle finestre di un colore pessimo. Non ce l’ho fatta più!

Ora le vere immagini del corpo di Pinelli, i funerali a Milano, la bara con la moglie accanto.