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2.2 Da persone a personagg

2.2.1 Pino Mas

2.2.1.4 Masi, le donne e il padre

A un certo punto il percorso trasformativo completo di Masi, tramite varie riscritture, è arrivato a essere il percorso di qualcuno che ha subito su di sé la violenza (la paura del fascismo), non è riuscito a vincerla e perciò l’ha immessa in una classica spirale psicologica per cui i torti subiti si fanno subire a qualcun altro, più spesso alla persona che è più debole e a cui si vuole più bene: in questo caso, la fidanzata di Masi.

Noi, nel film, iniziamo a raccontare Masi nel momento in cui lei lo aveva già lasciato (tra l’altro, ci piaceva questo paradosso che un comunista

anti-americano, anti-imperialista come lui, stesse insieme a una ragazza americana).

Masi, appena prima della caduta finale, replica a Lulli che gli sta raccontando un atteggiamento sbagliato con la sua fidanzata dicendogli: “Sei stato uno scemo”. In questo momento di difficoltà, riconosce per la prima volta (per interposta persona) uno sbaglio nel suo rapporto con Nancy: ed è l’improvvisa svolta che funziona come preparazione alla sua ammissione, e rivelazione per lo spettatore – che addirittura lui l’aveva picchiata.71

Questa è la parte più positiva della parabola di Masi. Che è, sì, una parabola di sconfitta, ma anche di accettazione della verità: “sono solo, non sono un eroe e ho sbagliato con la mia ragazza”. Il fatto che sia la verità, il valore che scopre Masi alla fine del percorso, in un film che racconta seppur in buona fede di una sua grande bugia o del credere a una grande bugia, si rivela carico di forte significatività.

(Tra l’altro, con la storia di Nancy eravamo così riusciti anche a trattare, seppur velocemente, il tema del ruolo delle donne e dell’atteggiamento controverso anche di una parte del movimento nei loro confronti nella stessa fase storica.)

Una delle ragioni per cui abbiamo deciso di togliere quella scena72 era

stata per per rispetto all’opinione del vero Pino Masi, che quella scena non l’aveva mai amata, tanto è vero che di tutto questo risvolto non ci aveva mai accennato. (Eravamo venuti a conoscenza intervistando altre persone di quel tempo). In ogni caso, sembrava un bel momento narrativo e di scoperta del                                                                                                                

71 Appendice B, Scena 53, poi tagliata in montaggio. 72 Ibidem.

personaggio di Masi. Questo, secondo me, rientrava in quella spirale generata dal trauma del padre che picchiava lui e sua madre da piccolo e devo dire che ancora un po’ mi pento che non sia finita nella versione finale del film.

In carcere, subito dopo la sua caduta di credibilità, Masi continua a mentire, a fornire la sua versione di come sono andate le cose, a cui però nessuno più crede. Ed è qui che ci ha riferito un’altra informazione importante su suo padre.

Lo spioncino si chiude e il Lulli si siede sulla branda. Per un attimo restano in silenzio.

MASI

(al Lulli) Fammi fumà. Il Lulli gli passa la sigaretta.

LULLI

Io penso a casa, a mi pà, a mi mà. Penseranno che m’hanno ammazzato.

GISMONDI Anch’io.

MASI

Mi pà sarà contento. Quello si sarà fatto dare un carrarmato per

venimmi a schiaccià.73

Rispetto alla metafora della cicatrice, questo indizio che Masi ci dà inconsciamente (e di cui anch’io mi accorgo solo in questo momento - non ne ero cosciente quando scrivevo il copione) è fondamentale perché aggiunge un altro tassello rispetto alla sua storia: lui sta scappando più da suo padre che non dal colpo di stato. È suo padre la vera ombra che lo insegue. Di nuovo

                                                                                                                73 Cfr. Appendice: Sceneggiatura, Sc. 43.

quindi troviamo un indizio di questa incarnazione della storia collettiva con la storia di questo personaggio.

C’è un altro episodio, preso in prestito dalla verità di quello che è successo, che noi abbiamo usato a nostro favore: nel carcere austriaco, i tre, fra gli altri detenuti, avevano trovato un soldato americano (di una vicina base NATO). L’entrata di questo personaggio andava ad acuire quel paradosso rispetto agli Stati Uniti che, per altre ragioni politiche, il personaggio di Masi viveva. Poteva essere ottimo per predisporre un confronto finale con lui. Nel finale della sceneggiatura c’era questa scena che è stata poi tagliata in montaggio (come dicevo, non a cuor leggero, perchè narrativamente e tematicamente giusta) in cui Masi si ritrova in biblioteca da solo perchè il padre non è venuto, al contrario di quelli degli altri due personaggi (di nuovo, la figura di padre nemico e in questo caso mancante). Masi è da solo in biblioteca ma entra il detenuto americano, che per caso veniva dal Massachusetts, lo stesso Stato della sua fidanzata e Masi, per la prima volta, ammette le proprie colpe: picchiava la sua ragazza ed è stato lasciato da lei proprio per questa sua colpa – e in questo modo riesce a trovare una sorta di catarsi proprio prima della fine del film.

Per il discorso del trauma del padre e del fascismo, abbiamo trovato una soluzione narrativa ma anche visiva. Avendo come obiettivo quello di costruire dei nodi narrativi che fossero efficaci anche visivamente, avevamo il dovere di dargli una forza e un impatto incisivi sullo spettatore, in modo che questi vedesse immediatamente cosa stava succedendo. Ci è venuta quindi l’idea, – un po’ mutuata, appunto, dall’aneddoto della sveglia conficcata in

petto – di rimontare (come si dice, ricorrendo al gergo da sceneggiatori) la cicatrice all’inizio del film, quando Lulli e Gismondi stanno andando su alla soffitta e vedono il sangue. Gismondi ne vede una sorta di reliquia quasi cristologica, perché in quel momento per lui Masi ha lo status di un idolo, è una sorta di santo, e quindi il suo sangue ha una valenza di reliquia agiografica (da un lato buffa, dall’altro funzionale a creare l’aura di leader leggendario di Masi). Perciò, quando, verso la fine, in carcere, lui e Lulli vedono la cicatrice sul petto di Masi, hanno la prova che, fra tutte le bugie o le verità romanzate che Pino è riuscito a raccontare, quella è una verità. La cicatrice è soprattutto una cicatrice dell’anima e del personaggio, ed è quella metafora della cicatrice che evoca il trauma del fascismo per l'Italia.