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2. INT GIORNO FOGGIA ALBERGO (BIANCO E NERO)

5.1 L’equivoco storico

Dopo aver lavorato così a lungo alla costruzione metodica dell’idea che fosse abbastanza ragionevole il sospetto di un colpo di stato, l’equivoco comico su cui si basa il film diventa, paradossalmente, più divertente. I nostri personaggi diventano ancor più fermamente convinti che stia per succedere il golpe, mentre, in parallelo lo spettatore è facilitato dagli elementi messi a sua disposizione a comprendere meglio la ragionevolezza dell’equivoco.

Sono sempre stato convinto che più l’equivoco fosse sembrato ragionevole e più avrebbe fatto ridere, perché è stato pienamente illustrato il motivo della convinzione dei personaggi. Infatti, una caratteristica primaria che deve far parte di un equivoco di tipo comico è la verosimiglianza: essere convinti di qualcosa (sul piano della configurazione o della verità di una certa presentazione di vicende storiche) è molto più verosimile, per esempio, dell’essere scambiati per qualcunaltro, che è un classico tipo di equivoco comico.

La prima declinazione di questo meccanismo è la decisione di intraprendere la fuga: “[…] arriva qualcuno da Roma a dirmi che ci sono brutte notizie, sta succedendo qualcosa di brutto, ci sarà il colpo di stato, io scappo”. L’intero sistema delle aspettative nasce da una gestione strategica delle informazioni che i personaggi, fra loro, condividono e a cui anche lo spettatore è libero di partecipare. Se noi avessimo fatto arrivare la notizia del possibile colpo di stato a tutti e tre simultaneamente e in gruppo, mettendoli dunque sullo stesso livello di conoscenza, vi sarebbe stato meno afflato narrativo e forse meno potenza comica. Fra i tre, Masi è quello meglio

informato dei fatti, ma si trattiene dal dirlo, equivocando rispetto alla Storia; poi Gismondi equivoca rispetto a Masi: è come se gli dicesse “tu sei il leader, tu sei quello che ci salverà da questa catastrofe che tutti noi sappiamo non avverà”. Ancora per un attimo Lulli, invece, resta al suo punto di partenza, che è identico al punto di vista dello spettatore, il quale – adesso che sono passati quarant’anni e sa la verità – s’interroga: “ma siamo proprio sicuri?”.

Da questo equivoco iniziale, potrà dipanarsi una serie sottile di trovate per aumentare il sospetto e certificare la ragionevolezza del possibile colpo di stato:

- il passante ben vestito che prima li guarda e poi li scruta con insistenza; - i carabinieri che li incrociano nelle rispettive macchine, lanciando loro sguardi curiosi e sospettosi al passaggio a livello;

- le macchine che scappano ad altissima velocità da Roma verso l’estero;

- la stazione di servizio, l’ambiente per la scena in cui l’equivoco, fino a un certo grado di attendibilità, si materializza nelle sue forme più sostanziali e variegate.

EST. NOTTE - AUTOGRILL

Intanto il Lulli paga il benzinaio, monta in macchina e va per parcheggiare di fronte all’autogrill, ma il benzinaio lo ferma.

BENZINAIO

Non te ghe poi star lì. Lulli si affaccia dalla macchina.

LULLI Cosa?

BENZINAIO

Lì non te pol star, deve parcheggiàr l’esercito.

LULLI Chi arriva?

BENZINAIO

I militari, ‘e camionete, han ciamà… và ‘ndrio a parcheggiare.

Il benzinaio gli indica di svoltare nel parcheggio

posteriore. Il Lulli, preoccupato, fa manovra

velocemente.

INT. NOTTE - AUTOGRILL

Il Gismondi intanto è ancora davanti al barista e adesso non si fa remore.

GISMONDI

Senta, ma in Italia, è successo qualcosa o no?

BARISTA Ma cosa?

GISMONDI

Non l’ha sentita la radio? BARISTA

No.

Intanto il Lulli entra molto agitato e fa un cenno al Gismondi che non capisce e continua a parlare al barista.

GISMONDI

La tiene accesa e non la ascolta? BARISTA

No, non la ascolto: dicono, dicono e poi decidono tutto sotto banco. Ti svegli alla mattina e hanno già fatto tutto.

C’è un attimo di silenzio. Il Lulli è sempre più agitato. LULLI Andiamo? GISMONDI Dove? LULLI Via.

GISMONDI

Bevi il caffè che s’aspetta il Masi. (Al barista). Un altro.

LULLI

Ci sono i militari stanno andando verso sud...

GISMONDI Cosa?

LULLI

I militari, con le camionette, i mezzi...

GISMONDI

Ma cosa minchia…?

Gismondi lo guarda come se stesse vaneggiando poi però vede che fuori dalla vetrata dell’autogrill parcheggiano un paio di camionette militari. Adesso dalla porta dell’autogrill entrano cinque o sei militari in divisa, che ordinano dei caffè e chiacchierano tra di loro.

SOLDATO 1

Un caffè per me. SOLDATO 2

Corretto! SOLDATO 3

Non si beve in servizio. SOLDATO 2

Ma in guerra sì però!

Il Gismondi si guarda intorno pietrificato e si scambia un’occhiata con il Lulli, che abbassa la testa sul suo caffè. Intanto il Masi non si è ancora accorto di nulla, incazzato da come sta andando la telefonata, mentre altri

militari entrano nel bar.171

Gismondi sente alla radio l’inno d’Italia ed equivoca che quello sia la chiusura forzata delle trasmissioni radiofoniche da parte dei golpisti. L’inno d’Italia inoltre può essere recepito come il simbolo musicale della destra                                                                                                                

fascista, mentre lo spettatore sa che non è altro che l’inno d’Italia. Questo episodio rende chiare le modalità operative dell’equivoco. L’equivoco è capace di irradiare tutti i simboli e i segni di una valenza multipla ed è carico di una simbologia che si attiva a più livelli. È un’augmented reality, soggetta a cospicue deformazioni per la sua duttilità; tutto si sposta in un istante in una nuova modalità semiotica. Il semplice barista, con quel suo sguardo un po’ torvo e burbero, potrà prendere le sembianze di un fascista, mentre i militari che stanno andando alla parata del 2 giugno, in quel momento diventano allo sguardo dei nostri personaggi, golpisiti in missione alla volta di Roma.

Sempre rimanendo nei confini del preciso contesto storico, quel grande equivoco funziona per due motivi: uno, perché è un equivoco reale, storico, assai ragionevole; due, perché è precisamente connesso con la realtà di quei tempi. Tutta la vicenda avvenne poco dopo la messa in posizione – con le modalità delle conoscenza e delle abilità professionali – delle bombe di Piazza Fontana da parte di settori deviati dei servizi segreti. Furono bombe che servivono alle cupe finalità di reprimere ogni resistenza, usare di più l’esercito e poter dire subito: “Sì, sono stati gli anarchici!”; tutto quindi si è ammantato di equivoco e di paranoia collettiva.

Questo equivoco descrive, quindi, quella psicosi con la leggerezza di un meccanismo comico, perché in questo singolo, specifico caso di Lulli, Gismondi e Masi, pur non essendo reale il sospetto, esso aiuta a raccontare, tramite la realtà, un meccanismo anche legittimo, almeno in Italia in quel momento. Il sospetto sconfinato e la paranoia erano tali da ingrandirsi così tanto da aumentare in maniera anche irreale, inverosimile e comica, ogni legittimo e ragionevole dubbio. Nel momento in cui si arriva a scoprire la soluzione dell’equivoco – cioè a riconoscere che i militari erano in quella

stazione di servizio non perché stessero per andare a mettere in atto il colpo di stato, ma perché c’era la parata del 2 giugno – avviene il disvelamento comico dell’equivoco e la mente si apre alle conseguenze dello sbaglio commesso a leggere la realtà in altra maniera.

Tra l’altro, non è un caso che questa soluzione la fornisca Lulli a Masi. Quei due sono ai poli opposti dell’equivoco. Masi mostra, tuttavia, una straordinaria prontezza nel ribaltare i termini della situazione: nella sua visione, il fatto che ci stiano già a Roma i cacciabombardieri e i militari, fa del 2 giugno il giorno perfetto per attuare il colpo di stato. Quando pure questa versione rivista sarà smentita, perché in quei giorni non è stato compiuto alcun colpo di stato, Masi arriva all’ultimo scalino dell’"autoequivoco": tenta di ribaltare ancora una volta i fatti, sostenendo che forse, alla fine, il colpo di stato non si è realizzato proprio per il loro sfondamento in Austria. Il personaggio non era mai in grado di sapere, di fatto, che non succederà il colpo di stato, ma si convince, con una sorta di inquietante ingegno, di essere un tassello cruciale e un salvatore di quella situazione. Questo è un altro topos dell’equivoco: il personaggio si convince di essere qualcosa di diverso e di nettamente superiore a tutto quello che è collegato con la propria situazione personale. L’equivoco nasce dal fatto che il giornalista arrivato nella sua soffitta da Roma sia andato ad avvertire lui e proprio lui, ritenendolo importante abbastanza da meritare un simile trattamento: è lui il “primo della lista”, ma allo stesso tempo e proprio per questo, può guidare gli altri a diventare i salvatori, i cantori, gli altri Inti Illimani del colpo di stato. Masi convince se stesso e gli altri due di un altro equivoco – vale a dire l’equivoco sul ruolo da attribuire al suo stesso personaggio – perché è come se dicesse: “Io non sono un cantautore del momento, mediamente conosciuto, sono

invece quello che vi sta salvando e che canterà la storia d’Italia; abbiamo l’occasione unica di diventare i più importanti cantautori italiani, anche perché abbiamo trovato il piano migliore per salvarci”. Lulli, invece, è quello che all’inizio tiene le redini e, nel raddoppio semiologico, fa le parti dello spettatore, ostenta scetticismo verso tutto, ma a un tratto se ne convincerà anche lui. Alla fin fine, però, arriverà alla soluzione più ragionevole: “è il 2 giugno, c’era la parata a Roma, era per quello che abbiamo visto i militari”.

Ci sono due tipi di equivoci, il primo è l’equivoco eteroindotto: c'è stata Piazza Fontana, c’è stato il tentativo di colpo di stato del ’64, l’attacco dei fascisti, la repressione messa in atto contro Pinelli, l’arrivo dei giornalisti a casa di Masi che gli consigliano di sparire per qualche giorno. Il secondo è autoindotto e funziona secondo il seguente meccanismo: vedo i militari e mi autoconvinco che questo simbolo si va a impiantare dentro un disegno più grande. L’autoinduzione può restare tale dentro un limite di ragionevolezza, oppure essere una costruzione completa e fantasiosa della realtà, come nel caso di Masi che si spinge a dichiarare: “forse siamo stati noi a fermare il colpo di stato”.

L’equivoco, di sua natura, è contagioso, a grappolo si porta altre conseguenze: la Jugoslavia passerà da orizzonte di salvezza (appare come il paradiso comunista) a diventare il posto dove c’è un’altra dittatura, perché i ragazzi incassano l’impatto di alcuni segni (le guardie, il filo spinato, le perquisizioni...) che si ammantano di nuovo signficato. Per Gismondi, questa considerazione a sua volta si ramifica nella constatazione che: “in Austria è nato Hitler”.

Quando stanno per sfondare il confine, c’è l’equivoco del poliziotto che parla alla radio e loro pensano che stia avvertendo Roma. A seguire, c’è

l’equivoco dei poliziotti italiani, e in parte anche di quelli austriaci, che pensano che i tre fuggitivi siano dei rapinatori o degli spacciatori di droga: d’altronde, quale altro motivo essi potrebbero mai avere per correre oltre il confine?! Quando si entra nella dimensione contagiosa dell’equivoco, è come se, chiunque o qualunque cosa uno si ritrovi davanti, genera un nuovo equivoco conseguente, fosse anche l’opposto di quello da cui è scaturito inizialmente:

MASI

Una cinepresa, una cinepresa nascosta, ci saranno anche i microfoni...

Si china per terra e sbircia sotto il letto e alla base del cesso.

Se mi mettessi nei panni degli austriaci, vorrei sapere chi siamo davvero.

LULLI

Perché, chi siamo davvero?

I tre si guardano per un attimo, senza più capire di cosa stiano parlando. Ognuno guarda l’altro in un attimo surreale e paranoico.

MASI

Stiamo calmi. Ragioniamo: questi non so’ mica Maoisti. L’Austria è nella Nato. Magari hanno paura che siamo dei provocatori.

GISMONDI

Ma non potevi pensarci prima?172

L’acme di tutti gli equivoci sta, forse, in quella battuta che pronuncia Lulli in carcere, mentre Masi dà sfogo alla sua paranoia. La battuta è: “Perché,                                                                                                                

chi siamo davvero?”. È un meta-equivoco che ci porta nella sfera della meta-

narrazione, della meta-comicità. Si mette egli stesso dentro l’equivoco, chiedendosi se forse perfino lui non sia qualcosa di diverso da se stesso. Il fatto che la battuta cada in un momento di grande tensione fa ridere comunque, nonostante sia sul confine tra una battuta di un autore comico da cabaret e una battuta metafilmica, di uno studioso, di un critico mordente: insomma uno strano ossimoro.

In carcere c’è anche l’equivoco quando sentono i colpi e le botte e le urla di qualcuno picchiato dalle guardie penitenziarie. Quando chiamano Gismondi per andare a fare la doccia, sopravviene il pensiero che le autorità stiano per torturarlo. Al ritorno, naturalmente, Gismondi risolve l’equivoco e c’è una risata tanto più fragorosa perché grande è lo scarto fra il sistema delle attese e la realtà.

Anche i personaggi esterni ai tre hanno la funzione di svelamento dell’equivoco: i genitori, l’avvocato, Aldo Moro per i carabinieri, sono funzioni vicarie dello spettatore. È lo spettatore che vede se stesso in diversi ruoli, immedesimandosi una volta con lo statista ragionevole, un’altra con i genitori cui è scappato il figlio. In ogni caso, s’identifica perché quei personaggi riportano con forza l’equivoco all’interno del reale, che è esattamente quello che lo spettatore, che è già in presa diretta con la successione dei fatti e con la Storia, conosce e vive. È quando l'equivoco svelato esce dalla claustrofobia di chi è in quel momento dentro quel filtro ingannevole e rientra nell’oggettività, che si ride in modo liberatorio. Questo meccanismo si può ripetere, naturalmente, in molte variazioni. Pensiamo alla telefonata di Renzo al padre:

BABBO LULLI (F.C.)

Renzo, è l’una, di notte. La mamma dorme. Cosa sta succedendo?

LULLI

Niente, babbo, va tutto bene. Volevo solo sentirvi, farvi un saluto, volevo dirvi...

Il padre lo interrompe.

BABBO LULLI (F.C.)

Renzo, se hai picchiato la

macchina, se hai fatto un incidente e non sei tornato per questo, me lo devi dì!

LULLI

Babbo, ci son cose più importanti della macchina.

BABBO LULLI (F.C.)

Lascia perde’ le cose importanti, che te non sei bono nemmeno a fa’ quelle normali. La macchina è a posto o no?

LULLI

Sì, è a posto! Babbo, ora devo andare. Saluta la mamma e mi raccomando.

BABBO LULLI (F.C.)

Mi raccomando? Renzo, se fai

un’altra cazzata, questa volta te

la faccio ricordà tutta la vita.173

Per Lulli è come se stesse dicendo “vi voglio bene proprio perché non vi vedrò più, perché c’è il colpo di stato”, ma per il padre non è altro che un del figlio di arruffianarsi, perché con ogni probabilità ha combinato un guaio con la macchina.

Passando per queste vie tortuose e imprevedibili, l’equivoco si ramifica e contagia – pervade tutto il racconto – e il paradosso è che genera                                                                                                                

conseguenze reali. Nella scena in carcere, quando Lulli si confronta col padre, alla fine gli dice che “dal viaggio ha imparato molto” e il padre invece considera invece tutta la vicenda una “cavolata cosmica”. L’equivoco, in sé e per sé, perché è uno sdoppiamento perverso del reale, e per sua intrinseca natura, può essere letto in due maniere contrapposte.

Ma come abbiamo già accennato, i confini della nostra tematica si allargano a dismisura qui: non è, poi, così vero che sia stata una cavolata cosmica. Lo fa capire bene Masi nel discorso finale: le conseguenze di quel clima devono ancora esaurirsi e, d’altronde, sul piano storico incontestabile, Junio Valerio Borghese ci proverà davvero a fare un golpe, di lì a sei mesi.