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La prima preoccupazione mia e di Lantieri è stata quella della contestualizzazione storica, che in qualche modo rientra in quello che Vanoye definisce riappropriazione.40 Questo problema è stato risolto (in montaggio –

anche se avevamo sviluppato ipotesi molto simili alla scelta finale già in

                                                                                                               

40 La premessa sottesa a questo discorso è che esista una differenza storica, sociale, politica e culturale fra l’autore adattato e quello adattante, determinata dagli anni che li separano. L’autore adattante per fare proprio il racconto deve comporre un’operazione di intermediazione culturale fra il passato e se stesso. In Francis Vanoye, Scénarios modèles, modèles de scénarios, Éditions Nathan Paris, 1991; trad. italiana, La sceneggiatura.

Forme, dispositivi, modelli, Lindau, Torino, 1998. p. 149. Armando Fumagalli nota come la riappropriazione si

renda maggiormente evidente nel cambiamento del finale, perché è il portatore del senso della storia. In Armando Fumagalli, I vestiti nuovi del narratore – L’adattamento da letteratura a cinema, Il Castoro, Milano, 2004.

alcune versioni della sceneggiatura) con un’introduzione di scritte e filmati di repertorio.

Questa possibilità ha lottato per molto tempo con altre soluzioni. La prima idea era appunto di iniziare il film con un’introduzione (come corpo autonomo) tramite alcune scritte in cui si contestualizzavano gli anni precedenti al 1970, e in particolare si tematizzava la paura del colpo di stato, si spiegavano insomma quali fossero stati gli eventi che rendevano la paura del colpo di stato in Italia pervasiva e ragionevole.

La seconda soluzione (provata e riprovata in diverse versioni alternative d’inizio della sceneggiatura) era che l’introduzione del tema della paura suscitato dal colpo di stato fosse parte della narrazione. Dovevamo quindi trovare il modo che gli stessi personaggi raccontassero questo preambolo prima della loro fuga con diverse voci over e trovate metafilmiche (un approccio alla C’eravamo tanto amati, per capirsi).

Uno dei problemi che comportava questo secondo tipo di scelta (percepita da un’ottica narrativa)41 era che, fondamentalmente, il punto di

vista del film si sarebbe diviso in tre. Avrebbe smesso di essere il punto di vista di Renzo Lulli e basta, e sarebbe diventato, di volta in volta, il punto di vista di Gismondi, Lulli e Masi, mettendo tutti e tre i personaggi alla pari.

Abbiamo capito, dopo molto lavoro di scrittura e analisi del copione che questo tipo di scelta avrebbe paradossalmente tolto forza anche agli altri personaggi. Il punto di vista di Lulli che racconta il suo rapporto con il Gismondi che “ci porta” nel mondo del Masi, in realtà, dava più spessore al rapporto fra i tre e, forse, in una maniera più sottile ed elegante.

                                                                                                               

Ma probabilmente il punto principale che alla fine ci ha fatto propendere per una scelta più lineare era che sconvolgere la narrazione della storia avrebbe tolto forza alla veridicità dell’episodio (la mano del Narratore sarebbe stata più visibile e preponderante rispetto allo svolgersi cronologico di come sono andate le cose nella realtà)42 e, inoltre, questa scomposizione

sarebbe stata possibile solo all’inizio (solo in parte minore nel centro e alla fine) del film.

Abbiamo compiuto vari tentativi che andassero in questa direzione. Per

esempio, abbiamo messo uno dei personaggi a dirigere un Tg inventato attraverso il quale, per raccontare fatti storici, abbiamo previsto sguardi in macchina, che avrebbero chiamato in causa direttamente lo spettatore,43

abbiamo pensato la tripla voce over dei tre personaggi... In definitiva, abbiamo immaginato un tipo di narrazione più barocca, metafilmica e quindi più densa, intensa, in cui il trucco e il dispositivo cinematografico si facessero più visibili. Amo moltissimo alcuni film che lo usano e tra questi ci sono alcun film cui ci siamo rifatti, come Trainspotting,44 Magnolia45 o C’eravamo tanto

amati.

Dopo un inizio così marcatamente autoriale, lo svolgersi lineare della vera vicenda avrebbe perso forza e consistenza, mentre, con la versione                                                                                                                

42 La strada che ci si prospettava è simile a quella che Francesco Casetti e Federico Di Chio hanno così precisamente descritto: “Proprio il cinema moderno vede uscire allo scoperto anche un altro tipo di racconto, che si pone al di là dei tre regimi qui esaminati [Narrazione forte, narrazione debole, anti- narrazione (NdR)], visto che in qualche modo può coesistere con ciascuno di essi. Non si tratta più primariamente di raccontare secondo i canoni tradizionali o di raccontare secondo nuovi paradigmi (se si vuole, di non-raccontare): quello che è in gioco in questa forma “trasversale” rispetto ai tre generi è più essenzialmente il raccontare il proprio raccontare, vale a dire l’esibire la propria azione di narratore, il manifestare il testo in quanto tale e il rendere espliciti i meccanismi e le grandi scelte che stanno alla base dell’intera operazione. [...] Ed è appunto questa modalità del narrare, che definiamo col termine di

metaracconto [...]”. In Analisi del film, Bompiani, Milano 1990, p. 213.

43 La cosiddetta interpellazione individuata, ancora da Francesco Casetti, in Dentro lo sguardo, Bompiani, Milano, 1986.

44 1996, sceneggiatura di John Hodge, dal romanzo di Irvine Welsh, regia di Danny Boyle. 45 1996, sceneggiatura e regia di Paul Thomas Anderson.

lineare, si sarebbe visto un inizio più discreto e meno forte, ma, comunque organico al “crescendo” della tensione e del paradosso della situazione in cui si trovano i nostri tre. Sarebbe stata, in effetti, una scelta più a favore della verità e del punto di vista dei tre personaggi, a discapito di quella dell’autore.

1.2 I modelli di riferimento: fra l’eredità della commedia