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IL DOVERE DI DILIGENTE GESTIONE

2. IL RAPPORTO TRA GESTORI E RISPARMIATORI

2.1 IL DOVERE DI DILIGENTE GESTIONE

I doveri gravanti sul gestore, come detto, ricadono nell’area dei doveri fiduciari, alla luce del connotato fiduciario che caratterizza l’attività gestoria. Facendo riferimento al modello “anglosassone” di rapporto fiduciario tali doveri sono qualificabili come dovere di lealtà (duty of loyalty) e di diligente gestione (duty of care)311, che corrispondono, nel nostro ordinamento, al requisito del gestore di operare “nel miglior interesse” del cliente (secondo il paradigma della correttezza) e, simmetricamente, in quello di operare con diligenza,312 previsti dal già citato art. 35-decies oltre che dall’art. 21 TUF ed ampiamente specificati poi nella regolamentazione secondaria. Proprio la concettualizzazione di tali doveri tipica degli ordinamenti anglosassoni sarà utile pietra di paragone per il discorso sul contenuto di tali doveri e sull’interpretazione evolutiva che si può dare ad essi, per quanto la portata ampia di simili clausole generali sia “imprigionata” dalla presenza di numerose disposizioni di dettaglio che specificano i doveri di diligenza e lealtà e finiscono per depotenziare la portata “innovativa” della clausola generale stessa.

A livello europeo, i criteri generali che regolano il comportamento dei gestori, tra cui i loro obblighi di diligenza, sono contenuti nei regolamenti attuativi delle direttive UCITS e AIFM313, che dettano sul punto peraltro regole estremamente simili.314 Quanto allo specifico aspetto della diligenza, attesa la natura professionale dell’attività di gestione dell’investimento affidata al gestore, tale standard costituisce quello

310 All’esito del lungo dibattito sulla natura dei fondi comuni di investimento, infatti, la Corte di

Cassazione, con sentenza Cass., Sez. I, 15 luglio 2010, n. 16605, in www.ilcaso.it, ha ritenuto di ricondurre la natura giuridica dei fondi a tale categoria, e non a quella di comunione tra i partecipanti del fondo o a quella di soggetto giuridico a se stante.

311 E. GINEVRA, La fiducia: il fenomeno e le tipologie. Fiducia “romanistica”, “germanistica”, “anglosassone”, in E.GINEVRA (a cura di), La Fiducia e i rapporti fiduciari. Tra diritto privato e regole

del mercato finanziario, Milano, 2012, p. 110, 137 e 126 per la riconoscibilità dell’esistenza di simili

obblighi nel nostro ordinamento come conseguenza dell’instaurarsi di un rapporto fiduciario; T. FRANKEL, Fiduciary relationships in the common law, in E.GINEVRA (a cura di), La Fiducia e i rapporti

fiduciari, cit., p. 154; F. BORDIGA, Partecipazione degli investitori istituzionali alla s.p.a. e doveri

fiduciari, cit.

312 P. SPOLAORE, Gestione collettiva del risparmio e responsabilità, p. 1150, in Riv. Soc., 2015, p. 1138. 313 Per una breve ricognizione in tema M. ANDENAS I.CHIU, The foundations and future of financial regulation: governance for responsibility, Londra, 2013, p. 161.

314 P.MCGOWAN K.EVERITT, New Requirements Imposed on the European Alternative Investment Funds Industry, in Business Law International, vol. 14 (2013), p. 113.

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attorno a cui si costruiscono le sue condotte a partire dalla fase di adozione e di monitoraggio delle scelte di investimento315, e riguarda anche la gestione delle partecipazioni azionarie possedute (e dunque l’esercizio dei diritti sociali), ambito in cui il gestore dovrà fare ricorso a particolari valutazioni tecniche proprio in quanto soggetto esperto e specificamente autorizzato all’esercizio dell’attività.316

Il significato di “diligenza”, in un complesso normativo fittamente regolamentato quale quello dell’intermediazione finanziaria ed in particolare della gestione collettiva del risparmio, implica prima di tutto un conformarsi alle regole dettate dal legislatore e dalla regolamentazione secondaria.317 Al di là delle singole regole, risulta utile considerare alcuni specifici aspetti, particolarmente incisivi per quanto inerente la prospettiva dell’utilizzo dei diritti sociali.

La ricostruzione del dovere di diligenza negli ordinamenti anglosassoni fa leva soprattutto sullo standard del “prudent man”318, standard che d’altronde è stato espressamente adottato anche a livello europeo per quanto concerne la regolazione dei fondi pensione e delle assicurazioni e che implicitamente riguarda i fondi di investimento319, viste le specifiche disposizioni regolamentari che limitano la discrezionalità dell’attività gestoria, per il resto tendenzialmente assai ampia quanto alle scelte di investimento,320 in quanto si impone a tali investitori di comporre un portafoglio sufficientemente diversificato, conformemente ai dettami della modern

portfolio theory, che nei mercati anglosassoni è diventata lo standard su cui si misura

l’adempimento del citato obbligo prudenziale.321 Si finisce dunque con l’imporre la diversificazione come strategia ottima (e come criterio di valutazione della diligenza della gestione), il che poi è simmetricamente previsto nell’ordinamento europeo, così come nel nostro ordinamento, a livello di norme che impongono una diversificazione

315 M. G. IOCCA, Commento all’art. 40, in F. VELLA (a cura di), Commentario T.U.F., cit., p. 451; G.

LEGGIERI, Commento all’art. 40, cit., p. 606.

316 G. MEO, Tendenze e problemi nell’attività fiduciaria, in Giur. Comm., 1989, 1, p. 98, a p. 135. 317 C. GANDINI, Gestione e responsabilità nei fondi comuni, cit.

318Così P. D. KINDER, New Fiduciary Duties in a Changing Social Environment, in The Journal of Investing, 2005, p. 24, a p. 25, citando il caso Harvard College V. Amory, “Trustees should model their stewardship ‘on how people of prudence, discretion, and intelligence manage their own affairs, not in regard to speculation, but in regard to the permanent disposition of their funds, considering the probable income, as well as the probable safety of the capital to be invested.’” In questo senso, a partire

dalle disposizioni in materia di fondi pensione ERISA, anche R. A. POSNER –J.H.LANGBEIN, Social

Investing and the Law of Trusts, in Mich. L. Rev., vol. 79 (1980), p 72, a p. 98; C.GECZY –J.S.JEFFERS –D.K.MUSTO –A.M.TUCKER, Institutional investing when shareholders are not supreme, in Harv. Bus. L. Rev., 2015, p. 73, a p. 80.

319C. GANDINI, Gestione e responsabilità nei fondi comuni, cit.

320 D. MAGNO, Mala gestio e profili di responsabilità, cit., p. 763. I. CHIU, Enhancing responsibility in financial regulation – critically examining the future of public–private governance: part II, in Law and Financial Markets Review, vol. 4 (2010), p. 286, parla addirittura, in riferimento a

quest’ambito, di un’area di “no regulation”.

321S. LYDENBERGH, Reason, rationality and fiduciary duty, in J.P.HAWLEY -A.G.F.HOEPNER -K.L.

JOHNSON -J.SANDBERG -E.J.WAITZER (a cura di), Cambridge Handbook of Institutional Investment,

cit., p. 289; LAW COMMISSION, Fiduciary duties of investment intermediaries, cit., p. 56; J. H. LANGBEIN, Questioning the Trust Law Duty of Loyalty: Sole Interest or Best Interest?, in The Yale Law

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del rischio.322 Ciò finisce per rendere poco proficuo se non impossibile l’attivismo.323 Si profila dunque un trade-off tra attivismo e diversificazione, e dunque tra regolazione del modo in cui deve essere svolto l’incarico di gestione e la partecipazione alla

governance.

Un altro trade-off che deriva dalle modalità attraverso cui deve essere gestito l’investimento è quello tra esigenze di liquidità ed attivismo: il gestore del fondo dovrà infatti tenere conto dell’esigenza di adempiere specifiche obbligazioni periodicamente (è il caso dei fondi pensione) o di garantire secondo quanto previsto dal regolamento ai detentori di quote del fondo la possibilità di disinvestire (nel caso dei fondi aperti). I connotati del fondo caratterizzano anche il canone della diligenza, che viene strutturato in base alle specificità del regolamento contrattuale ed in particolare in base agli obiettivi che la gestione si assume, di modo che il regolamento del fondo costituisce un parametro di riferimento per il gestore stesso, la cui discrezionalità nello svolgimento del suo incarico ha dunque dei confini ben precisi, tanto minori quanto meno rischioso (e quindi più liquido e diversificato) è il fondo amministrato (si pensi, ad esempio, ai fondi indicizzati).324

Poiché l’adempimento del dovere di diligente gestione avviene in quanto la condotta dell’intermediario è coerente con le politiche di investimento del gestore (art. 65 regolamento intermediari), queste devono essere dunque adeguatamente portate a conoscenza dei clienti. Vi è dunque un’esigenza di trasparenza da parte del gestore sia per quanto riguarda gli organi che svolgono l’attività di gestione dell’investimento, sia per quanto concerne i beni e gli strumenti finanziari in cui verrà investito il patrimonio del fondo e i criteri di selezione degli stessi (art. 37 TUF). Questo avviene nella fase di definizione dell’“identità” del fondo, in modo da assicurare l’allineamento degli interessi dei clienti con lo svolgimento della gestione.

Per il resto, l’informazione, in generale, nei fondi d’investimento, è caratterizzata dal fatto che gli atti gestori sono particolarmente complessi e mal si prestano ad un’informazione istantanea o analiticamente concernente la composizione del portafogio, anche per il fatto che l’interesse del singolo cliente non riguarda l’andamento di un singolo titolo o di un singolo emittente, ma quello del fondo nel suo complesso. Di conseguenza, l’attenzione data all’informazione, a livello precontrattuale, si focalizza sulle modalità di gestione del fondo, cioè sulle caratteristiche del servizio di gestione offerto. Si hanno poi diritti di informazione volti a garantire perlopiù un controllo successivo sull’operato del gestore e sul rendimento

322 P. SPOLAORE, Gestione collettiva del risparmio, cit., p. 1153. Si pensi in particolare agli art. 50 e ss.

della direttiva UCITS, ed in particolare all’art. 52, e, nell’ordinamento italiano, a quanto previsto dal

Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio della Banca d’Italia. 323 J. MUKWIRI –M.SIEMS, The Financial Crisis, cit., p. 64.

324 P. SPOLAORE, Gestione collettiva del risparmio, cit., p. 1170, in questo differenzia la discrezionalità

vincolata del gestore rispetto a quella che caratterizza, ad esempio, l’attività degli amministratori di società per azioni.

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del fondo, stante la scarsa incisività di un controllo di tipo preventivo alla luce dei limitati poteri di influenza attribuiti all’investitore nei riguardi del gestore.325

Ovviamente, il contenuto di una gestione diligente, per quanto di interesse ai fini del presente lavoro, non si ferma a quanto descritto (conformità alla politica di investimento, diversificazione, liquidità del fondo). Si è già fatto riferimento al dovere di esercizio del diritto di voto e, come si vedrà, la regolamentazione di secondo livello fa espresso riferimento ad un dovere di monitoraggio da parte dei gestori dell’andamento dei titoli che essi detengono nelle società partecipate, la cui generica definizione lascia però ampio spazio alla discrezionalità gestoria. Allo stesso tempo, un dovere di monitorare l’andamento degli emittenti partecipati, quantomeno rispetto al valore dei titoli, è riconducibile anche alla necessità che il gestore diligente agisca in maniera informata (articolo 65 regolamento intermediari, che richiede che i gestori acquisiscano una conoscenza e comprensione adeguata delle condizioni di liquidabilità degli strumenti e dei beni in cui si investe).

Quella di effettuare una gestione diligente è in tutta evidenza, ad ogni modo, un’obbligazione di mezzi e non di risultato, poichè, come risulta anche in una prospettiva comparatistica, quanto assume rilievo è la “procedural prudence” del gestore.326

Il risultato cui essa dovrebbe portare, secondo la generale interpretazione del concetto di diligente gestione in questo ambito è, come visto già in precedenza, la massimizzazione del rendimento finanziario, vista come l’elemento fondante il mandato gestorio.

Tale interpretazione sembrerebbe ad un primo sguardo precludere – o fortemente ostacolare – la via dell’attivismo, in quanto ad un’insoddisfazione dell’azionista istituzionale rispetto all’andamento della partecipata corrisponderà più facilmente un’opzione per l’exit.327A fortiori, ciò porta ad escludere l’idea che nel nostro

ordinamento gli investitori istituzionali debbano guardare ad altri criteri che orientino le scelte d’investimento, per quanto questi possono certo essere inseriti nelle politiche d’investimento.328

In realtà, in base alla strategia di investimento prescelta l’investitore dovrà comunque provvedere a scegliere le condotte più opportune volte a monitorare l’andamento dei titoli in cui si investe, a partire dalla stessa tipologia di monitoraggio, più o meno

325 G. MEO, Tendenze e problemi, cit., p. 131; F. GUERRERA, Contratto d’investimento e rapporto di gestione, cit., p. 713 e 773. Per un quadro delle caratteristiche attuali a livello di AIFMD in proposito

M.ANDENAS –I.CHIU, The foundations and future of financial regulation, cit., p. 177.

326 C.W.WADDELL, Fulfilling fiduciary duties in an imperfect world – governance recommendations from the Stanford Institutional Investor Forum, in J.P.HAWLEY -A.G.F.HOEPNER -K.L.JOHNSON - J. SANDBERG - E. J. WAITZER (a cura di), Cambridge Handbook of Institutional Investment and

Fiduciary Duty, Cambridge, 2014, p. 443.

327 E.AVGOULEAS J.CULLEN, Market discipline and EU corporate governance reform in the banking sector: merits, fallacies and cognitive boundaries, in Journal of Law and Society, vol. 41 (2014), p. 28,

a p. 40.

328FRESHFIELDS BRUCKHAUS DERINGER, A legal framework for the integration of environmental, social and governance issues into institutional investment (Freshfields Report), in www.unepfi.org, 2005, p.

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attenta e costosa da effettuare, fermo restando che lo standard di diligenza richiede sicuramente che l’andamento dei titoli detenuti in portafoglio vada monitorato. In secondo luogo, in base alla strategia di investimento e ai costi derivanti dalle varie opzioni a disposizione, dovrà scegliere, nel caso in cui non sia soddisfatto della gestione sociale, se optare per l’exit oppure se impiegare le sue risorse per provocare un cambiamento nella stessa. L’esercizio delle facoltà attribuite all’investitore istituzionale in quanto socio assume dunque un ruolo importante in quanto tramite esse il gestore ha a disposizione un’ampia gamma di opzioni tramite cui meglio perseguire l’interesse dei propri clienti ad un investimento redditizio. Tuttavia, in via generale, il comportamento diligente del gestore richiede un bilanciamento tra costi dell’attività dell’attività di monitoraggio e impegno e guadagni che ne deriverebbero.329

Su questo versante, evidentemente, il miglior rendimento del fondo implica che l’opzione per l’exit verrà preferita quando essa sia meno rischiosa, ovvero quando l’attivismo imponga dei costi non altrimenti recuperabili: la liquidità del mercato, le ridotte dimensioni della partecipazione, la difficoltà ad ottenere risultati concreti con l’attivismo a causa dell’assetto societario dell’emittente evidentemente tenderanno a rendere doveroso un disimpegno dell’investitore istituzionale.

In base all’interpretazione che si dà del concetto di diligenza per quanto riguarda la condotta tenuta dal gestore, l’attivismo non è dunque una scelta obbligata, ma il rilievo principale è quello del miglior perseguimento dell’interesse del cliente alla massimizzazione del rendimento; all’esito di una valutazione comparata tra le varie opzioni a sua disposizione, allora, dovrà optarsi per il livello di impegno coerente con gli obblighi assunti dall’operatore330, il che non esclude in linea di massima l’attivismo, ma lo ridimensiona alla portata di un dovere “eventuale”, come eventuale è l’esercizio dei diritti amministrativi, a differenza di quanto avviene per quanto riguarda altri specifici doveri (es. la predisposizione di assetti organizzativi adeguati per gestire i conflitti di interesse o la diversificazione del portafoglio).

Come accennato, un parametro essenziale per la valutazione della diligenza nella gestione (e per valutare il livello di attenzione all’esercizio dei diritti sociali) è quello della conformità alle politiche di gestione cui si obbliga il gestore stesso.

Su un piano pratico, un particolare indice di rilievo può poi essere ritenuto quello del “benchmark”, cioè un parametro oggettivo il cui andamento funge da riferimento per la strategia di investimento del fondo e, quel che è più importante (e discutibile), per valutarne la performance.331 La performance relativa rispetto agli indici di mercato

329 G. LEGGIERI, Commento all’art. 40, cit., p. 606, in particolare nt. 10.

330 Sottolinea la posizione “servente” della funzione di esercizio dei diritti sociali F. GUERRERA, Contratto d’investimento e rapporto di gestione, cit., p. 778 “la partecipazione attiva del gestore alla società posseduta (per conto altrui) non potrebbe non restare confinata nei limiti obiettivi dell’incarico ricevuto e asservito allo scopo di massimizzazione del capitale”.

331 M. COSSU, Contratti di gestione di portafogli di investimento, in E.GABRIELLI R.LENER (a cura

di), I contratti del mercato finanziario, pp. 631-632, facendo altresì riferimento alle indicazioni disciplinari inerenti i benchmark contenute nel regolamento intermediari. Sempre sul tema del benchmark F. VELLA, Commento all’art. 40, in G.F.CAMPOBASSO (a cura di), Testo unico della

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assume un ruolo fondamentale per valutare la diligenza del gestore, e tale ruolo fondamentale dei benchmark si riflette anche sul piano legale, ove è ad esempio espressamente stabilito che dei parametri di riferimento utilizzati viene data comunicazione nel prospetto e nel Key Investor Information Document (KIID) previsto dalla direttiva UCITS.

Ciò ha consistenti effetti sulle scelte di investimento in due modi: da un lato implica che il perseguimento di obiettivi che non si riflettono in un miglioramento della

performance rispetto al benchmark non è coerente, nella prospettiva del gestore di un

fondo, con il contenuto dei suoi doveri. In secondo luogo, pone un problema di non perseguimento di un miglior rendimento del fondo in termini assoluti: la gestione diligente di un fondo è infatti concepita come gestione che è in grado di massimizzare la performance relativa al benchmark individuato, e non al valore assoluto degli asset che compongono il fondo. Ciò può dare vita ad incentivi distorti.332

L’assunzione della prospettiva illustrata si pone in contrasto con la possibilità di ritenere che l’attivismo sia in qualche modo configurabile come un dovere che l’investitore istituzionale ha nei confronti della società, o, meglio, che i diritti sociali vadano esercitati tenendo in considerazione non solo l’interesse dei clienti del fondo o dei fondi amministrati dal gestore, ma anche l’interesse della società i cui titoli sono detenuti in portafoglio.

È stato rilevato come l’interesse sociale possa, al limite, fungere da condizionamento del modo in cui i diritti sociali vengono esercitati333, nel senso che nel perseguire l’interesse dei propri clienti il fondo non può comunque esporsi alla responsabilità derivante da una condotta abusiva nei confronti della società partecipata.334

Le considerazioni sinora svolte sono il presupposto anche del Green Paper The EU

corporate governance framework335 che si fonda proprio sull’assenza, in via generale, di un “need to engage” per gli investitori istituzionali. Tuttavia, in esso si ritiene sussistente un livello subottimale di engagement da parte dei gestori a causa della relazione di agency intercorrente tra investitori istituzionali (o asset owners) e gestori (asset managers). Prospettiva, questa, da cui si “rimuove” il beneficiario dell’attività di investimento, che pure resta in fin dei conti sottinteso336, per quanto le esigenze del risparmiatore retail tendano a configurarsi in modo diverso (ed ancor più meritevole di eterotutela), rispetto all’asset owner “professionale”, atteso che questi ha ancor meno strumenti di difesa da eventuali abusi o da inadempimenti dei doveri proprio

finanza, cit.; A. BELTRATTI, Il benchmark e i fondi comuni: la teoria, in Benchmark e i fondi comuni a

cura di Assogestioni, in www.assogestioni.it, 1999.

332Supra, nt. 99, riferimento al fenomeno del c.d. underweighting.

333 F. BORDIGA, Partecipazione degli investitori istituzionali alla s.p.a. e doveri fiduciari, cit.

334 V’è da chiedersi, sul punto, se un simile abuso comporterebbe sempre una responsabilità nei

confronti dei partecipanti al fondo o se ciò avverrebbe solo laddove la perdita derivante da un’ipotetica responsabilità nei confronti della società partecipata danneggiata non sia adeguatamente compensata da altri vantaggi.

335 COMMISSIONE EUROPEA, Green Paper “The EU Corporate Governance Framework”, p. 11 ss. 336 M.EREDE G.SANDRELLI, Attivismo dei soci e investimento short-term, cit.

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dell’intermediario, come anche possiede minori capacità di analizzare le informazioni ricevute.

Tra le cause di questa carenza di engagement e dello short-termism degli operatori viene collocata, oltre alla struttura degli incentivi, orientati allo short-term, anche la mancanza di trasparenza per quanto concernente l’esercizio dei doveri fiduciari, in particolare quanto a “il costo della rotazione del portafoglio, la compatibilità o meno

della rotazione del portafoglio con la strategia scelta, i costi e i benefici derivanti da un impegno attivo”, come anche “la pubblicazione di informazioni sul livello e sulla portata dell'impegno attivo nelle società detenute”. L’idea, dunque, è che i doveri

fiduciari non siano perfettamente adempiuti dal gestore quanto a questi specifici profili e che sia necessaria una maggiore trasparenza in merito.

Come si vedrà, il legislatore europeo e i regolatori nazionali hanno predisposto alcune misure volte ad aumentare la trasparenza su queste materie. Tuttavia, è necessario prima di tutto porsi due differenti problemi: quello del rapporto tra short-termism e tutela dell’interesse degli end beneficiaries, atteso che non è affatto scontato nè che essi si curino del lungo periodo nè che, in tal caso, siano in grado di sollecitare in tal senso i gestori: a tal proposito, bisogna analizzare se sia “superabile” la descritta interpretazione del concetto di diligenza nel settore della gestione del risparmio in monte. In secondo luogo, la moltiplicazione dei livelli di intermediazione rende ancor più necessario individuare degli specifici contenuti del dovere a prescindere dalla capacità dei beneficiari della gestione di intervenire in tal senso.