1. LE CRITICHE AL CODE ED I SUOI RISULTATI
1.1 IN PARTICOLARE: L’APPROCCIO DI SOFT LAW
Data l’importanza di incentivare l’attivismo, deve valutarsi l’opportunità della scelta di stabilire questi principi seguendo un approccio di soft law. Si è già notato556 come l’attivismo possa essere considerato una sorta di bene pubblico in quanto impone costi che devono essere sopportati da chi si fa carico di tenere un comportamento attivo mentre i vantaggi, in termini di una migliore performance dell’emittente o di dividendi più elevati pagati agli azionisti beneficiano anche gli investitori passivi e la società nel
554 Deve notarsi come la preferenza per la gestione dei conflitti d’interesse piuttosto che per un assoluto
divieto di operare in presenza degli stessi sia una scelta generale del legislatore europeo nel settore della prestazione dei servizi d’investimento, come avviene, ad esempio, nelle direttive MIFID.
555 S. C. Y. WONG, How conflict of interests thwart institutional investor stewardship, cit., p. 482. 556 Supra, cap. I, para. 4.2.3.
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suo complesso. Dunque, è dubbio che norme contenute in un codice di autodisciplina (come quello italiano) o in discipline più cogenti ma che comunque sono caratterizzate da un approccio “comply or explain” possano spingere gli asset managers ad una condotta che, a causa di tali costi, può essere vista come inefficiente a livello della singola società di gestione del risparmio in quanto contrastante con la massimizzazione del rendimento dell’investimento. La prassi del mercato sembra aver già mostrato come l’attivismo non sia di grande interesse per gli investitori istituzionali, salvo alcuni casi specifici, ed è difficile pensare che dei semplici codici di soft law possano radicalmente cambiare questa realtà.
Allo stesso tempo tale problema di mercato si presenta non solo laddove si persegua l’obiettivo di “aumentare” l’attivismo, ma anche laddove si tratti di migliorarne la qualità. Se l’obiettivo dei codici di stewardship o del legislatore europeo è quello di promuovere un engagement di lungo periodo e responsabile, non si può non rilevare l’ostacolo, già affrontato, della tendenza dei gestori a perseguire politiche di investimento orientate al breve periodo, anche quando l’orizzonte della loro attività gestoria non renda necessario tale orientamento o quando sia contrastante con esso. Oltre agli specifici problemi concernenti la questione dell’attivismo, va ricordato che lo stesso Green Paper della Commissione Europea, che promuoveva l’impegno di lungo periodo degli investitori istituzionali, ha sollevato la questione della limitata efficacia delle forme di regolazione di soft law. Esso notava che, nonostante tali codici siano strumenti di indubbia utilità, la spiegazione della non adesione agli stessi è spesso non soddisfacente (e la stessa adesione è spesso inefficace).557 Gli investitori istituzionali stessi, in una sorta di circolo vizioso, sovente non prestano sufficiente attenzione al monitoraggio della compliance e delle affermazioni sulla corporate
governance, che sono spesso in effetti “boilerplate”558, “aria fritta”. Dunque, il rischio è che gli investitori istituzionali trattino la stewardship come oggetto di una
compliance meramente formale senza prestare davvero attenzione alla condotta da
tenere. In assenza di un effetto disciplinante del mercato, il modello comply or explain difficilmente produrrà risultati apprezzabili.559
Invero vi sono delle buone ragioni per introdurre i principi di stewardship seguendo un approccio di soft law. Quello di soft law è uno degli strumenti maggiormente utilizzati per regolare la corporate governance in un contesto in cui le imprese operano a livello sovranazionale, e questo è particolarmente vero nel caso dell’industria dell’asset management. In alcuni paesi europei, la maggior parte degli investitori
557 J. B. ANDERSSON, Evolution of Company Law, Corporate Governance Codes and the Principle of Comply or Explain – A Critical Review, in H.S. BIRKMOSE -M.NEVILLE -K.E.SORENSEN, The
European Financial Market in Transition, cit., p. 100 ss.; D. ARSALIDOU, Shareholders and Corporate
Scrutiny: The Role of the UK Stewardship Code, in European Company and Financial Law Review,
2012, p. 342, a p. 356.
558 COMMISSIONE EUROPEA, Green Paper “The EU Corporate Governance Framework”, cit., p. 18-19. 559 I. CHIU, Enhancing responsibility in financial regulation: part II, cit., p. 296; J. B. ANDERSSON, Evolution of Company Law, cit., p. 98.
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istituzionali che possiedono partecipazioni in società quotate, in effetti, proviene da paesi stranieri.560
In generale, la scelta di codici di buone pratiche è estremamente diffusa nel settore della corporate governance, ove è vista come un modo per produrre cambiamenti effettivi in presenza di prassi consolidate.561 In particolare, in Europa, è stata spesso utilizzata dal legislatore britannico, il cui esempio è stato seguito in altri ordinamenti europei.562
I principi di stewardship riguardano poi una particolare area di regolazione, in quanto sono situati in una zona di confine tra i normali doveri che gli asset managers hanno nei confronti dei loro clienti ed una nuova visione di tali doveri e degli interessi che devono tutelare. La natura innovativa di tale nozione implica che sia necessario del tempo per creare un ampio consenso, sia a livello del singolo ordinamento che a livello internazionale, su questa materia, e dunque un approccio “morbido” è essenziale. 563 Ciò stimolerebbe un cambiamento culturale degli investitori istituzionali ed aumenterebbe la loro consapevolezza della necessità di cambiare il modo in cui approcciano la partecipazione alla governance degli emittenti.
Ancora, la soft law, come metodo di regolazione, è il miglior modo per affrontare questioni che richiedono un approccio di disciplina particolarmente sfaccettato, a causa della loro complessità, della presenza di interessi diversi e di diversi
stakeholders. Questo è il caso dell’industria dell’asset management.564 In effetti, l’engagement degli azionisti dovrebbe essere affrontato in modi diversi negli stati membri dell’Unione che sono sovente caratterizzati da un mercato del controllo azionario concentrato e non diffuso, o da una maggiore o minore presenza di investitori esteri. Inoltre, le caratteristiche della investment chain in differenti paesi meritano un approccio differenziato.565
560 Ciò avviene, ad esempio, nel Regno Unito (B. R. CHEFFINS, The Stewardship Code’s Achilles’ Heel, cit., p. 1018).
561 A. ZATTONI –F.CUOMO, Why Adopt Codes of Good Governance? A Comparison of Institutional and Efficiency Perspectives, in Corporate Governance: An International Review, 2009.
562 K. J. HOPT, Comparative Corporate Governance: The State of the Art and International Regulation,
in American Journal of Comparative Law, 2011, p. 1; I. CHIU, Learning from the UK, cit., p. 14.
563 K. SERGAKIS, The UK Stewardship Code, cit., p. 135, il quale nota come l’approccio di soft law sia
in questa fase funzionale a raggiungere un livello minimo di compliance con gli stewardship principles, raggiunto il quale sarebbe opportuno passare ad un sistema di hard law.
564 Proprio al fine di “taking of better account of the considerable factual and national differences”, ad
esempio, ECLE, Shareholder engagement and identification, in papers.ssrn.com, 2015, suggerisce che le previsioni in tema di engagement policy contenute nella nuova direttiva dovrebbero essere introdotte non in uno strumento di hard law, quale è una direttiva, ma attraverso uno strumento non vincolante, come una raccomandazione. Viene da chiedersi però quanto efficace sarebbe un intervento di questo tipo.
565 Ad ogni modo, la direttiva come strumento regolatorio implica che queste differenze possono essere
affrontate a livello nazionale, sia per la sua stessa natura, sia perché essa è estremamente generica quanto ai contenuti specifici delle politiche di impegno. Non va poi dimenticato che in questo settore l’armonizzazione è questione fondamentale, anche a causa del fatto che gli investitori istituzionali operano a livello transnazionale.
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La positività di un modello di soft law in quest’ambito è mostrata anche dal fatto che anche in altri ordinamenti, come visto566, simili soluzioni sono state utilizzate per gli stessi principi di stewardship.
Tuttavia la scelta di un approccio di soft law, nonostante le numerose buone ragioni che militano a suo favore, non è indiscutibile. Come accennato, un parziale mutamento nell’approccio regolatorio prescelto è mostrato dalla nuova direttiva, che segnala un allontanamento dall’approccio di soft law e dal modello “comply or explain”.
Questo nuovo approccio ibrido sta nel fatto che le regole sulla stewardship non sono più inserite in codici di autodisciplina, derivanti dagli operatori del settore, come avveniva direttamente (in Italia) o indirettamente (nel Regno Unito) in precedenza. Esse sono contenute in uno strumento di hard law che obbliga i vari stati membri ad adottare regole in tema, prendendo dunque atto, almeno in parte, della difficoltà ad avere una regolazione omogenea ed efficace da parte dei soli operatori privati.567 Il nuovo orientamento tende a distanziarsi da quello dell’autoregolazione. Lo sviluppo di una politica di impegno, secondo le proposte di emendamento, resta comunque opzionale ma, e questo sembra un altro fattore rilevante, la nuova direttiva adotta comunque un sistema di opt-out rispetto a tutti gli operatori, invece di obbligare solamente i firmatari (che dunque devono decidere un opt-in) come nello stewardship
code. Inoltre, gli investitori istituzionali devono “a clear and reasoned explanation”
in caso decidano di non aderire.568 Dunque, ogni investitore istituzionale deve fornire una giustificazione adeguata per la non adesione, il che sembra innalzare il livello di
compliance richiesto rispetto al comply or explain.
Inoltre, non deve dimenticarsi che gli articoli 3h e 3i, per cui l’approccio comply or
explain è messo quasi del tutto da parte, riguardano la disclosure di informazioni su
elementi delle strategie di investimento concernenti l’engagement o funzionali ad esso. In conclusione, possiamo vedere una sorta di cambiamento nel modo in cui la materia è regolata, nella direzione di un inasprimento delle previsioni: l’approccio di soft law cede il passo ad uno parzialmente di hard law. Il conflitto tra hard e soft law potrebbe condurre, considerando il trend legislativo e la natura delle regole, verso una definitiva scelta dell’approccio di hard law, nonostante ciò probabilmente avverrà soltanto quando una visione più stabile di come regolare il comportamento degli investitori istituzionali verrà definita. 569 In ogni caso, nei prossimi paragrafi, si tenterà di suggerire come le regole di soft law possano essere rese più effettive.
Giova però sin d’ora esaurire il discorso della possibilità di rendere, anche senza intervenire sui contenuti del quadro disciplinare attualmente in vigore, più effettivo l’approccio comply or explain. Esso potrebbe infatti ancora essere rafforzato prendendo ad esempio le modalità di implementazione “rafforzata” che in taluni
566 Supra, nt. 521.
567 MILLSTEIN CENTER FOR CORPORATE GOVERNANCE AND PERFORMANCE, Pay, Risk and Stewardship, cit., pp. 16-17.
568 Nel caso dello Stewardship Code le imprese autorizzate alla gestione di fondi devono comunque
comunicare la loro strategia di investimento alternativa nel caso non aderiscano al Code.
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ordinamenti sono proprie dei Codici di corporate governance. 570 Si tratta di un approccio regolatorio di “enforced self-regulation” che cerca di tenere insieme i benefici dell’autoregolazione e, al contempo, rendere maggiormente effettiva l’adesione a tali regole.571
Ad esempio, la significatività delle spiegazioni che giustificano la non-compliance può essere vista come requisito necessario per ottenere l’autorizzazione a svolgere l’attività di gestione del risparmio (o alcune tipologie di attività, ad esempio quelle legate a responsabilità di lungo periodo, che dunque richiedono un più attento monitoraggio e partecipazione alla governance). Ancora, potrebbe scegliersi di dare potere alle autorità pubbliche per monitorare la qualità delle spiegazioni e l’effettività della
compliance572, attribuendo alle stesse un potere di stimolare l’adesione ai principi di
stewardship se non addirittura di sanzionare le violazioni più gravi573: si avrebbe allora una sorta di moral suasion nei confronti dei gestori allo scopo di far sì che essi producano politiche di impegno responsabili e, quel che è più rilevante, le seguano effettivamente.574 Questo effetto collaterale potrebbe essere un risultato secondario più importante del miglioramento della qualità delle spiegazioni sulla compliance (o la
non compliance) di per se stesso, dato che il mercato non è in grado di valutare
adeguatamente le spiegazioni stesse.
Un altro modello potrebbe essere quello dei Codici di Corporate Governance adottati in Germania o nei Paesi Bassi, dove l’adesione ad essi è obbligatoria e le deroghe sono limitate solo ad ipotesi specifiche, con le relative spiegazioni. Il Codice deve essere rispettato, ma la flessibilità sta nella possibilità di non applicare regole specifiche, dato che alcune di esse non richiedono l’adesione dei gestori in base, ad esempio, alla loro dimensione. Una simile soluzione rispetterebbe l’intento di differenziare gli investitori in base alle loro caratteritiche ma al contempo aiuterebbe nell’implementare i principi di stewardship. 575
570 Per una discussione generale sulle proposte sui meccanismi di enforcement delle regole in tema di
“comply or explain” si veda K. J. HOPT, Corporate Governance in Europe: A Critical Review of the
European Commission’s Initiatives on Corporate Law and Corporate Governance, in papers.ssrn.com,
2015, p. 50; ECLE, Making Corporate Governance Codes More Effective: A Response to the European
Commission's Action Plan of December 2012, in papers.ssrn.com, 2013.
571 I. CHIU, Enhancing responsibility in financial regulation – critically examining the future of public– private governance: part 1, in Law and Financial Markets Review, vol. 4 (2010), p. 170.
572 J. B. ANDERSSON, Evolution of Company Law, cit., p. 104. Una simile soluzione è raccomandata
anche dal Libro Verde “The EU corporate governance framework” allo scopo di rafforzare l’applicazione dei codici di corporate governance.
573 Come avviene, per quanto riguarda i codici di corporate governance, nell’ordinamento spagnolo, S.
ALVARO -P.CICCAGLIONI –G.SICILIANO, L’autodisciplina in materia di corporate governance, in
www.consob.it, 2013, p. 57.
574 Senza dimenticare però che l’attribuzione di un ruolo di monitoraggio alle Autorità pubbliche in
quest’ambito mostra numerose criticità, evidenziate ad esempio in S.ALVARO -P.CICCAGLIONI –G. SICILIANO, L’autodisciplina in materia di corporate governance, cit., p. 51. Va detto che tra tali criticità vi è anche il rischio che un enforcement pubblicistico sulla qualità dell’informativa rischierebbe di diventare un “sindacato di merito sulle scelte societarie” il che, alla luce di quanto si dirà, più che un rischio appare un’opportunità nell’area in esame.
575 E. WYMEERSCH, Enforcement of Corporate Governance Codes, in Journal of Corporate Law Studies, vol. 6 (2006), p. 113.
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L’obbligo di aderire al codice delineato in alcune di queste ipotesi comporterebbe anche una responsabilità del gestore verso i suoi clienti nel caso non pubblichi le informazioni riguardo la sua compliance o non si adegui nella pratica a quanto comunicano.
Le soluzioni delineate, in generale, avrebbero dunque il risultato di rafforzare il concetto di stewardship ma, al contempo, mantenere la flessibilità come un elemento chiave della regolazione in questo settore. Dalla possibilità di rafforzare le regole di
soft law si muoverà allora quando si tratterà di proporre un nuovo quadro al fine di
disciplinare in modo più articolato le condotte dei gestori.