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GLI INTERESSI DA TUTELARE E IL DOVERE DI LEALTÁ

2. IL RAPPORTO TRA GESTORI E RISPARMIATORI

2.2 GLI INTERESSI DA TUTELARE E IL DOVERE DI LEALTÁ

Uno dei profili che assume particolare interesse, e rende difficilmente valutabile l’operato dell’investitore istituzionale è la più o meno ampia discrezionalità che non si può non riconoscergli nella gestione del patrimonio affidatogli. Ciò è vero in particolare in relazione a quella specifica funzione che è l’esercizio dei diritti sociali, innanzitutto per il fatto che l’attivismo, come delineato in precedenza, è attività dagli esiti assai incerti e, in generale, la cui effettiva vantaggiosità è ampiamente dibattuta, ed in secondo luogo per l’assenza di una disciplina specifica che limiti la discrezionalità gestoria.

Inoltre, la qualità delle scelte effettuate è estremamente difficile da valutare. Se v’è chi l’ha ricondotta all’ambito del “business judgement”337, si può rafforzare tale valutazione in quanto l’attività di monitoraggio e l’eventuale intervento nella gestione societaria dell’investitore istituzionale si configura come un caso di business

judgement “al quadrato”, visto che l’influenza sull’emittente è solo indiretta e come

tale si restringono ulteriormente gli spazi di sindacabilità delle scelte effettuate, sia per

337 R. COSTI, Risparmio gestito e governo societario, cit., p. 320; in senso per certi versi opposto, ritiene

estremamente limitato lo spazio per l’applicazione della business judgement rule alla gestione collettiva del risparmio P. SPOLAORE, Gestione collettiva del risparmio, cit., il quale d’altronde sostiene che solo laddove si tratti di gestioni “imprenditoriali”, ed è sicuramente il caso dell’attivismo, la stessa business

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quanto concerne svolgimento dell’attività di monitoraggio, sia in termini di effettivo risultato ottenuto attraverso l’intervento.

Stante tale difficoltà valutativa e la relativa libertà gestionale, fra i doveri normalmente gravanti sul gestore in un rapporto fiduciario si fa rientrare anche un dovere di lealtà (duty of loyalty), che impone di agire nell’esclusivo interesse (sole interest) dei beneficiari dell’attività gestoria, e non nell’interesse di soggetti terzi o del gestore stesso. Si tratta di un problema oggi particolarmente acuito dalla presenza di una “investment chain” estremamente complessa, nel contesto della quale agiscono più intermediari con differenti interessi potenzialmente in conflitto con quelli degli investitori.338

Nel caso specifico, tuttavia, la lettera della norma del Testo Unico della Finanza sembra suggerire un differente e alternativo requisito, quello del perseguimento del “miglior interesse” (best interest) dei clienti, che può essere interpretato in senso meno restrittivo e come parzialmente “permeabile” rispetto ad altri interessi.339

Specificazioni di questa regola generale stanno nel fatto che l’operatore deve altresì limitare i conflitti d’interessi che possono nascere tra fondi diversi ed assicurare la parità di trattamento tra i beneficiari dello stesso fondo (duty of impartiality).

La descrizione dei doveri fiduciari su questo versante vede, a livello di disciplina, innanzitutto la necessità di affrontare il tema dei conflitti d’interesse che possono presentarsi nella gestione delle partecipazioni. Va notato, che le società di gestione del risparmio sono caratterizzate nello svolgimento della propria funzione dalla sussistenza di due diversi interessi che devono essere perseguiti a livello gestionale. Da un lato, si situano gli interessi dei risparmiatori che divengono clienti della Società di Gestione; d’altro canto, si situano gli interessi dei soci della SGR, e dunque il perseguimento dell’interesse sociale della stessa SGR in senso stretto. Tali interessi, come già visto340, possono in taluni casi situarsi in conflitto, con riguardo sia alle scelte di investimento o di disinvestimento effettuate sia alle scelte inerenti l’esercizio dei diritti sociali.341

È proprio la compresenza di tale doppio interesse che rende necessaria la specificazione del fatto che le SGR provvedono al voto “nell’interesse dei

partecipanti” al fondo di cui all’art. 35-decies c. 4 TUF, e che, su un piano più

generale, rende necessaria la precisazione, contenuta all’interno dello stesso articolo, che gli investitori “si organizzano in modo tale da ridurre al minimo il rischio di

conflitti di interesse anche tra i patrimoni gestiti e, in situazioni di conflitto, agiscono in modo da assicurare comunque un equo trattamento degli Oicr gestiti”.

338 J. HAWLEY A. WILLIAMS, Universal Owners: challenges and opportunities, in Corporate Governance: An International Review, vol. 15 (2007), p. 415.

339D’altronde anche negli ordinamenti anglosassoni nello specifico settore dei mutual funds lo standard

è oggi quello del “best interest”, J. H. LANGBEIN, Questioning the Trust Law Duty of Loyalty, cit., p. 974.

340Supra, cap. I, para. 4.2.3.

341 M. STELLA RICHTER, Intervento e voto con strumenti finanziari di pertinenza di fondi comuni d’investimento, in R. D’APICE (a cura di), L’attuazione della MIFID, Bologna, 2010, p. 442.

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In via generale, i conflitti d’interesse nel settore della gestione collettiva del risparmio trovano la loro fonte di disciplina nel Regolamento Congiunto (artt. 46-49), il quale a sua volta richiama diffusamente il Regolamento Europeo 231/2013 (artt. 30-37, nel cui contesto, curiosamente, rientrano anche le regole in tema di strategie di voto). Esso stabilisce, fondandosi sull’art. 35-decies del TUF (secondo cui i gestori “si

organizzano in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse”) e

seguendo un approccio di c.d. metaregulation342, un modello fondato prevalentemente su requisiti procedurali per la gestione del conflitto d’interessi (art. 33 AIFMD), preferendoli a modelli che prevedano la disclosure del conflitto (il che invece caratterizza almeno parzialmente i servizi di gestione individuale) o che impongano un radicale divieto delle operazioni in conflitto d’interessi. Ciò risulta d’altronde naturale, atteso che nella gestione in monte molto minore è lo spazio per il dialogo tra gestore ed investitore rispetto alla gestione individuale.343 Proprio a causa di ciò, si predispongono perlopiù strumenti di eterotutela di fronte a situazioni di conflitto, a partire dalla previsione del depositario e dalla riserva di attività di sola gestione attribuita alle SGR. 344 Va poi detto che un ruolo importante lo ha anche l’autoregolamentazione, ed in particolare, nel nostro ordinamento, il Protocollo di Autonomia di Assogestioni (su cui infra, p. 134).

La trasparenza ha dunque uno spazio limitato nel disciplinare le situazioni di conflitto d’interesse. Era stata suggerita l’idea che si potesse applicare nel settore dei servizi d’investimento collettivi, anche in relazione all’esercizio del potere/dovere di voto, la più incisiva disciplina in materia di conflitto d’interessi prevista dall’art. 21 TUF, inerente i servizi d’investimento prestati a livello individuale.345 Questa assicura infatti che, a fianco all’obbligo di gestire in modo adeguato i conflitti di interesse, si situi quello di comunicare ai clienti il caso in cui sia comunque presente il rischio di ledere gli interessi dei clienti, e che ciò avvenga in via preventiva rispetto al compimento dell’operazione. Tale ipotesi è sostenuta sia in quanto accentuare in tal modo i doveri di trasparenza corrisponde alle clausole generali previste simmetricamente dallo stesso art. 21 TUF e dalle disposizioni in materia di gestione collettiva dell’investimento, sia richiamandosi alla disciplina in materia di mandato. Si tratta probabilmente di indici non sufficienti a supportare questa posizione. Nell’ambito della disciplina dei servizi d’investimento, risulta arduo proporre interpretazioni espansive fondate sull’uso delle clausole generali, atteso che queste sono ampiamente specificate a livello regolamentare in modo tale che il silenzio del legislatore può facilmente essere ricondotto alla nolizione di una specifica regola. Anche il richiamo al mandato non è probabilmente soddisfacente. Facendo riferimento alla disciplina di tale tipo contrattuale, infatti, ed in particolare alla disposizione di cui all’art. 1710 c. 2, si

342 M. ANDENAS I.CHIU, The foundations and future of financial regulation, cit., p. 168.

343 R. LENER, Conflitti di interesse nella prestazione dei servizi di investimento e nella gestione collettiva, in R. D’APICE (a cura di), L’attuazione della MIFID, cit., p. 368.

344 R. LENER, Conflitti di interesse, cit., pp. 368-371.

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funzionalizza l’informazione preventiva sull’inevitabilità del pregiudizio derivante dal conflitto all’esercizio del potere di direzione che è riconosciuto al mandante, ma che è assai depotenziato, ove non assente, nella vicenda contrattuale tra investitore e gestore in monte. Inoltre, la differenza della figura del contratto d’investimento rispetto a quel tipo contrattuale, di cui già si è dato conto, è tale da non giustificare un’interpretazione estensiva nel momento in cui lo specifico aspetto del conflitto di interessi è stato già disciplinato dal legislatore, seppur in modo “leggero”, proprio nell’ambito dei contratti di investimento.

Oggi, quantomeno per i fondi alternativi, una forma di comunicazione preventiva della sussistenza di un conflitto, simile a quella inserita nella MIFID in situazioni di impossibilità di gestire adeguatamente il conflitto stesso,346 è prevista dall’articolo 14 c. 2 AIFMD, come richiamato dalla più completa disciplina in tema contenuta nel Regolamento 231/2013 all’art. 35 c. 1; differentemente, la direttiva 2010/43/UE di attuazione della direttiva UCITS stabilisce che in simili situazioni “l’alta dirigenza o

un altro organo interno competente del GEFIA è informato prontamente”, ed è

questa norma (presente nello stesso regolamento 231/2013 all’articolo 34) che viene richiamata nel Regolamento Congiunto, che dunque non sembra prevedere per la generalità dei fondi un’informazione preventiva. Questa si deve dunque ritenere presente ai sensi della disciplina europea nei soli fondi alternativi, che sono d’altronde quelli in cui, alla luce della natura dell’attività d’investimento, essa ha probabilmente più senso, atteso che in tali tipi di Organismi di Investimento Collettivo è più probabile che in presenza di un conflitto d’interessi i clienti possano decidere di intervenire).347 L’informativa sulla gestione dei conflitti d’interesse è invece prevista in modo generale per quanto riguarda la fase successiva all’operazione, ed in particolare con riferimento all’art. 47 del Regolamento Congiunto “illustrando la decisione assunta

dagli organi o dalle funzioni competenti e la relativa motivazione” per quanto

concernente i casi in cui sia chiamata in causa l’alta dirigenza o altri organi interni. A livello contenutistico, il tipo di conflitto che più può influire nella specifica materia dell’esercizio dei diritti sociali è quello concernente l’eventuale sussistenza di legami tra altre imprese facenti parti del gruppo del gestore e le società partecipate dallo stesso. Da questo punto di vista, il regolamento congiunto, sulla scorta della disciplina europea, prevede tra i conflitti d’interesse anche quelli riguardanti “qualsiasi persona

o entità avente stretti legami con il gestore o un soggetto rilevante”.

346 Vale a dire nelle situazioni in cui “le modalità organizzative adottate dal GEFIA per individuare, prevenire, gestire e monitorare i conflitti di interesse non bastano a garantire, con ragionevole fiducia, che sia evitato il rischio di ledere gli interessi degli investitori, il GEFIA informa chiaramente gli investitori, prima di agire per conto loro, della natura generale o della fonte dei conflitti di interesse, ed elabora politiche e procedure adeguate”.

347 Per qualche considerazione in tema si veda E. GUFFANTI, La Direttiva sui fondi alternativi: prime considerazioni, in Le Società, 2011, p. 1181, a p. 1186. Ad ogni modo, come rilevano M.ANDENAS –I. CHIU, The foundations and future of financial regulation, cit., p. 169, è difficile comprendere come sul piano pratico possa avere effetti la disclosure a favore dei clienti.

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Un ruolo centrale è poi quello della Politica di gestione dei conflitti d’interesse, che deve individuare i possibili conflitti d’interesse e le relative misure di gestione, come previsto all’art. 33 AIFMD. Ai sensi del comma secondo dello stesso articolo

“Qualora il GEFIA appartenga ad un gruppo, tale politica tiene conto anche delle circostanze, di cui il GEFIA è o dovrebbe essere a conoscenza, che potrebbero causare un conflitto di interesse risultante dalla struttura e dalle attività degli altri membri del gruppo”. Ci si potrebbe chiedere se i conflitti d’interesse inerenti l’esercizio dei diritti

sociali in particolare possano non rientrare tra quelli in grado di “ledere gravemente” gli interessi dei clienti su cui la politica di gestione si deve focalizzare. Tuttavia, che essi abbiano un particolare rilievo è dimostrato, come si vedrà, dalle disposizioni in materia di strategia di voto.

Al di là di possibilità di interpretazione espansiva delle norme in tema di conflitto di interessi che, come detto, non convincono appieno, dunque, il modello fondamentalmente è quello di richiedere la predisposizione di presidi di carattere organizzativo. Per quanto qui più di interesse, d’altronde, è estremamente chiara la disposizione dell’art. 37 AIFMD prevedendosi che, tra i compiti delle strategie inerenti l’esercizio del diritto di voto, si situi quello di “prevenire o gestire ogni conflitto di

interesse risultante dall’esercizio dei diritti di voto”.