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LE DEBOLEZZE DI UN APPROCCIO DISCLOSURE-BASED

1. LE CRITICHE AL CODE ED I SUOI RISULTATI

1.2 LE DEBOLEZZE DI UN APPROCCIO DISCLOSURE-BASED

Le possibili criticità dell’approccio disclosure-based che caratterizza la regolazione dell’esercizio delle proprie facoltà proprietarie da parte degli investitori istituzionali sono diverse. Va rilevato innanzitutto che un approccio critico prende spunto dalla considerazione che in determinati casi la disclosure può addirittura essere ostativa ad un impegno degli azionisti, a causa della tendenza che questi potrebbero assumere a seguire un approccio mainstream o a votare con il management576: sono certo preoccupazioni condivisibili, tuttavia sembra inevitabile il trade-off tra minor permeabilità degli investori ai conflitti di interessi (in caso di non-disclosure) e maggiore pressione del mercato (in caso di disclosure) sugli stessi. Se, tuttavia, quello che interessa non è incentivare qualsiasi attivismo, ma un tipo di attivismo che sia responsabile o orientato al lungo periodo, sembra corretto propendere per una maggiore trasparenza, che se diminuisce la possibilità di partecipazione o tende a rendere conformista la condotta dei gestori, al contempo la pone in un rilievo tale da consentire una “discussione” pubblica in tema.

Fatta questa premessa, va detto che le maggiori criticità su questo piano si annidano non sul piano dell’opportunità della trasparenza come soluzione ai problemi della carenza di attivismo, ma sul piano della sufficienza di tale soluzione.

Il fatto che i principi di stewardship si configurino più come riguardanti la trasparenza che come vere e proprie regole di condotta implica che gli investitori sono del tutto liberi di determinare il modo in cui si relazioneranno con gli emittenti e assicureranno che adempieranno le loro responsabilità di lungo periodo. 577 Alcuni autori qualificano questo tipo di regolazione come meta-regulation578, che lascia spazio alle imprese di

576 K. J. HOPT, Corporate Governance in Europe: A Critical Review, cit., p. 27. Così anche L. A.

BEBCHUK, The myth of the shareholder franchise, cit., che cita dati empirici a vantaggio della tesi che “confidentiality matters”.

577 I. MCNEIL, Activism and collaboration, cit., p. 436, osserva come ciò sia vero anche per lo Stewardship Code inglese. In effetti, in quel caso uno standard minimo può essere trovato guardando ai

principi generali e alla guidance del codice, mentre sul punto le regole proposte a livello europeo tacciono del tutto.

578 I. CHIU - D. KATELOUZOU, From Shareholder Stewardship to Shareholder Duties, cit.. Sul concetto

di meta-regulation si veda sempre I. CHIU, Enhancing responsibility in financial regulation: part 1, cit., p. 179, che ne rileva la debolezza sul piano dell’effettiva capacità del regolatore pubblico di verificare i risultati del comportamento dei soggetti regolati.

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investimento per determinare quale condotta tenere sulla base di principi generali predefiniti in merito, ma in verità non può neppure dirsi che siano chiaramente definiti dei principi generali, il che è vero soprattutto per la politica di impegno che caratterizza la nuova direttiva sui diritti degli azionisti: le regole sono più di carattere “procedurale” che sostanziale, in quanto sono volte ad assicurare che si definiscano strategie e procedure per affrontare il problema piuttosto che dare dei criteri e degli obiettivi cui finalizzare tali procedure. Gli stessi autori citati parlano del fatto che la legislazione imporrebbe un “duty to demonstrate engagement” che è facile notare è ben diverso da un “duty to engage (in un modo specifico o con specifici obiettivi)”. Se quest’ultimo è lo scopo del legislatore europeo, si pone il problema non solo di una maggiore effettività delle regole di soft law, ma anche di una più chiara definizione di principi e doveri.

Per esempio (e cio è parzialmente differente rispetto a quanto avviene con i codici di

stewardship, che fanno riferimento ai codici di corporate governance), il legislatore

europeo non stabilisce neppure orientativamente come debba essere esercitato il voto, ma solo che il modo in cui questo viene esercitato deve essere comunicato.Similmente, esso specifica che gli investitori dovrebbero comunicare la loro policy sulle questioni ESG, e non specifica in che senso queste devono essere considerate nelle decisioni di investimento (astrattamente, il gestore potrà optare anche per una strategia volta a premiare attività particolarmente inquinanti). È vero, ad ogni modo, che alcune indicazioni potrebbero esprimere una preferenza verso alcuni obiettivi579, ma il

risultato finale appare troppo debole nel promuovere un effettivo engagement.580 Esso può offrire incentivi o copertura legale per asset managers particolarmente volenterosi, ma non avere effetto sui gestori che ritengono la partecipazione alla

governance degli emittenti di scarsa o nulla utilità.

Certo, la trasparenza è utile, in quanto incrementa lo scrutinio sulla condotta dei gestori, non solo a vantaggio dei beneficiari della loro attività, ma anche da parte di un pubblico più ampio. E si tratta di un vantaggio non solo in quanto viene verificato il fatto che gli investitori istituzionali siano attivi, ma anche in quanto viene verificato a quali obiettivi mira il loro attivismo e a quali principi essi si uniformano, scoraggiando che esso implichi l’appropriazione di benefici privati o che sia inquinato da conflitti d’interessi.581 Ad ogni modo, la trasparenza potrebbe essere realmente decisiva solo nel caso in cui vi fosse sempre una separazione radicale tra gli investitori istituzionali (come definiti nella nuova direttiva) e i gestori di attivi. I primi infatti assumono responsabilità dirette nei confronti dei beneficiari, e dunque hanno interesse ad assicurare che le strategie di investimento consentano loro di adempiere gli obblighi

579 I. CHIU, European Shareholder Rights Directive Proposals: A Critical Analysis In Mapping with the UK Stewardship Code?, in ERA Forum, vol. 17 (2016), p. 17, attribuisce un forte carattere prescrittivo

alla nuova direttiva, molto più di quanto essa paia in realtà avere. Ciò può notarsi attraverso il paragone con le regole in tema di proxy advisors, che stabiliscono uno standard regolatorio più chiaro.

580 Così anche C. VAN DER ELST, Shareholder Rights and Shareholder Activism: The Role of the General Meeting of Shareholders, in papers.ssrn.com, 2012, p. 28.

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anche sul lungo periodo. Se tali soggetti potessero effettivamente controllare gli asset

managers per tutelare l’interesse dei clienti dei fondi, svolgerebbero nei confronti degli

stessi asset managers lo stesso ruolo che questi ultimi, nell’intenzione del legislatore, dovrebbero giocare rispetto agli emittenti. Ed è questo, mi sembra, il centro nevralgico della nuova direttiva.

Ciò potrebbe spingere gli asset managers a un’effettiva compliance anche in quanto porterebbe più facilmente a conseguenze in termini di responsabilità per “mancato attivismo”. Inoltre, un investitore istituzionale più indipendente ed orientato al lungo termine sarebbe attento a che la politica d’impegno soddisfi i suoi interessi e presterebbe attenzione alla connessione tra partecipazione e gestione del portafoglio nel negoziare il contratto che delega la gestione. Questa è una valutazione che i clienti

retail di un gestore non possono probabilmente fare, così come essi difficilmente sono

in grado di organizzarsi allo scopo di spingere gli asset managers ad un effettivo impegno nell’emittente. 582

Il ragionamento è chiaro guardando ai punti di forza dei codici di autodisciplina, che stanno nel fatto che la compliance da parte di una società può essere osservata e valutata da altri professionisti informati (ed è dubbio anche in questo caso che l’approccio “comply or explain” funzioni) 583. Un investitore istituzionale aderirà ai principi di stewardship o svilupperà politiche di impegno per poi rispettarle se il mercato reagirà positivamente, cioè in caso tale condotta stimoli fiducia negli altri attori del mercato. Ciò può avvenire se tali attori sono capaci di ed interessati a tale valutazione.

In realtà, una situazione di radicale separazione come quella menzionata è estremamente rara e non può essere data per scontata (come visto anzi la definizione di “investitore istituzionale” della nuova direttiva risulta poco convincente proprio su questo versante) anche a causa della lunghezza e frammentazione della catena di intermediazione, che ostacola la possibilità per gli asset owners di monitorare gli asset

managers, ed a causa del problema di agency che esiste ancora tra clienti e asset owners. Questi ultimi spesso mancano dell’esperienza necessaria per valutare il

comportamento degli asset managers, anche a causa di strutture di governance non adeguate (per la presenza, ad esempio, di soggetti poco competenti). D’altronde, la

582 Dubbio espresso anche da D. MELIS L. PAAPE - M. LÜCKERATH-ROVERS, Enforceability of institutional investors’ responsibilities in corporate governance through the Dutch Corporate Governance Code: are regulators and practitioners on the same page (and to who are institutional investors accountable)?, in papers.ssrn.com, 2012, p. 18.

583 S.ARCOT V.BRUNO A.FAURE-GRIMAUD, Corporate Governance in the UK: Is the Comply or Explain Approach Working?, in International Review of Law and Economics, vol. 30 (2010), p. 193; A.

KEAY, Comply or explain: in need of greater regulatory oversight, in papers.ssrn.com, 2012; K. SERGAKIS, The Ongoing Challenges of the 'Institutional Investor Activism' Conundrum, in European

Journal of Law Reform, 2014, p. 728, a p. 733. Questo fallimento è dovuto sia alla natura delle

spiegazioni fornite dale società che aderiscono al Code sia a quella del monitoraggio di coloro che dovrebbero valutare la loro compliance. In conclusione, si tratta dello stesso problema che si pone per quanto concerne le debolezze dello shareholder activism. Infatti, lo Stewardship Code stesso raccomanda che “Institutional investors should consider carefully explanations given for departure

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stessa nuova direttiva parte dal presupposto che gli asset owners devono essere tutelati stabilendo dei doveri informativi per gli asset managers nei loro confronti, quasi come non si trattasse (pienamente) di soggetti professionali.

Dunque, un problema di “collective action”, informazione asimmetrica e apatia razionale si ripresenta: i clienti retail degli investitori istituzionali non controlleranno se e come questi si relazioneranno con le società partecipate o monitoreranno gli asset

managers che devono svolgere questo ruolo584, e c’è da dubitare che la disclosure prevista dalla direttiva, su questo versante, sia risolutiva. 585 In particolare, è molto difficile immaginare che sia dedicata la necessaria attenzione a verificare che vi sia una adesione sostanziale e non solo formale ai principi di stewardship.586 Questo è particolarmente vero in quanto il non rispetto dei principi di stewardship spesso non ha effetti sulla performance degli asset managers, specialmente considerando quella relativa ed in un orizzonte di breve periodo. La trasparenza non aiuterà nel rendere gli investitori istituzionali realmente responsabili per le loro attività di partecipazione alla

governance. 587 In effetti, il rischio è che anzi tale partecipazione risulti un’opportunità per incrementare i costi di gestione, e dunque le spese in capo ai clienti del fondo (ed i guadagni del fund manager), senza produrre un effettivo vantaggio per gli stessi clienti.588

In conclusione, sembra paradossale che, allo scopo di risolvere un problema di carenza di attivismo di istituzioni specializzate, che non monitorano le società partecipate nel loro seguire codici fondati sul modello “comply or explain”,589 si finisca per ricorrere allo stesso meccanismo “comply or explain”, che si fonda sul monitoraggio da parte di soggetti meno specializzati.

Ad ogni modo, anche se questo tipo di trasparenza funzionasse allo scopo di far sì che i clienti esercitino un più stretto controllo sulla condotta degli asset managers, ciò non risolverebbe il problema della protezione del pubblico interesse che si “intravede” dietro la disciplina in tema di stewardship,590 dato che né la regolazione (se non in modo estremamente lato) né il mercato richiedono specifici contenuti dell’attivismo. Ed invero, la trasparenza può ritenersi un approccio regolatorio ottimale quando stia

584 A.JOHNSTON P.MORROW, Commentary on the Shareholder Rights Directive, in papers.ssrn.com,

2014, p. 6; I. CHIU, The foundations and anatomy of shareholder activism, cit., p. 161.

585 Negli ordinamenti come quello italiano in cui le informazioni passano al cliente al livello di

distribuzione dei prodotti, v’è da chiedersi se non sarebbe necessario investire anche il livello distributivo del compito di fornire adeguate informazioni a riguardo ai potenziali acquirenti, A. PERRONE, Tanto rumore per nulla? Per un ripensamento della disciplina sugli inducements, in Banca

Borsa Tit. Cred., 2016, p.129.

586 Sembra difficicile anche che il modo in cui un investitore istituzionale rispetta i principi di stewardship possa essere valutato da un giudice in casi di responsabilità concernenti l’adempimento dei

doveri fiduciari ad opera degli asset managers.

587 Il fatto che negli Stati Uniti la SEC abbia obbligato i fondi di investimento ad elaborare politiche di

voto, comunicarle al pubblico e votare, ha in effetti avuto scarsi effetti nel promuovere l’attivismo, come notato da E.B.ROCK, Institutional Investors in Corporate Governance, cit., p. 17.

588 Supra, cap. II, para. 3.2.

589 A. KEAY, Comply or explain, cit., p. 8. 590 Su cui in particolare infra, para. 2.

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bene all’ordinamento che sia il mercato ad orientare la condotta del soggetto che comunica ad esso le informazioni.591

L’autoregolazione o la regolazione fondata su di un modello “comply or explain” potrebbero forse essere sufficienti nel caso l’obiettivo del legislatore fosse solo quello di aumentare l’attivismo, come se si considerasse che la causa dei fallimenti della

corporate governance, in quest’ambito, sta solo nella carenza di engagement. Di

converso, l’ordinamento cerca oggi di ottenere il perseguimento di un “buon” attivismo, che presti attenzione al lungo termine ed alla sostenibilità delle pratiche di

governance.

In sostanza, non ha probabilmente alcun senso tentare di risolvere un problema di mercato (la mancanza di un coinvolgimento appropriato nella governance degli emittenti) attraverso una soluzione completamente di mercato (affidare al mercato di controllare il coinvolgimento degli investitori istituzionali). Ciò non funziona se l’incentivo sta nel fatto che più diritti sono attribuiti agli investitori istituzionali come azionisti; non funziona se si affida ai clienti dei fondi il compito di monitorare la condotta dei gestori; ancor con più certezza non funziona se non si persegue solo la protezione degli interessi privati dei clienti, ma anche quella di un interesse pubblico al buon governo societario ed al buon funzionamento dei mercati e del sistema economico.592 Ed in particolare tendono ad essere passivi proprio quei fondi, come gli

index funds, che più dovrebbero curare il lungo periodo nell’interesse dei loro stessi

clienti.593 Il mercato dell’attivismo ha già dimostrato di essere inefficiente, e il

framework regolatorio in costruzione è utile allo scopo di offrire copertura legale e

orientamenti per i gestori più volenterosi (si pensi all’aspetto inerente l’impegno sociale dei gestori), ma non allo scopo di incentivare adeguatamente una stewardship responsabile nella generalità dei gestori.

Il rischio è che l’adozione di un approccio “comply or explain” risulterà in una

compliance superficiale, che non risolverà problemi derivanti dall’assenza di un

attivismo appropriato. In generale, il seguire un modello “comply or explain” in un settore ove le asimmetrie informative sono forti, molto più che ove si tratti dell’adesione a codici di autodisciplina delle società quotate, induce a ritenere poco adeguati che sia l’approccio scelto dagli Stewardship Codes che quello del legislatore europeo.