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3. L’EVOLUZIONE DEI DOVERI FIDUCIARI

3.2 LA POSIZIONE DEI CLIENTI

Le scelte effettuate da parte del gestore nel portare avanti delle politiche di investimento complesse, che estendano l’esercizio della sua discrezionalità sul piano gestorio e che pongano ulteriori obiettivi rispetto alla mera massimizzazione del rendimento finanziario di breve periodo producono dei rischi per quanto concerne la tutela dei risparmiatori che sottoscrivono quote del fondo. Si è già visto, d’altronde, come vi possa essere un intrinseco conflitto tra gestione “socialmente responsabile” e massimizzazione del rendimento finanziario, soprattutto se l’investimento socialmente responsabile è tale in quanto integra nelle valutazioni del gestore l’analisi dell’impatto ambientale e sociale dell’attività della partecipata. Come già accennato, non sembra sussista un’evidenza empirica sul fatto che l’investimento socialmente responsabile o l’attenzione a Environmental, Social and Governance Issues abbia effetti positivi (o negativi) sul rendimento del portafoglio gestito421, e vi è dunque il rischio che il perseguimento di tali obiettivi metta a repentaglio l’efficienza della gestione stessa, a scapito degli interessi dei beneficiari. Questo è da lungo tempo riconosciuto come uno dei maggiori freni all’adozione di politiche di socially responsible investment.422

alla comunicazione agli investitori di “una descrizione della strategia e degli obiettivi di investimento

del FIA”.

420 Nulla prevedono a riguardo espressamente l’art. 69 c. 3 e 4 UCITS e l’Allegato B della direttiva cui

esso rimanda, se non un generico riferimento a “una relazione sulle attività svolte nell’esercizio

precedente”. Simile previsione è contenuta all’art. 22 AIFMD: tuttavia l’art. 105 regolamento 231/2013

delinea il contenuto della relazione come concernente perlopiù le “attività di investimento” svolte e il “rendimento” del fondo, senza che dunque rientrino in tale ambito informazioni inerenti l’esercizio dei diritti sociali o il monitoraggio della governance delle società partecipate.

421 D’altronde, paradossalmente, se li avesse, l’aumentata domanda per tali tipi di investimento finirebbe

in breve tempo per rendere nuovamente competitivi quelli “irresponsabili”.

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Un altro rischio su questo versante può essere quello che dietro l’investimento socialmente responsabile, più ancora che dietro quello orientato alla promozione di una migliore governance delle partecipate, si celi il perseguimento di obiettivi politici propri del gestore e che nulla hanno a che fare con la tutela degli interessi del cliente ad una redditività e stabilità dell’investimento nel lungo periodo.423 Il pericolo, nel momento in cui vengono poste delle scelte “etiche” come motivazioni del perseguimento di una determinata politica di investimento, si acuisce, dato che la valutazione di ciò che è socialmente responsabile è ambito particolarmente sdrucciolevole e vista anche l’assenza di parametri di riferimento precisi in proposito.424 Così, l’investimento socialmente responsabile può essere usato come modo per “abbellire” l’attività, e contestualmente per imporre maggiori costi ai sottoscrittori di quote del fondo in virtù della gestione attiva, senza che a ciò corrisponda un effettivo impegno.425

Giova qui rilevare, ancora una volta, come risulti opportuno distinguere tra, da un lato, l’attenzione al benessere di lungo periodo delle società in cui si investe ed alle “governance issues”, che possono essere considerate rientranti nei doveri fiduciari dell’investitore in quanto naturalmente connesse alla necessità di soddisfarne gli interessi di carattere finanziario, e, dall’altro, l’investimento socialmente responsabile in senso puro, che deve invece trovare una fonte di legittimazione ulteriore e richiede specifiche misure ad hoc. Quanto al primo aspetto, come visto, è probabilmente più semplice rintracciare taluni indicatori che costituiscono delle best practices dal punto di vista della corporate governance tali che l’effettuare proposte in questa direzione (o l’aderire a tali proposte) implica l’adempimento dei doveri fiduciari gravanti sul gestore senza che ciò lasci eccessivo spazio alla discrezionalità gestoria.

Quale fonte di legittimazione, invece, per l’integrazione di valutazioni di carattere sociale o ambientale nelle scelte di investimento? A quali condizioni il gestore può legittimamente perseguire interessi non finanziari? Una precondizione necessaria è l’integrazione di riferimenti a tale orientamento della gestione all’interno del regolamento del fondo, di cui deve essere data apposita comunicazione ai clienti, di modo che questi nell’esprimere il loro consenso siano informati della “permeabilità” dell’attività gestionale ad altre esigenze.

Le regole di trasparenza previste dal legislatore, europeo e nazionale, hanno dunque lo scopo di informare l’investitore delle modalità di gestione dell’investimento anche con specifico riferimento ai menzionati aspetti. Così, l’art. 37 TUF stabilisce che il

423 Si vedano le considerazioni di R. ROMANO, Public Pension funds in corporate governance reexamined, cit., che rileva come, ad esempio, a volte il gestore sembra perseguire dei personali intenti

di visibilità “politica”.

424 Per le diverse strategie utilizzabili D. VANDONE, Il mercato italiano dei fondi di investimento socialmente responsabili, in Banca impresa e società, 2004, p. 147.

425 B. J. RICHARDSON - W. CRAGG, Being Virtuous and Prosperous: SRI's Conflicting Goals, cit., p. 28;

D. ZETZSCHE, Investment Law as Financial Law: From Fund Governance over Market Governance to

Stakeholder Governance?, in H.S.BIRKMOSE -M.NEVILLE -K.E.SORENSEN, The European Financial

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regolamento del fondo deve contenere specifiche informazioni in merito ai beni in cui viene investito il patrimonio del fondo. Ulteriori strumenti di disclosure utili stanno poi nella trasparenza sulla politica di investimento che il gestore deve predisporre (articolo 7 Regolamento UE n. 583/2010). In particolare il riferimento è quello del Key

Investor Information Document, previsto dal regolamento emittenti, art. 15-bis e ss., i

quali a loro volta richiamano il Regolamento UE n. 583/2010.426

Nel nostro ordinamento, poi, l’art. 1 lett. k) del TUF nel delineare la figura dell’Organismo di investimento collettivo del risparmio stabilisce che esso opera “in

base a una politica di investimento predeterminata”: questa, come già ricordato, deve

essere predeterminata rispetto all’adesione dei risparmiatori al fondo, deve essere espressamente sancita in un documento apposito ed obbliga l’investitore a perseguirla; ha cioè natura vincolante, consentendo ai risparmiatori di agire in via giudiziale in caso di non adempimento di tale obbligo.427

Il regolamento di Banca d’Italia stabilisce che la politica di investimento contenuta nel regolamento del fondo debba tenere in considerazione, tra le altre cose, “gli eventuali

vincoli di selezione degli investimenti sulla base di criteri etici o di finanza sostenibile”. La disclosure su questo piano consentirebbe dunque di avere una certa

libertà nel determinare le strategie di investimento.

Soprattutto, il TUF all’articolo 117-ter stabilisce che la CONSOB determina specifici obblighi di informazione (all’interno del prospetto informativo) e rendicontazione per i soggetti che promuovono servizi qualificati come etici. Obblighi che poi sono effettivamente specificati agli artt. 89 e 90 del regolamento intermediari.

Alla luce delle forti asimmetrie informative che caratterizzano il settore, si può però dubitare che tale forma di pubblicità possa essere risolutiva, nel senso di svincolare i gestori dall’obbligo di perseguire un interesse prima di tutto finanziario nella selezione dei titoli in cui investire e nell’uso dei diritti sociali.428 Guardando a questo aspetto sotto il versante del potenziale conflitto tra interessi finanziari e non finanziari, pare difficile ritenere che effettivamente il gestore possa ritenersi del tutto libero di perseguire tali interessi “altri” sol perchè ha dato comunicazione al cliente della natura

426 In particolare, l’articolo 7 stabilisce che “La descrizione contenuta nella sezione «Obiettivi e politica d’investimento» del documento (...) comprende (...) le caratteristiche essenziali dell’OICVM circa il quale l’investitore deve essere informato, tra cui: a) le principali categorie di strumenti finanziari che possono essere oggetto d’investimento; (...) c) se l’OICVM ha un obiettivo specifico in relazione ad un settore industriale, geografico o ad altro settore di mercato, o a specifiche categorie di attività (...).” 427 ESMA, Orientamenti sui concetti chiave della direttiva GEFIA, in www.consob.it, para. 20. La

politica d’investimento, in particolare, specifica gli orientamenti rispetto ad una serie di profili, dalle strategie finanziarie all’uso della leva finanziaria fino all’investimento in specifiche regioni geografiche. Secondo G. SANDRELLI, Raccolta di capitali e attività di investimento, cit., ad ogni modo, l’elemento fondamentale perchè l’OICR sia tale è che nella politica di investimento si faccia riferimento alla presenza di una strategia fondata sulla diversificazione del rischio. Ai requisiti sopra delineati, lo stesso autore aggiunge quello della stabilità della stessa politica di investimento.

428 Ciò, ovviamente, a meno che non sia espresso una forte preferenza da parte degli investitori che

indirizzino le scelte di investimento del gestore, il che però nell’orizzonte prescelto per l’indagine, quello della gestione del risparmio collettivo prevalentemente rivolto alla sottoscrizione del pubblico o comunque di una (vasta) pluralità di investitori, risulta utopico, salve forse il caso di fondi chiusi in cui vi sia una sostanziale facoltà di indirizzo dei clienti sulle scelte gestionali.

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“socialmente responsabile” del fondo429, tenuto anche conto dell’interesse ad ottenere un positivo rendimento finanziario che è alla base del rapporto.

Guardando poi più specificamente al profilo dell’adempimento del particolare obbligo assunto con una politica di investimento che faccia leva sulla responsabilità sociale come modo di gestione del patrimonio, può risultare assai complesso valutare se effettivamente vi sia una rispondenza della politica di investimento con quanto promesso (soprattutto laddove la gestione “etica” si fondi su parametri più complessi del mero screening e richieda comportamenti attivi), come d’altronde ovvio atteso che per gli stessi asset manager risulta difficile trovare dei parametri affidabili per misurare la responsabilità sociale delle loro scelte di investimento.430

Il rischio dunque appare essere quello che, dietro la “maschera” dell’investimento socialmente responsabile, finiscano per celarsi comportamenti abusivi tenuti da parte dei gestori, e questo sia nel senso che interviene un fattore di “disturbo” della tutela del miglior interesse del cliente per come normativamente previsto senza che questi sia adeguatamente tutelato stante la discrezionalità gestionale a disposizione dell’SGR, sia nel senso che questi, ove consapevole, si fa carico di un possibile maggior rischio, e dei sicuri maggiori costi derivanti da una gestione attiva del patrimonio, senza poter verificare adeguatamente la diligenza nell’adempimento da parte del gestore.431 Gestore la cui diligenza, peraltro, risulta più difficilmente valutabile alla luce della pluralità di interessi che deve tenere in considerazione.432

La dottrina nordamericana in proposito rimette alla giurisprudenza, come da costume in un ordinamento di common law, la definizione di standard atti ad evitare che le “divided loyalties” che finirebbero per gravare sul gestore danneggino i beneficiari della sua attività fiduciaria.433 Nel nostro ordinamento un simile ruolo di scrutinio della compatibilità delle politiche di investimento potrebbe essere affidato alle Autorità che monitorano i gestori del risparmio.

In ogni caso, però, alla luce delle citate valutazioni, non si deve poter ritenere che la scelta di perseguire un investimento socialmente responsabile possa avere implicazioni

429 Invero, risulta assai dubbia la capacità del cliente di valutare adeguatamente le conseguenze della

scelta di un gestore “eticamente responsabile”, trattandosi di valutazione ancora più complessa rispetto a quelle che ordinariamente gli spettano. È dubbio, peraltro, che al momento gli strumenti di trasparenza previsti dal legislatore (si pensi al menzionato KIID) forniscano, su un punto così delicato, un’informazione sufficientemente chiara ed adeguata, anche guardando alla sua “comparabilità” con le alternative a disposizione.

430 R. A. POSNER -J.H.LANGBEIN, Social Investing and the Law of Trusts, cit., p. 84.

431 V’è da chiedersi se non possa ragionarsi, in casi simili, di una forma di controllo da parte dell’AGCM

della coerenza tra la responsabilità sociale pubblicizzata dal gestore e quanto effettivamente fatto, similmente a quanto previsto da ultimo dal legislatore per le società benefit, in quanto in caso di incoerenza si violerebbero le norme in tema di pratiche commerciali scorrette e di pubblicità ingannevole.

432 B. J. RICHARDSON, Keeping Ethical Investment Ethical, cit., p. 565. 433 P. D. KINDER, New Fiduciary Duties, cit., p. 33.

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tali da consentire che l’interesse finanziario dei clienti del fondo – almeno di un fondo “ordinario” - sia pregiudicato.434

Concludendo, il gestore che voglia improntare la propria attività al perseguimento di obiettivi di carattere socialmente responsabile può farlo solo ove rispetti specifici requisiti di trasparenza in merito e, si ritiene, dovendo comunque tenere conto dell’esigenza di non pregiudicare il fondamentale interesse del cliente al rendimento. L’obiettivo è sempre quello della massimizzazione del rendimento, per quanto condizionato.

Si può poi porre il problema opposto, quello di una valorizzazione delle preferenze degli investitori, in modo da rendere più efficace l’enforcement dei doveri fiduciari nel loro contenuto più ampio, il che richiederebbe a sua volta una maggiore consapevolezza degli investitori stessi quanto al contenuto di tali doveri ed alle potenzialità insite in un attivismo responsabile.435 La mancanza di voice dei beneficiari dei fondi pensione statunitensi è stata ad esempio ritenuta una delle concause dello scarso rendimento – e della mancanza di engagement – dei gestori dei fondi pensione stessi.436 In generale, nel momento in cui si attribuiscono ai gestori responsabilità inerenti il cattivo funzionamento del mercato finanziario e del sistema economico nel suo complesso, il che genera esternalità negative che hanno impatto sui loro clienti nel lungo periodo, sembra ovvio domandarsi se non debba promuoversi un maggiore scrutinio dei beneficiari dell’attività gestoria sui gestori stessi, nonostante ciò finisca per essere in contrasto con quel connotato di autonomia di tale attività che caratterizza la gestione del risparmio in monte. Sembra d’altro canto difficile immaginare che si possa rompere quel “Faustian Bargain”437 per cui i gestori assicurano dei rendimenti (soprattutto quelli necessari al funzionamento del sistema pensionistico) seppur producendo rischi di lungo periodo che però difficilmente i clienti possono valutare in modo efficace.

In questa prospettiva, che finisce poi per coincidere con quella dell’enforcement dei doveri fiduciari, si pone un problema di accountability dei gestori. E tale problema si pone nel più generale contesto della sussistenza di una relazione di agency tra gestori ed investitori, che può condurre ad un disallineamento degli interessi tra le due parti su un piano più generale rispetto a quello specifico del monitoraggio degli emittenti.438 Si è già fatto cenno alla voice dei clienti dei fondi comuni dando conto della sussistenza di un organo assembleare, sia pure dalle competenze limitatissime, nella disciplina italiana dei fondi. Da questo punto di vista non sono mancate in vari ordinamenti

434 Differente è, ovviamente, il caso di veicoli ad hoc previsti dall’ordinamento europeo, come ad

esempio i fondi europei per l’imprenditoria sociale (EUSEF), disciplinati dal Regolamento 17 aprile 2013, n. 346.

435 J. HAWLEY A.WILLIAMS, Universal Owners: challenges and opportunities, cit., p. 418.

436 S. DAVIS J.LUKOMNIK D.PITT-WATSON, Active Shareowner Stewardship: A New Paradigm for Capitalism, cit., p. 12.

437 L’espressione è di R. FOROOHAR, Makers and Takers: The Rise of Finance and the Fall of American Business, New York, 2016.

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proposte volte ad esempio a suggerire la possibilità che i beneficiari dell’attività di gestione del risparmio si coordinino attraverso strumenti informatici per monitorare la condotta dei gestori ed eventualmente fare pressioni sugli stessi.439 Ancora, si è sostenuta l’opportunità di produrre una rappresentanza dei beneficiari al livello della

governance del fondo440 Più in generale, si tende a contestare la visione dei beneficiari come soggetti meramente passivi, che sono protetti dalle disposizioni in merito ai doveri del fiduciario e dagli obblighi informativi gravanti su di esso, senza però avere voce in capitolo sull’investimento: la governance dei fondi dovrebbe allora avere caratteristiche più democratiche rispetto a quanto avvenga attualmente.441 D’altronde in un approccio che tende ad espandere il significato di “interesse” del beneficiario oltre la comune interpretazione di tale concetto, risulta normale chiedersi se non debba riconoscersi un ruolo più ampio al beneficiario stesso nel definire quale sia il suo interesse.442Ad esempio, nell’ordinamento inglese si ritiene possibile, quantomeno per i fondi pensione, anche interpellare direttamente i clienti del fondo443 ed è in determinati casi necessario consultare i beneficiari per apportarvi cambiamenti.444 Così avviene anche in Canada o negli Stati Uniti, ove taluni gestori di fondi pensione sondano periodicamente gli orientamenti dei loro clienti.445 L’idea di fondo è che, se su questioni “tecniche” i clienti non possono che affidarsi al gestore, su questioni “politiche” essi possono ed anzi devono avere voce in capitolo, almeno in parte, anche allo scopo di garantire una maggiore accountability dei gestori a favore di un migliore funzionamento dei mercati.

Nel nostro ordinamento, e rispetto alla totalità delle società che svolgono attività di gestione del risparmio, non è chiaro come si possa configurare un sistema che consenta ai clienti di esprimere le loro opzioni “ideologiche” sull’investimento tenuto conto del fondamentale principio di autonomia della gestione. Ciò probabilmente sarebbe astrattamente possibile, dato che affinchè l’ingerenza dei partecipanti sia tale da far ritenere l’attività di gestione del risparmio non più rientrante nel modello legale, si ritiene necessario che essa “abbia carattere sistematico e determinante sulle scelte di

investimento”.446 Su questo versante, anche la dottrina anglosassone ritiene che la

voice dei beneficiari non debba dare “istruzioni” ai gestori ma abbia un ruolo

fondamentalmente consultivo, e d’altro canto esclude che il suo ruolo possa

439 S. DAVIS J.LUKOMNIK D.PITT-WATSON, Active Shareowner Stewardship, cit., p. 14. 440 K.L.JOHNSON –F.J.DE GRAAF, Modernizing Pension Fund Legal Standards, cit.

441 MILLSTEIN CENTER FOR CORPORATE GOVERNANCE AND PERFORMANCE, Pay, Risk and Stewardship, cit., p. 16.

442 B. J. RICHARDSON -W.CRAGG, Being Virtuous and Prosperous: SRI's Conflicting Goals, cit., p. 33. 443 LAW COMMISSION, Fiduciary duties of investment intermediaries, cit., p. 120.

444C.BERRY C.SCANLAN, The voice of the beneficiary, in J.P.HAWLEY -A.G.F.HOEPNER -K.L.

JOHNSON -J.SANDBERG -E.J.WAITZER (a cura di), Cambridge Handbook of Institutional Investment,

cit., p. 338.

445 B. J. RICHARDSON, From Fiduciary Duties to Fiduciary Relationships for Socially Responsible Investment, in Journal of Sustainable Finance & Investment, 2011, p. 5, a p. 14.

446 G. SANDRELLI, Raccolta di capitali e attività di investimento, cit.; R.LENER C.PETRONZIO, La gestione collettiva del risparmio a 15 anni dal TUF, in F. ANNUNZIATA (a cura di), Il testo unico della

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comportare l’assunzione di una funzione di “micromanagement” della gestione. Essa piuttosto dovrebbe contribuire a definire la generale politica gestoria.447

Nell’ordinamento italiano precedente il recepimento delle più recenti innovazioni legislative europee in materia, come detto, era presente, per quanto concernente i fondi chiusi, la possibilità che l’assemblea dei partecipanti al fondo deliberasse su eventuali modifiche delle politiche di investimento,448 ed in quest’ambito sarebbero potute evidentemente rientrare anche modifiche che andassero nella direzione di una presa in considerazione di temi ambientali e sociali.449 Oggi, dopo il d.lgs. 4 marzo 2014 n. 44, la possibilità di una riunione in assemblea è limitata dall’art. 37 TUF esclusivamente all’ipotesi in cui si debba decidere della sostituzione del gestore. Da questo punto di vista, dunque risulta depotenziato l’eventuale ruolo che avrebbero potuto assumere i clienti sia nel verificare le scelte dei gestori sia nell’assumere una funzione propositiva. Peraltro, nel regime previgente, anche ove essi avessero espresso un orientamento volto ad indirizzare il contenuto delle scelte di investimento, nel caso in cui esso fosse stato orientato in senso socialmente responsabile, è dubbio che i gestori sarebbero stati tenuti ad aderirivi acriticamente, svolgendo il dovere di diligente gestione e di tutelare la minoranza un limite negativo alla vincolatività del parere dei clienti del fondo.450 L’orientamento degli stessi avrebbe potuto costituire un criterio guida per le scelte di investimento ove non avesse arrecato un danno al rendimento del fondo.

L’uso dell’avverbio “esclusivamente” sembra peraltro escludere che il regolamento del fondo possa autonomamente attribuire una forma di voice ai clienti del fondo. Quantomeno nei fondi chiusi, comunque, ci si può chiedere se tale limitata tipizzazione non escluda comunque ulteriori forme di dialettica tra gestori e investitori.451 Ad ogni modo, non si può non riscontrare un regresso nella disciplina da questo punto di vista. Più in generale, è estremamente difficile riuscire effettivamente ad ottenere un consenso generalizzato dei clienti del fondo su specifiche strategie di investimento, ed ancor di più sulle loro opzioni “ideologiche”, e ciò sia che si voglia guardare all’interpretazione estensiva del dovere di massimizzare il rendimento del portafoglio, sia che si voglia guardare alla panoramica ancora più ampia delle questioni “socialmente responsabili”: questo sia per difficoltà pratiche a sollecitare una miriade