3. L’EVOLUZIONE DEI DOVERI FIDUCIARI
3.1 LE IMPLICAZIONI DI UNA NUOVA DEFINIZIONE DEI DOVER
L’approccio delineato pone, evidentemente, nuove differenti questioni: quella della possibilità di universalizzare una pretesa all’attivismo responsabile, al di là delle differenze che sussistono tra i singoli gestori, che adottano politiche di investimento proprie cui volontariamente aderiscono i propri clienti; quella dell’estensione di tale forma di “corresponsabilizzazione” dei gestori del risparmio nella gestione sociale; infine, quella dell’enforcement (o della scelta di adeguati incentivi regolatori) di tali doveri.
Sull’ultimo punto, risulta opportuno precisare che, anche a prescindere dall’effettiva possibilità di enforcement dei citati doveri, la loro redifinizione è opportuna nell’ottica di un cambiamento di tipo culturale, in quanto definisce in modo diverso il framework all’interno del quale gli asset manager devono muoversi.408 Alcune indagini empiriche suggeriscono che il cambiamento del modo in cui viene percepito l’engagement, vale a dire il fatto che venga concepito come proficuo e come adempimento dei doveri fiduciari del gestore ha un’influenza decisiva sulla scelta di adottare comportamenti attivi.409
3.1 LE IMPLICAZIONI DI UNA NUOVA DEFINIZIONE DEI DOVERI FIDUCIARI
Alla ricostruzione dei doveri fiduciari proposta va dato un contenuto. Si è già escluso che, sulla base di una ricostruzione fondata sui soli doveri fiduciari, debbano avere un ruolo preminente le questioni ambientali e sociali. Ma qual è il criterio che deve
407 Come fanno ad esempio B. J. RICHARDSON -W.CRAGG, Being Virtuous and Prosperous: SRI's Conflicting Goals, cit., p. 34.
408 J. W. WINTER, Shareholder Engagement and Stewardship: The Realities and Illusions of Institutional Share Ownership, in papers.ssrn.com, p. 14; J. MCCONVILL, Shareholder empowerment
as an end in itself : A New Perspective on Allocation of Power in the Modern Corporation, in Ohio N.U.L. Rev., vol. 33 (2007), p. 1013.
409 A. TILBA –T.MCNULTY, Engaged versus Disengaged Ownership: The Case of Pension Funds in the UK, in Corporate Governance: An International Review, 2013, p. 165, a p. 172.
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guidare gli investitori istituzionali nell’affrontare le “governance” issues? Nel definire questo criterio occorre ovviamente premettere che il concreto significato di diligente gestione varia da fondo a fondo e questo può portare a talune discrasie.410 In effetti, come già visto, l’attenzione alla prospettiva di lungo periodo piuttosto che a quella di breve periodo è tipica di alcuni specifici tipologie di gestori (universal owners, gestori di fondi con responsabilità di lungo periodo), assumendo invece tale prospettiva il ruolo di imporre un dovere di carattere “valutativo” negli altri casi. In sostanza, la visione dei doveri fiduciari proposta implica che tutti i gestori debbano prestare più attenzione alle governance issues ed alle esigenze di lungo periodo, ma tale dovere è tanto più forte e incondizionato quanto più questi hanno uno specifico interesse nella massimizzazione del rendimento sul lungo termine, mentre investitori caratterizzati da una strategia di breve periodo tenderanno a bilanciare le esigenze delineate con quest’ultima.
Un’indicazione in questo senso può esserci data dall’individuazione dell’interesse dei beneficiari che deve essere tutelato da parte degli investitori istituzionali effettuata nella risposta alla Kay Review del governo inglese che fa riferimento alla necessità che essi agiscano nel best “long term” interest dei beneficiari, laddove il riferimento al lungo periodo evidentemente contrasta con l’interpretazione tradizionalmente “short-termist” dei doveri fiduciari411, il che ci riporta al criterio dell’enlightened
shareholder come riferimento anche delle politiche degli azionisti istituzionali.
Dal punto di vista più immediatamente “pratico”, si è già fatto cenno, nel definire i fondamenti di una diversa concettualizzazione del “miglior interesse” dei beneficiari e dei doveri fiduciari, a quali dovrebbero essere le particolari valutazioni effettuate dal gestore. Innanzitutto, si tratterebbe di valutare l’impatto delle scelte di investimento e di esercitare i diritti sociali in modo tale da tenere in conto anche gli effetti “sistemici” delle stesse. Ciò risulta particolarmente importante laddove la società partecipata operi nei mercati finanziari (dunque soprattutto per società bancarie ed assicurative), e una cattiva gestione della stessa possa avere un impatto particolarmente grave sul funzionamento di tali mercati. Evidentemente, poi, gli investitori istituzionali dovrebbero verificare che il sistema di remunerazione degli amministratori, in particolare degli esecutivi, sia idoneo a garantire il perseguimento degli interessi della società nel lungo periodo (si noti, da questo punto di vista, l’enfasi data al ruolo degli investitori istituzionali dalle norme in tema di say on pay che vanno diffondendosi in vari ordinamenti), che il sistema di gestione dei rischi sia adeguato412 e, in generale, che lo siano gli assetti organizzativi societari. Proprio il rischio connesso alle scelte finanziarie delle società partecipate richiede una particolare attenzione, e ciò sia
410 R. COSTI, Risparmio gestito e governo societario, cit., p. 320.
411 DEPARTMENT FOR BUSINESS,INNOVATION AND SKILLS, Ensuring equity markets support long-term growth: The Government Response to the J. Kay Review, in www.lawcom.gov.uk, 2012.
412 Su questo specifico aspetto, sembra che in effetti vi sia una crescente maggiore attenzione degli asset managers alla valutazione del risk management negli emittenti, sia per quanto riguarda i rischi di
carattere finanziario, sia per quanto riguarda i rischi di carattere strategico, D. MYLES, Investors want
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laddove si tratti di imprese caratterizzate da performance inferiori al settore, sia ove si tratti di imprese caratterizzate da performance superiori, che potrebbero essere dovute ad assunzione di rischi eccessivi. In questo senso, il ruolo degli investitori istituzionali dovrebbe essere quello di “external monitors of the internal monitors”.413
Più generalmente, la definizione di buone pratiche di corporate governance passa dal riferimento ai relativi codici predisposti nei vari ordinamenti, che stabiliscono una sorta di ottimo in quest’area, peraltro idealmente affidando il monitoraggio dell’adesione a tali codici agli stessi investitori istituzionali.414 Anche i più recenti tentativi di regolare la materia sembra mirino, in effetti, ad approcciare in termini ampi la questione, premendo gli investitori istituzionali alla promozione di forme più trasparenti ed efficienti (o almeno, ritenute come tali) di gestione.415 D’altro canto, non si deve neppure ritenere che il compito del gestore si esaurisca in questo, atteso che il monitoraggio “emittente per emittente” richiede anche una valutazione di conformità delle regole di corporate governance cui l’emittente aderisce alla situazione della singola emittente: non solo l’attenzione alla compliance, potrebbe dirsi, ma anche quella alle explanations. Si eviterebbe così che la buona governance corrisponda ad una indifferenziata ed indiscriminata adesione alle “buone pratiche”.416
La stella polare degli investitori istituzionali deve essere quella del benessere di lungo periodo dell’impresa societaria. Se, per alcune materie, l’attività degli investitori istituzionali può essere più facilmente valutabile, proprio in quanto essi devono verificare l’adesione effettiva degli emittenti alle buone pratiche previste in vari settori, in altri ambiti si apre inevitabilmente più spazio alla discrezionalità del gestore, che è comunque un fattore ineliminabile417: si pensi al problema delle scelte dell’emittente di tagliare gli investimenti in ricerca e sviluppo a vantaggio di dividendi immediati per gli azionisti. È in quest’area, peraltro, che più facilmente l’approccio di un investitore orientato al breve periodo (come ad esempio un fondo aperto, che deve necessariamente assicurare una frequente liquidabilità dell’investimento) può
413 J. HAWLEY, Corporate Governance, risk analysis and the Financial Crisis: Did Universal Owners Contribute to the Crisis?, in J.HAWLEY -S.J.KAMATH - A.T.WILLIAMS (a cura di), Corporate
governance failures, cit., p. 106.
414 I. CHIU, The foundations and Anatomy of Shareholder Activism, cit., p. 17, 49, 132, ove si qualifica
l’ottemperanza alle disposizioni dei codici di autodisciplina come una “ready made agenda” per l’interazione tra azionisti istituzionali ed emittenti partecipati.
415 F. DENOZZA, Quale quadro per lo sviluppo della corporate governance, cit., p. 11.
416 Timore espresso, ad esempio, da P. ROSE, Common Agency and the Public Corporation, cit., p. 1392. 417 LAW COMMISSION, Fiduciary duties of investment intermediaries, cit., p. 117, fa l’esempio di
un’offerta pubblica di acquisto da parte di una società straniera nei confronti di una società inglese, che avrebbe effetti negativi sull’economia inglese nel suo complesso sul lungo periodo ma che sarebbe conveniente sul breve periodo. Al di là della rilevanza del singolo esempio, in cui non sembra esservi per forza di cose una dicotomia tra le due opzioni, è evidente che i fattori da bilanciare in casi simili sono complessi e che è difficile per l’asset manager effettuare una valutazione del fatto che l’effetto positivo sul portafoglio gestito sia maggiore o minore del danno ad esso arrecato sul lungo termine. D’altro canto, detto che una discrezionalità gestionale è fondamentalmente ineliminabile, quello che rileva è che l’investitore istituzionale tenga in considerazione effettiva la possibilità che vi siano degli svantaggi sul lungo periodo e che effettui l’operazione di bilanciamento anche alla luce di questi fattori, e non solo di quelli di breve periodo.
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implicare un orientamento allo short-term e dunque un approccio differente rispetto a quello di altri investitori istituzionali.
Resta fermo però che, stanti i costi e le difficoltà di un effettivo engagement, solo per quelli di lungo periodo si può parlare di una sorta di “dovere” di assicurare una buona
governance delle emittenti partecipate che discende dai doveri fiduciari che essi hanno
nei confronti dei loro clienti, mentre per gli investitori caratterizzati da un approccio di breve periodo può comunque riconoscersi sussistente quantomeno un dovere di monitoraggio degli stessi assetti di governance e di non ostacolare il perseguimento di assetti adeguati.
In sostanza, allora, analizzando come si configuri la relazione tra esercizio dei diritti sociali ed ampliamento dei doveri fiduciari si può concludere con la considerazione che il perseguimento di un’agenda più ampia non implica sempre e per forza di cose la necessità di utilizzare i diritti sociali418 quanto un obbligo, di minore portata, di monitorare attentamente la condotta delle società partecipate e le pratiche di
governance seguite dalla stessa. Conseguentemente, il mercato dovrebbe iniziare a
premiare le società anche in base agli assetti di governance prescelti, il che, riflettendosi sul valore dei titoli, tenderebbe a scongiurare il rischio di herding
behaviour ed a rendere più efficiente il funzionamento dei mercati finanziari.
Ad ogni modo, tale ampliamento finisce per rendere più rilevante l’uso di tali diritti in quanto strumentali al raggiungimento di determinati obiettivi. Una più ampia concettualizzazione dei doveri fiduciari assume, allora, il carattere di una “via indiretta” alla stewardship. Se si amplia il novero di materie di cui gli investitori istituzionali dovrebbero occuparsi, e contemporaneamente si attribuiscono ad essi maggiori poteri, ne consegue una loro maggiore responsabilizzazione.
Alla luce di quanto detto, cioè dell’incomprimibile discrezionalità del gestore e della variabilità degli strumenti utilizzabili, si pone il problema della trasparenza delle scelte e delle procedure utilizzate dai gestori per effetturare le loro valutazioni. L’ampia definizione dei doveri fiduciari non può non riflettersi anche sul piano della disciplina del rapporto che sussiste tra gestore ed investitore. In particolare, sarebbe necessaria una disciplina sulla comunicazione di informazioni in merito all’adempimento degli stessi obblighi imposta al gestore. In realtà, nulla o quasi prevedeva la disciplina europea, nè a livello di informazione preventiva419, nè a livello di informazione
418 LAW COMMISSION, Fiduciary duties of investment intermediaries, cit., p. 87 ritiene che doveri
fiduciari più ampi in nessun modo implichino “an enforceable legal obligation to engage in the
stewardship of companies”.
419 Si fa qui riferimento al già citato KIID, ove solo l’art. 7 c. 4, nel fare riferimento alla disclosure di “elementi diversi da quelli elencati al paragrafo 2, tra cui la descrizione della strategia d’investimento dell’OICVM, qualora tali elementi siano necessari per descrivere adeguatamente gli obiettivi e la politica d’investimento dell’OICVM”, parrebbe lasciare spazio alla eventuale comunicazione di
informazioni sul monitoraggio delle società partecipate e sulle modalità di esercizio dei diritti sociali. Anche nel contesto del prospetto previsto dalla direttiva UCITS all’art. 69 c. 1 e 2, le uniche informazioni inerenti l’approccio del gestore all’esercizio dei diritti sociali sono contenute nella politica di investimento, che deve essere ivi contenuta ai sensi dell’Allegato A, para. 1.15. Maggiori sono le informazioni da fornire agli investitori previste dalla AIFMD, che all’art. 23 c. 1 lett. a) fa riferimento
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successiva con le relazioni periodiche che devono essere fornite al gestore420 con specifico riferimento al monitoraggio della gestione e della governance della società partecipata o all’esercizio dei diritti sociali. Oggi, in questo campo, come si vedrà, interviene la direttiva 2017/828.
Inoltre, alcune indicazioni su come i doveri fiduciari si debbano rapportare con l’esercizio dei diritti sociali, e quindi sul modo in cui si devono adempiere i doveri fiduciari tramite essi, sono forse rintracciabili nelle regole in materia di esercizio di voto, tendenzialmente l’unica forma di esercizio del diritto sociale da parte di un gestore del risparmio espressamente regolata nel nostro ordinamento.
Si analizzerà allora quale sia il ruolo della disciplina della trasparenza tra gestori e clienti sul piano dell’investimento socialmente responsabile e sull’uso dei diritti sociali. Successivamente però si presterà attenzione a come gli Stewardship Codes abbiano iniziato a considerare con un orizzonte più ampio l’esercizio dei diritti sociali ed in generale dei diritti di proprietà dell’investitore istituzionale in quanto socio, tentando di stabilire delle best practices in materia.