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LE DUE TESI CONTRAPPOSTE E LA CRISI FINANZIARIA

6. IL RUOLO DELL’ATTIVISMO LE DUE TESI CONTRAPPOSTE

6.1 LE DUE TESI CONTRAPPOSTE E LA CRISI FINANZIARIA

Nel proporre un’analisi del dibattito più recente in tema di ruolo degli investitori istituzionali nella governance societaria, va notato come la crisi finanziaria globale ha rifocalizzato l’attenzione dei regolatori e della dottrina, in vari ordinamenti, sui temi dell’attivismo.171

Numerose sono, da questo punto di vista, le attenzioni rivolte da documenti di policy o le proposte di innovazioni legislative volte ad incentivare l’attivismo degli investitori istituzionali. Questo è, ad esempio, uno dei punti cardine del Green Paper della

Reshape Corporate Innovation?, in papers.ssrn.com, 2016, giunge a conclusioni parzialmente diverse,

in quanto nota che ad una minore spesa in ricerca non corrispondono minori risultati (ad esempio in termini di brevetti depositati), dal che si deriverebbe che l’effetto è quello di una maggiore efficienza della spesa in R&D. Anche tale conclusione è stata criticata da J.LERNER –A.SERU, The Use and

Misuse of Patent Data: Issues for Corporate Finance and Beyond, in socialsciences.cornell.edu, 2015.

In tema, per una valutazione assai critica degli effetti dell’attivismo su ricerca e sviluppo, J.C.COFFEE -D.PALIA, The Wolf at the Door, cit., i quali esaminano anche il recente caso DuPont e pongono l’accento sugli effetti indiretti della promozione di una politica di “consumo” piuttosto che di “investimento” perseguita dagli investitori istituzionali.

169 I. CHIU, The foundations and anatomy of shareholder activism, Oxford, 2010, p. 140 ss., ritenendo

che i diritti sociali sono attribuiti agli azionisti affinché essi monitorino gli amministratori, e non perché essi prendano in prima persona decisioni rilevanti su un piano gestionale.

170 J.C.COFFEE -D.PALIA, The Wolf at the Door, cit., p. 576.

171 Anche se va precisato che un’attenzione a questi temi si era avuta già nei primi anni del millennio in

seguito a scandali finanziari di risonanza internazionale (Enron, ma anche in Italia si può citare la l. 262/2005 come derivante da simili vicende) che supportavano la visione dell’attivismo come “soluzione” dei problemi della corporate governance. J. G. HILL, Then and Now: Professor Berle and

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Commissione Europea “The EU corporate governance framework”172: esso si concentra proprio sulle debolezze della corporate governance a livello europeo, fra cui si individuano in particolare la “mancanza di un impegno adeguato da parte degli azionisti”, la predilezione dei mercati finanziari per il breve termine e la relazione di agenzia tra investitori e gestori degli attivi.

A livello di autodisciplina va dato conto dell’introduzione di specifici codici sugli

Stewardship Principles che regolano l’interazione tra investitori istituzionali e società

in cui essi investono. A livello legislativo, oltre a numerose misure in tema di

shareholder empowerment entrate in vigore a cavallo della crisi finanziaria, ed in

buona parte già precedentemente citate, si sono effettuate nuove proposte, volte ad emendare la shareholders’ rights directive173 al fine di rafforzare le posizioni delle minoranze e rendere più cogente e trasparente l’esercizio dei diritti sociali da parte dei gestori. Una direttiva di modifica è stata infine approvata nel marzo 2017, e del suo contenuto si darà ampiamente conto successivamente.

Il collegamento tra investitori istituzionali e crisi finanziaria può in realtà essere visto su più piani, e secondo differenti chiavi interpretative. Su un primo profilo, gli investitori istituzionali non sono riusciti a valutare correttamente il rischio connesso all’acquisto di determinati titoli azionari, venendo a mancare un’analisi dei fondamentali e la capacità degli investitori di far funzionare efficientemente il mercato, in quanto i prezzi di scambio degli strumenti finanziari riflettono l’effettivo valore economico – anche in prospettiva futura – della partecipazione. Conseguentemente, essi sono stati tra le concause del verificarsi di bolle speculative, in quanto non capaci di stimare adeguatamente il valore dei titoli su cui operavano.174

172 In particolare, uno dei tre punti centrali dello stesso è proprio quello sugli azionisti, considerandosi

che “il quadro in materia di governo societario si basa sul presupposto che gli azionisti si impegnino

attivamente nella società e obblighino i dirigenti a rendere conto del loro operato. Tuttavia, la realtà rivela che gli azionisti hanno, in maggioranza, un atteggiamento passivo e che spesso sono interessati solo ai profitti a breve termine. Sembrerebbe quindi opportuno riflettere su come si possa incoraggiare un maggior numero di azionisti a interessarsi a risultati duraturi e a prestazioni a lungo termine e ad assumere un ruolo più attivo in merito alle questioni relative al governo societario. Inoltre, le problematiche cambiano in funzione della struttura dell'azionariato, ad esempio per quanto riguarda la tutela degli azionisti di minoranza”. Va detto poi che il tema era stato affrontato anche nel precedente

COMMISSIONE EUROPEA, Green Paper “Corporate Governance in Financial Institutions and

remuneration policies”, in ec.europa.eu, 2010.

173 Si fa riferimento qui alla “Proposal for a Directive of the European Parliament ad of the Council amending Directive 2007/36/EC as regards the encouragement of long-term shareholder engagement and Directive 2013/34/EU as regards certain elements of the corporate governance statement”, che

nella relativa relazione fa presente che “The past years have highlighted certain corporate governance

shortcomings in European listed companies. These shortcomings relate to different actors: companies’ and their boards, shareholders (institutional investors and asset managers) and proxy advisors. Identified shortcomings related mainly to two problems: insufficient engagement of shareholders and lack of adequate transparency”. In questo senso anche F. DENOZZA, Logica dello scambio e

contrattualità, cit.

174 J. TAUB, The sophisticated investor and the global financial crisis, in J.HAWLEY -S.J.KAMATH -

A.T.WILLIAMS (a cura di), Corporate governance failures. The role of institutional investors in the

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Sul punto, ed in generale sul rapporto tra attivismo, corporate governance e crisi finanziaria, è stato già notato come l’attualità veda una progressiva financialization dell’attività imprenditoriale, che,al contempo implica l’attribuzione di una maggiore influenza sulla gestione dell’impresa agli operatori nei mercati finanziari e concentra l’interesse dell’investitore dal fine di apporto di capitale in un’impresa ad un fine di mero investimento finanziario, che del tutto prescinde dall’analisi dell’effettiva attività svolta dall’impresa stessa. A ciò corrisponde una diminuzione dell’interesse per una partecipazione costante nell’impresa, con un’ottica finalizzata sul ritorno di breve periodo dell’investimento ed un alto turnover degli investimenti (per quanto, come già detto, questo dato richieda un’interpretazione complessa e potrebbe non assumere significati particolari in termini di promozione di una prospettiva di breve periodo). Proprio il già citato short-termism risulta essere dunque una delle cause della crisi finanziaria175.

In tal senso, allora, dinanzi alla recente crisi finanziaria si poneva il problema dell’assenza di un sufficiente engagement degli investitori istituzionali come causa della stessa crisi,176 tanto da giungersi, in taluni ordinamenti, a partire da quello inglese, come detto, all’adozione di un apposito “Stewardship Code” volto a promuovere una più attiva partecipazione e ad imporre determinati principi che guidino gli investitori istituzionali in relazione alla modalità con cui essi esercitano i diritti amministrativi che vantano nelle società partecipate. In altri ordinamenti, ove minore è stata la tendenza a promuovere forme di coinvolgimento degli investitori istituzionali in risposta alla crisi finanziaria, talune misure presuppongono comunque un loro maggior ruolo (si pensi, ad esempio, al say on pay previsto dal Dodd-Frank Act negli Stati Uniti).177 In coincidenza con questa tendenza, legislativa e di autodisciplina, a promuovere una maggiore partecipazione degli investitori istituzionali, si notava peraltro un autonomo incremento della stessa, dovuto forse al rinnovato sforzo legislativo, forse semplicemente alla contingenza storica, in cui da più parti veniva auspicata l’assunzione di un ruolo maggiore dei fondi nella

governance (anche a causa di situazioni – quale le eccessive remunerazioni

175 P. WOOLLEY, Why are financial markets so inefficient and exploitative, cit.; L. L. DALLAS, Short Termism, the Financial Crisis and Corporate Governance, cit., che definisce in modo efficace lo short termism come “the excessive focus of corporate managers, asset managers, investors, and analysts on short-term results, whether quarterly earnings or short-term portfolio returns, and a repudiation of concern for long-term value creation and the fundamental value of firms”. Per una panoramica su vari

studi critici sullo short-termism ed i suoi effetti nei mercati finanziari G.J. WARREN, Long-Term

Investing: What Determines Investment Horizon?, in papers.ssrn.com, 2014, p. 12.

176 Si veda ad esempio, per quanto concernente l’ordinamento inglese, D. WALKER, A review of corporate governance in UK banks and other financial industry entities: final recommendations, cit.,

p. 72, e si sono già citate le varie indagini della Commissione Europea che supportano anch’esse questa visione.

177 Per un’efficace ricognizione delle proposte e degli interventi volti a rendere più forte il monitoraggio

degli azionisti nella fase immediatamente successiva alla crisi nell’ordinamento statunitense ed in quello inglese si veda C.M. BRUNER, Corporate Governance Reform in a Time of Crisis, in Journal of

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riconosciute a molti manager – che destavano notevole attenzione nell’opinione pubblica).

Tuttavia la propensione a ritenere positivo, o comunque da incentivare, lo shareholder

activism, non è affatto indiscutibile, tanto che sia negli Stati Uniti che in ordinamenti

tendenzialmente più benevoli verso gli azionisti (come, ad esempio, quello inglese) emerge sul punto un vivace dibattito che continua anche negli anni più recenti.178 Diversi autori, come si vedrà, mettono in rilievo che il potere riconosciuto agli investitori istituzionali, e che anzi si auspica questi usino con particolare incisività, rischia, per vari motivi, di essere dannoso per le società in cui essi investono: la tendenza a spingere la gestione a considerare solo orizzonti di breve periodo, la scarsa trasparenza sul modo in cui vengono esercitati i diritti sociali, la presenza di conflitti d’interessi,179 la negazione del criterio dello shareholder value come unico indice del buon andamento dell’attività imprenditoriale inducono infatti a ritenere perniciosa l’influenza degli investitori istituzionali sul board. In particolare, si pone l’accento sull’ottica di breve periodo assunta dagli investitori istituzionali e sulle conseguenti pressioni per la massimizzazione del valore azionario nel breve periodo esercitate nei confronti degli amministratori come uno dei fattori scatenanti le carenze nella

governance che hanno condotto alla crisi finanziaria.180 Da questo punto di vista anche ordinamenti, come quello inglese, particolarmente propensi ad attribuire diritti agli azionisti e importanza allo shareholder value, hanno promosso una visione “illuminata” di questo e tendono dunque a riconoscere il valore di una visione complessa e “composita” dell’interesse – e del benessere - della società.181 Allo stesso modo, l’interpretazione corrente dell’obiettivo degli amministratori nel diritto

178 A titolo meramente esemplificativo, si vedano le repliche a L.A.BEBCHUK -A.BRAV W.JANG, The long term effects of hedge fund activism, in Columbia Law Review, vol. 115 (2015), p. 1085, ad

opera di M.LIPTON (corpgov.law.harvard.edu/2013/10/28/empiricism-and-experience-activism-and-

short-termism-the-real-world-of-business), e successivamente le controrepliche dello stesso L. A. BEBCHUK (corpgov.law.harvard.edu/2013/09/17/dont-run-away-from-the-evidence-a-reply-to-

wachtell-M. Lipton).

179 S. M. BAINBRIDGE, Director Primacy and Shareholder Disempowerment, in Harv. L. Rev., vol. 119

(2006), p. 1735, nota in particolare come “the two classes of institutions most likely to make significant

use of those powers—state and local public employee and union pension funds—are precisely the classes most likely to misuse those powers in the pursuit of private benefits”.

180 M. LIPTON, Empiricism and experience; activism and short-termism; the real world of business, in corpgov.law.harvard.edu, 2013. In generale, si tende a contrapporre l’era dello shareholder activism

all’età d’oro del “patient capital” che promuoveva lo sviluppo delle imprese con attenzione al loro sviluppo nel lungo periodo e che era stato un elemento essenziale dello sviluppo economico del dopoguerra, mentre la realtà attuale favorisce la perdita di competitività dell’economia americana vista la tendenza, già analizzata, dei fondi attivisti a promuovere quella diminuzione in attività di ricerca che risultano fondamentali per concorrere sui mercati internazionali, J. B. JACOBS, "Patient Capital", cit., p. 649. Si tratta di un argomento che dà forza alle riflessioni attuali di chi ritiene che debba operarsi sul piano della regolazione dei gestori del risparmio allo scopo di ripristinare una prevalenza dell’economia reale sull’economia finanziaria.

181 J. G. HILL, Then and Now, cit., p. 1022; J.LOUGHREY A.KEAY –L.CERIONI, Legal practitioners, enlightened shareholder value, and the shaping of corporate governance, in Journal of Corporate Law Studies, 2008, p. 79; V. HARPER HO, 'Enlightened shareholder value': corporate governance beyond

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nordamericano sembra focalizzarsi sulla massimissazione del valore della partecipazione con un orizzonte di lungo periodo.182

La considerazione di tale dibattito non può però prescindere dalla necessità di conoscere come vengano esercitati i diritti sociali da parte degli investitori istituzionali183 e quanto, nei singoli ordinamenti, sia il potere riconosciuto agli azionisti di influenzare gli amministratori e, viceversa, la capacità di questi di resistere alle pressioni dei primi. Il dibattito statunitense in tema, dunque, per quanto paradigmatico dal punto di vista teorico, deve essere traslato con estrema cautela nel nostro contesto economico, in cui si è andata affermando la tendenza ad attribuire maggiori poteri e diritti, ai soci, mentre oltreoceano sovente il legislatore ha cercato di proteggere gli azionisti piuttosto che attribuire loro poteri184, anche tenendo conto dei differenti assetti proprietari che caratterizzano gli ordinamenti continentali.