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IL LATO PUBBLICO DELLA STEWARDSHIP

La visione dell’attivismo delineata nel precedente capitolo si concentra sull’esercizio dei diritti sociali come declinazione delle modalità di esercizio di un potere-dovere

591 K. J. HOPT, Corporate Governance in Europe: A Critical Review, cit., p. 49.

592 Come rileva I. CHIU, Enhancing responsibility in financial regulation: part 1, cit., p. 174, l’approccio

regolatorio fondato sulla “responsabilisation”, cioè sullo stimolo della consapevolezza degli utenti, non può in alcun modo risolvere la questione dei beni pubblici e collettivi.

593 L. E. STRINE, Securing Our Nation’s Economic Future : A Sensible, Nonpartisan Agenda to Increase Long-Term Investment and Job Creation in the United States, in papers.ssrn.com, 2015, p. 19.

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attribuito all’investitore istituzionale in quanto gestisce un patrimonio per conto dei suoi clienti, nell’interesse dei quali va esercitato tale potere.

Questa visione rischia di risultare oggi incompleta, se non riduttiva. Già prima dell’introduzione dei codici di stewardship si suggeriva l’idea che l’attivismo fosse funzionale allo scopo di disciplinare la governance delle società partecipate con l’intento non solo di far sì che questa rispondesse alla visione degli interessi degli investitori, ma anche ad un obiettivo di pubblico interesse più ampio.594 In questa prospettiva, l’engagement degli investitori istituzionali oltre che “disciplinante” finirebbe per essere necessariamente oggetto di una disciplina che guardi anche alla tutela di un interesse esterno a quello del cliente verso cui insistono i doveri fiduciari, sulla base del presupposto che non si può lasciare alla mera interpretazione di tale relazione contrattuale il perseguimento del menzionato interesse pubblico.595

La definizione dello Stewardship Code, ad esempio, si focalizza sulla responsabilità degli asset managers non solo nel monitoraggio, ma anche, più specificamente, nel contribuire alla gestione della società stessa tenendo il board “accountable” per la sua attività.596 In effetti, il Code inglese nel definire le materie su cui gli investitori istituzionali dovrebbero essere attivi attribuisce loro non solo una posizione di “cani da guardia”, ma anche una posizione di contributori in positivo al governo sociale. Così, v’è addirittura chi ne paragona il ruolo a quello del consiglio di amministrazione attribuendo loro una funzione di controllo e di indirizzo nei confronti dell’amministratore delegato, interrogandosi sulla possibilità di incidere sulle scelte di quest’ultimo degli stessi azionisti istituzionali.597

Si può allora intravedere come il concetto di stewardship tenda ad assumere una duplice funzione. 598

La lettera del Codice sembra, a tratti, riconnetterlo ad una funzione di disciplina del ruolo giocato dagli investitori istituzionali nella corporate governance piuttosto che dell’esercizio di un potere-dovere, e così parte della dottrina.599 Quelli di stewardship si configurerebbero allora come principi al cui rispetto i gestori dovrebbero attenersi

594 I. CHIU, The foundations and anatomy of shareholder activism, cit., p. 19, parla, eloquentemente, di

una ricerca, da parte dei policy makers di una “partnership of the investment industry in enforcing the

delivery of the public good”.

595 I. CHIU, The foundations and anatomy of shareholder activism, cit., p. 42.

596 “In publicly listed companies responsibility for stewardship is shared. The primary responsibility rests with the board of the company, which oversees the actions of its management. Investors in the company also play an important role in holding the board to account for the fulfilment of its responsibilities.”

597 B.W.HEINEMAN S.DAVIS, Are Institutional Investors Part of the Problem or Part of the Solution?,

in www.ced.org, 2011, p. 26.

598Sulla scarsa chiarezza del concetto di stewardship vedi anche M.ANDENAS -I.CHIU, The foundations and future of financial regulation, cit., p. 400.

599 I. CHIU -D.KATELOUZOU, From Shareholder Stewardship to Shareholder Duties, cit., ritengono che

il concetto sia utile “to define the institutions’ and asset managers’ responsibilities towards their

investee companies”. T. MCNULTY - D. NORDBERG, Ownership, Activism and Engagement:

Institutional Investors as Active Owners, in Corporate Governance: An International Review, vol. 24

(2016), p. 346, a p. 347, definiscono la stewardship come una “subordination of personal interests to

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anche a prescindere dal rapporto con i loro clienti, quasi come se essi avessero un dovere di stewardship verso la società.600

È stato notato, in effetti, che mentre alcuni tra gli Stewardship Principles riguardano specificamente la relazione tra investitori istituzionali ed i loro beneficiari (cioè il rispetto del principio tende a realizzare l’interesse del cliente) altri, come il quinto principio del Code (ed il quarto, con riferimento alle social ed environmental issues)

“frame institutional shareholders’ role as a form of governance even possibly in furtherance of public interest”.601 Ciò è espressione della “duplice natura” di cui sopra. Il fatto che tali disposizioni assumano rilievo oltre la mera relazione contrattuale tra organismi di investimento collettivo e loro clienti è mostrato dal fatto che nella direttiva di modifica della shareholders’ rights directive la disclosure su tali questioni deve essere fornita anche al pubblico602, vale a dire soggetti i cui interessi non dovrebbero teoricamente entrare in rilievo in questa fase.603

Si ricostruisce dunque la presenza di due aspetti della stewardship – pubblicistico e privatistico – che sono due facce della stessa medaglia. Enfatizzare l’uno o l’altro ha però notevoli conseguenze sul significato dato al concetto. Nel primo caso l’analisi dovrebbe focalizzarsi su come gli asset manager possano meglio proteggere gli interessi dei loro clienti, il che per certi versi restringe lo spazio per l’attivismo alla luce delle considerazioni già svolte sulla sua effettiva vantaggiosità ed al contempo tende ad espandere l’autonomia riconosciuta al gestore nel determinarne l’orientamento. Nel secondo caso, deve invece essere posta al centro dell’attenzione la relazione degli investitori istituzionali con gli emittenti, il che apre la porta a un’ottica più ampia degli obiettivi degli asset manager. Il riferimento al beneficio dell’“economy as a whole” come obiettivo della predisposizione degli stewardship

principles, nonostante sembri essere posto solo come un effetto indiretto della stewardship, dà l’impressione che questa sia inserita in un contesto più ampio di quella

di una mera raccomandazione sul come adempiere gli obblighi sull’esercizio dei diritti aministrativi derivante da un rapporto di gestione.

Anche la regolazione della stewardship finisce dunque per avere due differenti “anime”: la prima concerne l’adempimento di un obbligo verso i beneficiari della

600 D. ARSALIDOU, Shareholders and Corporate Scrutiny, cit., p. 345.

601 I. CHIU, Learning from the UK, cit., p. 29, interpreta il riferimento del quinto principio inerente il

“wider economic stress” che dovrebbe spingere gli investitori a cooperare come finalizzato alla protezione di un interesse pubblico al buon funzionamento del sistema economico (ed è un principio che è presente anche nella guidance del quarto principio italiano, ove si parla di “problematiche di

interesse pubblico”). Anche il riferimento del quarto principio inglese e del terzo principio italiano agli

aspetti ambientali e sociali va in questa direzione, in quanto sembra mostrare un tentativo di “pubblicizzare” le attività di engagement.

602 La ragione sembra essere quella di fornire l’opportunità di un controllo della condotta degli

investitori istituzionali, anche da una platea più ampia di quella dei loro clienti, più che dare maggiori poteri a questi ultimi, come notato da I. CHIU, Learning from the UK, cit., p. 34.

603 Va ricordato, sul punto, che invece non sono soggette a comunicazione al pubblico le informazioni

sulla condotta dell’asset manager (a differenza che nella versione intermedia della direttiva), il che sembra valorizzare il ruolo dell’asset owner come centro della definizione degli interessi da perseguire in un’ottica più ampia.

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gestione. L’altra “anima” riguarda il tentativo dell’ordinamento di trasformare gli investitori istituzionali in “controllori” del board e dell’emittente a prescindere dai citati doveri, finendo per porre un accento sull’esistenza di un interesse pubblico da tutelare.604 È facile associare tali due anime al dibattito tra una prospettiva che, semplificando, potrebbe dirsi contrattualista (centrata sullo shareholder value) ed una istituzionalista delle società (che prende in considerazione anche l’interesse degli

stakeholders, facendo peraltro riferimento ad una nozione ampia di tale categoria).605 Emerge fondamentalmente, nel regolare la stewardship, una tendenza a funzionalizzarla allo sviluppo economico in termini più generali. A rendere cioè l’esercizio dei diritti proprietari da parte di un gestore del risparmio in monte volto alla tutela, come detto, di una sorta di “interesse pubblico”, dai contorni però inevitabilmente non ben definiti.

I presupposti di una simile ricostruzione della nozione di stewardship sono rintracciati da taluni sul piano dell’interesse sociale al funzionamento del sistema previdenziale.606 Un’altra prospettiva, che riporta al tema dei doveri fiduciari dell’investitore istituzionale, cioè alla questione dell’esercizio dei diritti proprietari nel miglior interesse del cliente, riprende la già citata visione degli investitori istituzionali come “universal owners”: in virtù del dovere di perseguire un interesse “ampio” a tutela dell’interesse dei loro clienti, essi si prestano ad essere una sorta di agent del sistema economico.607

Ancora, si può dire che si tende a valorizzare il ruolo degli investitori istituzionali come fornitori di capitali alle società, dunque come fattore di sostegno allo sviluppo economico.

È vero che la valorizzazione degli aspetti citati deriva fondamentalmente dalla presunzione di un allineamento tra interesse del sistema economico, della società e dei beneficiari della gestione, il che è in fin dei conti l’intento espressamente dichiarato dal legislatore europeo nei consideranda della direttiva; è anche vero, al contempo,

604 I. CHIU, Learning from the UK, cit., p. 29.

605 D. KATELOUZOU, Reflections on the Nature of the Public Corporation in an Era of Shareholder Activism and Shareholder Stewardship, in papers.ssrn.com, 2016.

606 I. CHIU - D. KATELOUZOU, From Shareholder Stewardship to Shareholder Duties, cit., che

considerano in particolare che il pubblico interesse in quest’area è collegato al ruolo fondamentale degli investitori istituzionali nel funzionamento dei sistemi previdenziali, come dimostrato dalla tensione ad allineare la loro condotta con le loro responsabilità di lungo termine. Ciò è probabilmente vero ma non coglie appieno il significato dell’interesse pubblico alla partecipazione degli investitori istituzionali alla

governance, che può essere funzionalizzato ad un più generale scopo di assicurare uno sviluppo

finanziariamente sostenibile degli emittenti.

607 J.HAWLEY -K.JOHNSON, The rise of fiduciary capitalism, cit., p. 24 e 98. Gli autori citati ad esempio

sostengono come, ad esempio, uno universal owner dovrebbe preferire che le aziende investano in capitale umano o in ricerca e sviluppo, anche ove i benefici di tali investimenti non ricadano interamente sull’azienda ma anche sui concorrenti della stessa, perchè ne beneficerebbe il sistema economico nel suo complesso. Una scelta inefficiente dal punto di vista individuale, che è quello che interessa al

management della singola emittente, diventa efficiente da un punto di vista collettivo, e dovrebbe

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che tramite il riferimento a fattori specifici608 come oggetto di attenzione dell’asset

manager, la prospettiva di questo viene pian piano spostata: dacché esso è libero,

stante la funzionalizzazione della sua attività ad un fine generalissimo (la tutela del cliente), di determinare come esso verrà perseguito, pian piano si propone la specificazione degli strumenti da utilizzare per perseguire quel fine, strumenti che finiscono per configurarsi come un fine in stesso.609 Così, di volta in volta, sfuma il confine tra il dovere di proteggere il risparmiatore e quello di realizzare un interesse dell’ordinamento, fino a doversi ritenere che quest’ultimo diventi un fine a se stante, potendosi poi transitare nella tensione al soddisfacimento di esigenze di carattere etico, sociale, ambientale.

Il report appena citato, ad esempio rileva come gli asset managers dovrebbero evitare, in momenti di crisi economica, il disinvestimento da titoli volatili a causa dell’andamento del mercato ma l’investimento nei quali è coerente con un orizzonte di lungo periodo, il che confliggerebbe con la necessità che gli stessi “invest counter-

cyclically and have a natural stabilising influence over the market”.610 Si vede, in filigrana, l’intento di attribuire agli investitori istituzionali un ruolo di non mera realizzazione dell’interesse dei loro clienti, ma anche di fattore di stabilizzazione del mercato.611 Allo stesso tempo, pare evidente, quantomeno nelle dichiarazioni di intenti del legislatore europeo, l’intento di canalizzare le risorse detenute dall’industria dell’asset management verso specifiche allocazioni, quantomeno a livello di orizzonte temporale dell’investimento.612 Ciò è tanto più chiaro quando si prendono in

608 Si pensi, ad esempio, al considerando 15 della nuova direttiva, in cui il legislatore europeo paventa

che short-termism e carenza di engagement “may, among other negative consequences, lead to a

suboptimal level of investments, for example in research and development”. Fino a dove questo tutela

l’interesse per il portafoglio gestito senza che venga, poi, in rilievo un interesse più ampio?

Similmente, l’art. 3h c. 2 lett. b) afferma che deve essere data trasparenza a come l’accordo tra investitore istituzionale e asset manager “incentivises the asset managerto engage with investee

companies in order to improve their performance in the medium to long-term”, e in questo l’interesse

del beneficiario ultimo in qualche modo “scompare”.

609 Interessante da questo punto di vista il recente Action Plan dell’associazione degli investment managers inglesi (The Investment Association, Supporting UK Long term Productivity with Long-Term Investment, in www.theinvestmentassociation.org, 2016). Esso si focalizza sull’importanza del fatto che

la gestione dei fondi presti attenzione al tema della produttività delle società partecipate come funzionale alla produttività del sistema nel suo complesso. Nel fondare tale necessità si fa riferimento anche al fatto che l’interesse dei beneficiari della gestione coincide con quello all’efficiente impiego delle risorse da parte degli emittenti (e quindi ad una maggiore produttività degli stessi). D’altro canto, pare evidente che quello che è teoricamente, in questa prospettiva, un mezzo per massimizzare il rendimento dell’investimento finisce per diventare oggetto dell’attenzione dell’investitore anche al di là della prospettiva di mera strumentalità a tale fine.

610 The Investment Association, Supporting UK Long term Productivity with Long-Term Investment, cit., p. 47.

611 In questo senso va anche la tendenza a creare veicoli “ad hoc”, come gli European Long Term Investment Funds, che dovrebbero finanziare piccole e medie imprese quotate o progetti di carattere

infrastrutturale, introdotti dal regolamento europeo 2015/760. In tema, con una proposta simile, anche A. PERRONE, Capital markets union. A proposal for action, in Rivista Orizzonti del Diritto

Commerciale, 2016.

612 F. DENOZZA, Quale quadro per lo sviluppo della corporate governance, cit., p. 4; K. J. HOPT, Corporate Governance in Europe: A Critical Review, cit., p. 14. Non si tratta, peraltro, di

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considerazione fondi strutturalmente orientati al lungo termine come i fondi pensione (si veda in tema la direttiva IORP II).

In questa prospettiva, finisce dunque per aversi una commistione tra il piano privatistico e quello pubblicistico. Al contempo, infatti, le stesse ragioni che giustificano una concettualizzazione ampia dei doveri fiduciari finiscono anche per giustificare la sussistenza di un interesse pubblico ad un attivismo responsabile che risponda ad esigenze altre rispetto a quelle dei clienti. La presa di coscienza del mescolarsi di tali fattori può e deve avere innanzitutto un effetto su un piano “culturale” di responsabilizzazione dei gestori nell’assumere una prospettiva di lungo periodo.

In generale, conferma questa tendenza ad un allontanamento dal concetto degli

stewardship principles come riguardanti solo gli interessi dei beneficiari della

gestione, rendendoli invece “servi di due padroni”, il fatto che si limita il ruolo delle soluzioni “di mercato” per l’attivismo, ritenendo che esse forniscano una risposta insoddisfacente, mentre più opportuna risulta l’imposizione di specifici doveri (anche se, tendenzialmente, di doveri di trasparenza, il che ripropone il problema di mercato). Si è già rilevato come tali doveri di trasparenza siano indirizzati non ai clienti ma al pubblico, il che significa che non solo i clienti dovrebbero essere informati di come gli investitori istituzionali esercitano i loro poteri: tale previsione potrebbe essere letta come un modo per rendere gli asset managers responsabili in un contesto più ampio, indicando una platea più ampia – rispetto a quella dei loro clienti – rispetto a cui sia necessaria una certa accountability. Accountability che, dice sempre la nuova direttiva, insiste non solo verso i clienti, ma anche verso la “civil society” (considerando 16). Su questa e sulle altre basi descritte si può ritenere che l’eteronormazione dei doveri di engagement non sia (solo) funzionale ad una miglior tutela dell’interesse del contraente debole, ma anche ad una “infiltrazione” di interessi pubblici che meriterebbero una tutela autonoma.

Ciò trova poi un’ulteriore dimostrazione nelle caratteristiche delle regole sulla

engagement policy, come la considerazione di aspetti dell’attivismo che vanno oltre la

mera protezione degli interessi dei beneficiari: in questo senso, allora, può darsi un ruolo al dovere di valutare l’impatto ambientale e sociale dell’emittente e di relazionarsi con gli altri stakeholders. Non si tratta di una forma di responsabilità sociale dovuta ai clienti, stante la sua debole giustificabilità su questo piano,613 ma di responsabilità che trova la sua fonte su di un piano “pubblicistico”.

Non deve dunque ritenersi che, alla luce di quanto detto, l’interesse pubblico all’attivismo dei gestori coincida con l’interesse privato dei clienti degli stessi, sia pure nella sua versione evoluta descritta nel capitolo precedente. Una coincidenza non può

guardando ad esempio ai vari lavori di Leo Strine jr. in tema, che sembrano collegare il long-termism ad un miglioramento delle infrastrutture pubbliche statunitensi.

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certo trovarsi sul piano “etico”614 ma può, ancora una volta, riscontrarsi invece laddove l’interesse pubblico venga fatto coincidere con quello ad una governance sostenibile e razionale, con un contenimento dei rischi, con il perseguimento di una crescita del sistema economico.

È estremamente importante chiarire questo passaggio su un piano definitorio, evitando, come già fatto in tema di ricostruzione dei doveri fiduciari, che le prospettive finiscano per sovrapporsi, fingendosi che la tutela dell’inerme beneficiario della gestione coincida con la tutela dei valori di volta in volta “preferiti” dall’ordinamento.

3. I LIMITI E LA DEFINIZIONE DELL’ “INTERESSE PUBBLICO”,