• Non ci sono risultati.

3. Piano della tesi

1.2. Duplice senso del termine “facoltà”

Nel paragrafo precedente abbiamo indicato l’immanenza della critica come il tratto fondamentale che a parere di Deleuze contraddistingue il metodo trascendentale, e il rapporto sistematico tra le facoltà come l’esplicitarsi di tale metodo. Abbiamo inoltre accennato al fatto che, proprio nella forma sistematica, il metodo viene a coincidere con la stessa autonomia della ragione. Legiferando su se stessa, la ragione si articola infatti in una pluralità di interessi reciprocamente connessi, ciascuno dei quali rimanda a una

1 PICG, p. 72.

2 Cfr. ivi, p. 127: «[La facoltà del Giudizio] è d’una specie così particolare ch’essa di per sé non produce

conoscenza alcuna (né teoretica né pratica), e, nonostante il suo principio a priori, non fornisce nemmeno una parte speciale alla filosofia trascendentale, considerata come dottrina obiettiva, ma stabilisce soltanto il legame tra le altre due facoltà superiori della conoscenza, l’intelletto e la ragione». Proprio per questo, tale facoltà «non è suscettibile d’una dottrina, ma solo d’una critica».

31

specifica gerarchia tra le facoltà. Ora, secondo Deleuze questa connessione è resa possibile innanzitutto da un duplice senso che investe la nozione di facoltà.

In un primo senso, il termine facoltà indica le modalità di relazione tra una rappresentazione e qualcosa d’altro da essa, oggetto o soggetto. A seconda che una rappresentazione sia riferita (1) all’oggetto dal punto di vista della conformità o dell’accordo, (2) all’oggetto dal punto di vista della causalità, (3) al soggetto dal punto di vista della modifica della sua forza vitale, la relazione definisce, rispettivamente, (1) la facoltà di conoscere, (2) la facoltà di desiderare, (3) il sentimento del piacere e dispiacere come facoltà. Delle facoltà così intese la critica ha il compito di stabilire la possibilità di quello che Kant chiama “un esercizio superiore”, ossia di un esercizio che contenga in sé il principio della propria legge.

Deleuze comincia considerando la facoltà di conoscere. Affinché vi sia conoscenza, è necessario secondo Kant non soltanto «che noi abbiamo una rappresentazione, ma che ne usciamo per riconoscerne un’altra come ad essa collegata»1. Essenza del conoscere è precisamente questa unione, questo atto sintetico

mediante cui «affermiamo dell’oggetto di una rappresentazione qualche cosa che non è contenuto in questa rappresentazione»2. Kant, com’è noto, distingue gli atti sintetici a

seconda che siano dipendenti dall’esperienza (sintesi a posteriori) o indipendenti da essa (sintesi a priori). Nel primo caso, la facoltà di conoscere trova la propria legge non in sé, bensì, appunto, nell’esperienza, manifestandosi perciò in una forma inferiore. Nel secondo caso, invece, è la stessa facoltà di conoscere a legiferare sugli oggetti, attribuendo loro proprietà che non erano contenute nella rappresentazione: perché la sintesi sia a priori, è necessario che l’oggetto sottostia esso stesso alla sintesi, cioè che sia esso a regolarsi sulla nostra facoltà di conoscere, e non viceversa3. Sarà quindi la sintesi a priori a definire la facoltà di conoscere nella sua forma superiore.

Questa definizione non è tuttavia adeguata se ci volgiamo alla facoltà di desiderare. Nelle rappresentazioni che costituiscono il desiderio interviene, infatti, la determinazione della volontà, la quale può essere determinata attraverso il piacere legato ad un oggetto (dunque in modo non autonomo), anche in quelle rappresentazioni che si presentano a priori. Perché la facoltà di desiderare pervenga alla sua forma

1 K, p. 16. 2 Ibidem. 3 Cfr. K, p. 17.

32

superiore, occorre allora «che la rappresentazione cessi di essere rappresentazione di un oggetto, sia pure a priori. Occorre che essa sia rappresentazione di una pura forma»1. Astratta da ogni oggetto, e così preservata dalla possibilità di una determinazione eteronoma, la volontà dovrà essere volontà della semplice forma della legge: soltanto allora «la facoltà di desiderare non troverà più la legge fuori di sé, in una materia o in un oggetto, ma in se stessa»2, così da poter essere affermata nella sua superiorità.

Lasciando ora da parte il caso della forma superiore del sentimento, che come abbiamo brevemente accennato sopra occupa un posto del tutto eccentrico rispetto alle altre due forme, si tratta qui di notare che non soltanto si danno differenti modalità di relazione rappresentativa in cui la ragione è legiferante, ma che, inoltre, a seconda della modalità considerata, la ragione legifera differentemente. Per questo la determinazione della forma superiore di una facoltà è ad un tempo l’espressione di uno specifico e irriducibile interesse della ragione: nella facoltà di conoscere superiore la ragione esprime il proprio interesse speculativo, nella facoltà di desiderare superiore il proprio interesse pratico. Deleuze può enucleare così quella che è per lui «una tesi essenziale della Critica in generale: esistono degli interessi della ragione che differiscono per natura. Questi interessi formano un sistema organico e gerarchizzato, che è quello dei fini dell’essere ragionevole»3. Rimane tuttavia un punto da chiarire: come si realizza

ciascun interesse? Come avviene, cioè, la sottomissione degli oggetti alle forme superiori delle facoltà? Chi legifera veramente in esse? È per rispondere a questi interrogativi che Deleuze tematizza un secondo senso del termine facoltà.

Se il primo senso del termine facoltà indica i diversi modi di rapporto di una rappresentazione, il secondo senso designa le fonti specifiche del rappresentare in generale. Si distinguono, sotto tale aspetto, da un lato una facoltà recettiva, la sensibilità, dall’altro tre facoltà attive, l’immaginazione, l’intelletto e la ragione. Come sottolinea bene Palazzo4, ciò che interessa a Deleuze è mettere in luce la corrispondenza sistematica tra le due accezioni: «quando una facoltà è stata definita nel primo senso della parola, in modo tale che le corrisponda un interesse della ragione, noi dobbiamo cercare un’altra facoltà, nel secondo senso, capace di realizzare questo interesse o di

1 Ivi, p. 19 2 Ibidem. 3 Ivi, p. 20.

33

assicurare la funzione legislatrice»1. Nella Critica della ragion pura, ad esempio,

l’interesse speculativo è realizzato dall’intelletto: all’interno della forma superiore della facoltà di conoscere, soltanto l’intelletto è legislatore; diversamente, la Critica della ragion pratica mostra che a legiferare nella facoltà di desiderare superiore, secondo l’interesse pratico, è la sola ragione. La legislazione di ciascuna facoltà predispone dei compiti precisi per tutte le altre facoltà, che le sono subordinate: perciò l’intelletto, la ragione e l’immaginazione entreranno in rapporti ogni volta diversi, in base alla supremazia dell’una o dell’altra facoltà. Vengono a definirsi, allora, «delle variazioni sistematiche nel rapporto tra le facoltà, a seconda che noi consideriamo questo o quell’interesse della ragione»2. Sono tali variazioni a costituire per Deleuze la vera e

propria struttura del metodo trascendentale, che ciascuna Critica, da una differente prospettiva, ha il compito di studiare.