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3. Piano della tesi

1.5. Il rapporto libero e indeterminato tra le facoltà nella Critica del Giudizio

1.5.1. La facoltà superiore del sentimento

In precedenza abbiamo visto che le facoltà superiori di conoscere e di desiderare comportano la determinazione a priori di legislazioni specifiche secondo i due fondamentali interessi della Ragione: esse sono definite “superiori” precisamente in virtù dell’autonomia con cui determinano il proprio esercizio. Ora ci dobbiamo chiedere: in che cosa può consistere una forma superiore del sentimento di piacere e dispiacere? La risposta che Kant offre, nella terza Critica, a questa domanda, coincide con l’apertura di un nuovo ordine di problemi, innanzitutto per via del fatto che non si tratta più d’individuare il manifestarsi di un interesse dominante. Il sentimento, infatti, raggiunge la sua forma superiore solo nella misura in cui si pone come interamente disinteressato: a fronte di un tale disinteresse rispetto all’oggetto sentito, tutta l’attenzione deve andare a concentrarsi sulle variazioni di stato che una rappresentazione produce nel soggetto del sentire. Scrive Deleuze: «Ciò che conta non è

1 Ibidem. Cfr. inoltre ID, pp. 73-74: «Le prime due Critiche si richiamavano a dei fatti, cercavano delle

condizioni per questi fatti, e le trovavano in facoltà già formate. Rinviavano perciò a una genesi che esse erano incapaci di assicurare per conto proprio. Ma nella Critica del giudizio estetico, Kant pone il problema di una genesi delle facoltà nel loro libero accordo originario. Egli scopre allora l’ultimo fondamento che ancora mancava alle altre due Critiche».

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l’esistenza dell’oggetto rappresentato, ma il semplice effetto di una rappresentazione su di me. In altri termini, un piacere superiore è l’espressione sensibile di un giudizio puro, di una pura operazione del giudicare»1. In quanto sentimento dell’attività soggettiva di messa in forma della materia, il piacere superiore ha nello stesso giudizio il proprio fondamento, consegue da esso senza mai poterne essere condizione. Vale a dire: è perché giudichiamo che possiamo provare un piacere, non viceversa; perciò il piacere, pur essendo soggettivo, è universalmente comunicabile e condivisibile. Questo sentimento dell’attività pura del giudizio, disinteressato, non determinante, del tutto interno al soggetto, si mostra in maniera emblematica allorché consideriamo il giudizio estetico sugli oggetti belli.

Secondo Kant, per distinguere se qualcosa è bello, è essenziale che noi «riferiamo la rappresentazione non all’oggetto mediante l’intelletto, in vista della conoscenza; ma al soggetto, e al suo sentimento del piacere o del dispiacere, mediante l’immaginazione»2. In questo riferimento, l’immaginazione resta indifferente

all’esistenza materiale dell’oggetto, limitandosi a riflettere nell’animo la sua forma pura3: causa del piacere superiore del bello nel giudizio estetico è precisamente, dice

Deleuze, «la rappresentazione riflessa della forma»4. Ma che cosa intende qui Kant per

riflessione nel giudizio? Per rispondere, è utile richiamare la distinzione che egli stabilisce tra le due principali tipologie di giudizio. Dopo avere definito la facoltà di giudizio in generale come facoltà di pensare il particolare come compreso sotto l’universale, nella Critica del Giudizio Kant riconosce due modi specifici in cui si dà questo rapporto: «Se è dato l’universale (la regola, il principio, la legge), il Giudizio che opera la sussunzione del particolare […] è determinante. Se è dato invece soltanto il particolare, e il Giudizio deve trovare l’universale, esso è semplicemente riflettente»5.

Da questo punto di vista, tanto i giudizi speculativi quanto i giudizi pratici sono di tipo

1 K, p. 82.

2 CG, § 1, p. 43; traduzione modificata.

3 A questo livello, precisa Deleuze, il termine “forma” non rimanda più alla sfera dell’intuizione che ci

mette in rapporto con oggetti esterni provvisti di una materia sensibile: in quanto correlata alla necessità unicamente soggettiva del giudizio estetico, “forma” non implica altro che la «riflessione di un oggetto singolare nell’immaginazione. La forma è ciò che l’immaginazione riflette di un oggetto, in opposizione all’elemento materiale delle sensazioni che quest’oggetto provoca in quanto esiste e agisce su di noi» (K, p. 82).

4 K, p. 83.

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determinante, consistendo entrambi nella sussunzione di un caso particolare sotto un universale già noto (intuizioni sotto concetti, azioni singolari sotto la legge morale); diversamente, i giudizi estetici sono sempre riflettenti: essi tentano sì di ricondurre dei particolari sotto un universale, ma liberamente, cioè senza una legge o una regola preesistente che li determini in questa operazione.

Così, quando diciamo che il sentimento di piacere conseguente dal giudizio estetico esiste solo come disinteressato, stiamo dicendo in fondo, scrive Deleuze, che «la facoltà di sentire nella sua forma superiore non è legislatrice»1: infatti essa non si rivolge a oggetti cui potersi applicare e che le sottostiano, né si correla ad una facoltà determinante (nel secondo senso del termine), che realizzi la sua legislazione. Proprio perché non può determinare gli oggetti, e però nello stesso tempo deve trovare una legge universale a cui ricondurre il particolare, il giudizio riflettente da cui il sentimento superiore è suscitato deve rivolgere su di sé la propria attività, dandosi, in modo di volta in volta diverso, una legge: perciò, più che autonomo, esso dev’essere definito eautonomo2.

Arrivati a questo punto, non troviamo più alcun accordo determinato tra le facoltà, alcuna legislazione in cui una facoltà prevalente sulle altre stabilisca la regola del rapporto. Cosa significa l’eautonomia del giudizio riflettente se non il fatto che sono tutte le facoltà dell’animo a mostrarsi insieme capaci di quell’accordo libero e senza regola che costituisce nel soggetto la vera e propria condizione di ogni accordo oggettivo, di ogni legislazione? Ecco dunque l’operazione peculiare della facoltà superiore del sentimento: priva di dominio, «essa non esprime delle condizioni a cui un genere di oggetti debba sottostare, ma unicamente delle condizioni soggettive per l’esercizio delle facoltà»3.