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3. Piano della tesi

1.3. L’intelletto legislatore

1.3.5. Le idee della ragione come campo problematico

L’intelletto legislatore ha il compito di costruire con i concetti la comprensione dell’oggetto. A questo fine, Kant dice che esso giudica: «di questi concetti l’intelletto non può fare altro uso se non in quanto per mezzo di essi giudica»4. Nell’uso speculativo, “giudizio” è il termine che indica, nel suo insieme, l’attività sintetica tramite cui l’intelletto determina l’attribuzione dei concetti agli oggetti. L’intelletto è legislatore della Natura essenzialmente in quanto la giudica. Tuttavia il giudizio non potrebbe determinare la totalità dell’esperienza, e così essere costitutivo di una Natura, se insieme ad esso non si desse anche un fondamento che condizioni l’attribuzione dei

1 Ivi, p. 38. 2 Ibidem. 3 ID, p. 69. 4 CRP, p. 89.

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concetti a tutti gli oggetti. Ora, tale fondamento non può essere trovato all’interno dello stesso intelletto, la cui funzione è sintetica senza perciò essere anche totalizzante. È qui che interviene nella sua peculiarità la funzione della ragione. Dato un concetto dell’intelletto (mortale), la ragione si occupa di trovare in un altro concetto intellettuale (uomo), preso in tutta la sua estensione (tutti gli uomini sono mortali), la condizione che rende possibile l’applicazione del primo concetto a un oggetto (Caio è mortale), in quanto termine medio (Caio è un uomo). Tuttavia, quando la ragione si rapporta alle categorie intellettuali, che si applicano a tutti gli oggetti dell’esperienza possibile, nessun concetto risulta sufficiente a fungere da condizione: la ragione ricorre allora a Idee, che, oltrepassando la possibilità della stessa esperienza, costituiscano su un piano incondizionato «la totalità delle condizioni»1 sotto le quali si svolge l’intera attività

determinante dell’intelletto2.

Soltanto in rapporto ai concetti dell’intelletto la ragione esercita la sua specifica funzione: più che riferirsi a oggetti determinati, essa ha come oggetto l’intelletto in quanto tale, nella misura in cui, attraverso le idee incondizionate, attribuisce ai concetti «un massimo di unità e al tempo stesso un massimo di estensione sistematica»3. Di per

sé l’intelletto rimarrebbe immerso in sintesi sempre parziali ed empiriche, incapace di spingersi fino alla concezione di un incondizionato che riunisca in un tutto l’insieme dei suoi procedimenti. Per questo la ragione, nel momento in cui cede all’intelletto il potere di legiferare nell’interesse speculativo, «riceve in cambio dall’intelletto stesso una funzione originale: costruire, fuori dall’esperienza, dei punti focali ideali, verso i quali convergano i concetti dell’intelletto (massimo d’unità); formare degli orizzonti superiori che riflettano e abbraccino i concetti dell’intelletto (massimo d’estensione)» 4. Tali punti

focali e orizzonti superiori sono precisamente le Idee, le quali dunque non rappresentano oggetti determinati, bensì delle tendenze regolative, degli indirizzi che orientano verso la totalità assoluta l’unità sintetica dei concetti.

1 K, p. 38.

2 Cfr. CRP, pp. 251-252: «Poiché soltanto l’incondizionato rende possibile la totalità delle condizioni, e

viceversa la totalità delle condizioni è sempre a sua volta incondizionata, un concetto razionale puro in generale può definirsi come il concetto dell’incondizionato, in quanto contiene un principio della sintesi del condizionato».

3 K, p. 39. 4 Ivi, pp. 39-40.

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In questo senso Kant giunge a dire che, sotto il profilo dell’oggetto, le idee costituiscono veri e propri problemi senza soluzione. Dell’Idea non è dato trovare alcun oggetto adeguato nell’esperienza: esso deve poter essere rappresentato, senza però essere determinato. Quindi che l’Idea sia essenzialmente problematica o indeterminata non significa che essa sia «priva di oggetto reale, ma che il problema in quanto problema è l’oggetto reale dell’Idea»1. Vi è cioè nelle Idee una oggettività peculiare che

appare irriducibile alla semplice conoscenza oggettuale: le soluzioni offerte dall’intelletto non possono in alcun modo sopprimere la dimensione “problematica” espressa dalle Idee, giacché tale dimensione costituisce «la condizione indispensabile senza di cui nessuna soluzione potrebbe mai esistere»2. È vero dunque che nell’interesse

speculativo l’uso legittimo della ragione si esplica unicamente in relazione ai concetti dell’intelletto, ma a loro volta i concetti dell’intelletto non possono realizzarsi nel loro ruolo oggettivante se non perché riferiti alle Idee, le quali li organizzano in un orizzonte superiore che tutti li abbraccia. Detto altrimenti, ogni soluzione presuppone un problema, «ossia la costituzione di un campo sistematico unitario che orienti e sussuma le ricerche o le interrogazioni»3, in modo tale che ciascuna di queste operazioni avvenga

non come un caso isolato, bensì come l’elemento ordinato di una totalità. Perciò le Idee hanno, in quanto problemi, una valenza contemporaneamente oggettiva e indeterminata: nella sfera della ragione l’indeterminato non è affatto un’imperfezione della conoscenza, né una carenza dell’oggetto; al contrario, esso è «una struttura oggettiva, perfettamente positiva, che agisce già nella percezione a titolo di orizzonte o di focus»4. Nell’oggettività indeterminata delle Idee si chiarisce così tutta la complementarietà della funzione svolta dalla ragione nell’interesse conoscitivo. Senza il supporto della ragione, che su un piano regolativo connette gli oggetti dell’esperienza in un tutto, i concetti non avrebbero una sistematicità, e la stessa facoltà dell’intelletto apparirebbe come un ordine vuoto, irreale, privo di una connessione concreta con la materia. Proprio perché è determinante, infatti, l’intelletto non si rivolge che alla forma dei fenomeni, affidando alla ragione il compito di influire indirettamente sul vasto continente della loro diversità materiale: motivo per cui è necessario, scrive Deleuze,

1 DR, p. 220. 2 Ibidem. 3 Ibidem. 4 Ivi, p. 221.

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«non soltanto che i fenomeni sottostiano alle categorie dal punto di vista della forma, ma che corrispondano o simbolizzino le Idee della ragione dal punto di vista della materia»1. Ciò non vuol dire che la ragione abbia il potere di legiferare sulla materia dei fenomeni: «invece di una sottomissione necessaria e determinata, non abbiamo qui che una corrispondenza, un accordo indeterminato»2. La ragione deve semplicemente postulare nel molteplice di una esperienza possibile un’armonia, una omogeneità, «perché senza di essa non sarebbero possibili concetti empirici, né quindi un’esperienza»3. Il rapporto di analogia sussistente tra le Idee della ragione e gli oggetti

dell’esperienza comporta infatti non che la totalità incondizionata sia data negli oggetti e conosciuta in essi, bensì soltanto che gli oggetti ci consentono di tendere infinitamente a tale totalità «come al grado più alto della nostra conoscenza»4, come al grado cioè in

cui i concetti raggiungono la massima unità ed estensione. Emergono così quelli che per Deleuze sono i tre momenti in cui si presenta la struttura oggettiva dell’Idea: «Indeterminata nel suo oggetto, determinabile per analogia con gli oggetti dell’esperienza, portatrice dell’ideale di una determinazione infinita in rapporto ai concetti dell’intelletto, questi sono i tre aspetti dell’Idea»5.

In quanto rappresentazioni incondizionate della totalità, le Idee della ragione offrono l’orizzonte ultimo al quale l’intelletto deve riferirsi per dare senso alla Natura. Ma tale funzione regolativa è presa in carico dalla ragione esclusivamente nella misura in cui essa è determinata a farlo dall’intelletto legislatore. In conclusione, a Deleuze interessa soprattutto rimarcare questo punto: come nel caso dell’immaginazione, anche la ragione svolge nell’interesse speculativo un ruolo del tutto originale. Tuttavia tale ruolo può esserle assegnato solo dall’intelletto: si vede bene nella Critica della ragion pratica che, presa di per sé, la ragione farebbe tutt’altro.

1 K, p. 40. 2 Ivi, p. 41. 3 CRP, p. 413. 4 K, p. 41.

5 Ibidem. L’Idea è portatrice di un ideale di determinazione infinita o di completezza in quanto assicura

una specificazione dei concetti grazie alla quale essi «comprendono sempre maggiori differenze disponendo di un campo di continuità propriamente infinto» (DR, p. 221). Poiché la completezza è oggetto di una tendenza, il concetto non può essere mai completamente determinato, o meglio può esserlo solo idealmente, in modo problematico.

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