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Capitolo 3: Il caso della nullità dei contratti swap per difetto di causa

4.2. La configurabilità della categoria della nullità di protezione

4.2.1. La questione della rilevabilità d’ufficio

Abbiamo visto precedentemente come la nullità di protezione si connoti per il suo carattere necessariamente parziale e per il fatto di essere a legittimazione relativa.

Per quanto riguarda la rilevabilità d’ufficio, ad oggi, la giurisprudenza, nelle sentenze gemelle più volte citate, pare aver assunto una posizione univoca, nonostante la soluzione adottata confligga con svariati orientamenti dottrinali.

La rilevabilità d'ufficio non è sancita espressamente rispetto a tutti i casi qualificati dal legislatore o dall'interprete come nullità relative. Previsioni esplicite si rinvengono nell'art. 67-octiesdecies cod. cons. che, in tema di commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori, stabilisce la nullità dei patti di rinuncia ai diritti attribuiti a questi ultimi; nell'art. 134 cod. cons. in tema di esclusione o limitazione preventiva alla dichiarazione del difetto di conformità della garanzia dovuta dal venditore; nell'art. 7 del d.lgs. n. 231 del 2002, sulla nullità delle clausole gravemente inique in danno del creditore e concernenti la data del pagamento nelle transazioni commerciali o le conseguenze del pagamento tardivo; ma, soprattutto nell'art. 36 cod. cons. che, con riferimento alle clausole vessatorie di cui agli artt. 33 e 34, stabilisce che la nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d'ufficio dal giudice. Tale art. 36 è, nella trattazione di questo argomento, particolarmente importante: la rubrica di questa disposizione cita, infatti, “nullità di protezione” ed esso sembra essere il principale riferimento normativo ai fini della ricostruzione di una disciplina esaustiva della patologia del contratto qui trattata. Data la sua collocazione sistematica sembra, inoltre, che esso possa eventualmente trovare applicazione anche rispetto a casi che, seppur estranei al cod. cons.,

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di esso condividano la ratio di tutela del consumatore (se non, addirittura, del contraente debole tout court)195.

La rilevabilità da parte del giudice non era, inoltre, requisito espressamente richiesto dall'art. 6/1 della direttiva n. 13/1993, cui l'art. 36 ha dato attuazione. Anzi, le più radicate convinzioni della dottrina in materia scoraggiavano l'accostamento tra legittimazione relativa e rilievo officioso della nullità. Infatti, se il carattere ristretto della legittimazione trovava la sua ragion d’essere nella valenza individuale dell'interesse tutelato, il potere di rilievo ex officio aveva il suo fondamento nel presidio di interessi pubblici196. Ancor di più si temeva che il riconoscimento di siffatto potere in capo al giudice potesse vanificare gli stessi limiti apposti alla titolarità dell'azione, poiché il professionista avrebbe potuto allegare elementi idonei a far emergere l'abuso per indurre il giudice a dichiarare la nullità, anche contro la volontà del soggetto tutelato. La Corte di giustizia, più volte chiamata ad esprimersi in via pregiudiziale sulla rilevabilità d'ufficio delle clausole vessatorie, nello schierarsi in supporto ad essa, si è soffermata sulla duplice valenza privatistica e pubblicistica dell'interesse protetto. La Corte europea ha osservato, infatti, che il sistema di tutela istituito dalla direttiva n. 13/1993 si basa sull'assunto che la diseguaglianza tra il consumatore e il professionista può essere appianata solo con un intervento positivo da parte di soggetti estranei al rapporto contrattuale. L'art. 6.1, obbligando gli Stati membri a prevedere che le clausole vessatorie non vincolino i consumatori, non potrebbe conseguire efficacemente il suo obiettivo se questi ultimi fossero tenuti ad eccepire essi stessi l'illiceità di tali clausole. “ In controversie di valore spesso limitato, gli onorari dei legali possono essere

195 Ravvisa nella disciplina dei contratti tra consumatori e professionisti un modello

normativo estensibile anche ad altre ipotesi caratterizzate da asimmetria di potere contrattuale tra le parti ROPPO, [1], pag. 51 ss.

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FILANTI, pag. 135, individua lo scopo dell'attribuzione al giudice del potere di rilevazione officiosa della nullità nell'esigenza di “impedire il formarsi di giudicati sulla validità del negozio (nullo) e, per altro verso, ad eliminare un atto idoneo a suscitare affidamenti essenzialmente precari: salvaguardando, così, l'ordinato svolgimento del traffico giuridico”.

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superiori agli interessi in gioco, il che può dissuadere il consumatore dall'opporsi all'applicazione di una clausola vessatoria. Sebbene in controversie del genere le norme processuali di molti Stati membri consentano ai singoli di difendersi da soli, esiste un rischio non trascurabile che, soprattutto per ignoranza, il consumatore non faccia valere l'illiceità della clausola oppostagli”. Questo potere in mano al giudice, al contrario, ha la finalità di proteggere il consumatore non solo da eventuali defezioni difensive, ma anche nella circostanza in cui egli decida di non prendere parte al giudizio e questo si svolga in forma contumaciale. La rilevabilità ex officio della vessatorietà della clausola favorisce anche l'attuazione dell'obiettivo sancito all'art. 7/1, che impone agli Stati membri di fornire mezzi adeguati ed efficaci per contrastare la pratica delle clausole abusive; un tale potere può avere, infatti, un effetto dissuasivo e, pertanto, contribuire a far cessare l'inserimento di clausole vessatorie nei contratti conclusi tra un professionista e i consumatori197.

In una più recente pronuncia198 la Corte di giustizia ha qualificato l'art. 6/1 della direttiva n. 13/1993 come “norma imperativa che, in considerazione dell'inferiorità di una delle parti contrattuali, mira a sostituire all'equilibrio formale che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti un equilibrio reale finalizzato a ristabilire l'eguaglianza delle parti stesse. [...] La natura e l'importanza dell'interesse pubblico su cui si fonda la tutela che la direttiva garantisce ai consumatori giustificano inoltre che il giudice nazionale sia tenuto a valutare d'ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale, in tal modo ponendo un argine allo squilibrio che esiste tra il consumatore e il professionista”. Come già riscontrato nel paragrafo precedente, tali considerazioni sono indice del superamento della contrapposizione tra il carattere pubblico e privato dell'interesse protetto ai fini della configurazione delle diverse categoria di invalidità del nostro ordinamento, anche in seno alla giurisprudenza comunitaria. L'interesse

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Corte giust. Com. eur., 27 giugno 2000, cause riunite n. C-240/98 e C-244/98.

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pubblico che le disposizioni sulle clausole vessatorie vogliono garantire, come autorevole dottrina aveva rilevato, è infatti proprio quello alla tutela del consumatore; non c'è quindi eterogeneità, ma coincidenza tra il primo e quello della parte privata199. Questo perché la tutela del mercato non è mai fine a se stessa, ma costituisce uno strumento per il miglior soddisfacimento dei bisogni umani.

Pur avendo rilevato come la rilevabilità d'ufficio della nullità di protezione appartenga al disegno comunitario, c’è necessità di un suo adeguamento in considerazione del carattere relativo della legittimazione all'azione. Combinando queste due caratteristiche, possiamo trovare la soluzione migliore nel configurare una rilevabilità officiosa c.d. unidirezionale, nel senso che essa può essere dichiarata, se, con riferimento alle circostanze concrete, opera ad esclusivo vantaggio del consumatore200. Il potere affidato al giudice va, quindi, esercitato da quest’ultimo quando il consumatore non sia nella condizione di difendersi da solo e solo al fine di una più effettiva protezione del medesimo. Questa soluzione può essere accettata se si considera che la vessatorietà della clausola si sostanzia in uno squilibrio normativo e non solo economico, per cui il giudice dovrà prendere in esame anche le circostanze sopravvenute rispetto al momento della stipulazione201. Potrebbero in ipotesi verificarsi casi in cui, proprio a fronte delle sopravvenienze, l'eliminazione della clausola vessatoria si risolva in un maggiore pregiudizio per la parte protetta.

Il potere di rilievo ex officio ha così assunto un peculiare significato proprio alla luce delle circostanze appena esaminate. Partendo dall'idea secondo la quale il consumatore versa in una condizione di inferiorità anche processuale rispetto alla controparte, è necessario affidare un tale strumento al giudice con lo scopo di rendere il consumatore effettivamente arbitro degli esiti del

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SACCO, Il contratto, [1], pag. 468 ss.

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ORESTANO, pag. 1183.

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La necessità di un accertamento in concreto delle conseguenze della declaratoria della nullità è sostenuta in dottrina da BONFIGLIO, pag. 899 ss.

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giudizio, evitando che questo si risolva in un'occasione di mancata tutela o addirittura di nocumento proprio per la parte che al suo interno dovrebbe ricevere tutela. L'intervento del giudice diventa, inoltre, essenziale allorché la parte debole decida di non partecipare al procedimento. E proprio la previsione secondo cui la nullità deve operare ad esclusivo vantaggio del consumatore, assicura quest’ultimo contro il rischio che attraverso il potere riconosciuto al giudice risulti vanificata la regola sulla legittimazione: la parte non legittimata non potrà, infatti, superare il difetto di legittimazione semplicemente allegando gli elementi costitutivi della nullità202.

La giurisprudenza della Cassazione, dopo qualche pronuncia ambigua sul tema, sembra, con le sentenze gemelle del 2014, essersi assestata sulla linea della giurisprudenza comunitaria.

La Suprema Corte giunge a concludere, infatti, che “la rilevabilità officiosa... sembra costituire il proprium anche delle nullità speciali, incluse quelle denominate di protezione virtuale”. I due punti che sorreggono la ricordata conclusione e la sua applicazione processuale sono i seguenti. Il primo è la convinzione che la categoria della nullità consegua al grave disvalore assegnato ad un invalido assetto negoziale e che sarebbe ancora possibile ricostruire “ le diverse vicende di nullità negoziale in termini di genus a

species”; la seconda è che, coerentemente, si deve riaffermare anche per le

nullità speciali “la tesi dell'interesse generale” sottostante a tutte le fattispecie di nullità203.

Nel 2012, le Sezioni Unite204, avevano, invece, affermato che, in caso di nullità di protezione, il rilievo della nullità è precluso al giudice, essendo rimesso alla sola volontà della parte protetta. Quanto affermato dalla Suprema Corte nel 2014, d’altra parte, sembra proteggere in maniera più

202 BILÒ, pag. 463 ss.

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SCOGNAMIGLIO, pag. 237 ss.: il fondamento della ratio della regola del rilievo ufficioso va colto nella funzionalità della nullità al perseguimento di interessi generali sovraindividuali.

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forte il consumatore, considerando che questo, in alcuni casi, potrebbe non essere consapevole della facoltà di far dichiarare la nullità. Inoltre, al giudice, mediante il riconoscimento del potere di segnalare la nullità alla parte debole, è attribuita la possibilità di definire prima il processo attraverso la dichiarazione della nullità. Tale impostazione è anche più coerente con la lettera delle norme in tema di nullità di protezione, che espressamente prevedono il potere del giudice di rilevare la nullità d'ufficio (ad esempio, nel caso del ritardo nei pagamenti nelle transazioni commerciali).

Il rilievo d'ufficio, da parte del giudice, della nullità di protezione dimostra quindi una piena comunanza di intenti con la Corte di giustizia.

Critiche sono state presentate contro questa ricostruzione. Parte della dottrina sostiene, avallando la soluzione accolta dalla Cassazione, che, in mancanza di una deroga espressa, la regola processuale della rilevabilità d'ufficio appaia coerente con l'inidoneità ab origine del contratto relativamente nullo a produrre effetti in contrasto con l'interesse protetto, preservando così l'autonomia concettuale della nullità (anche relativa) rispetto all'annullabilità205.

Altri rilevano, d’altro canto, come questa ricostruzione un po’ faticosa sia imposta dalla scarsa attenzione alle peculiarità proprie della nullità di protezione, che porta la Suprema Corte a riaffermare per esse quella presenza di un sottostante interesse generale, che, per quanto affermato dalle più attente ricostruzioni dottrinali anche sulla base della giurisprudenza comunitaria, o non vi è o non ha un ruolo paragonabile a quello che ricopre invece in altre figure di nullità (generali o speciali che siano). Per quanto ci si possa sforzare di vedere, negli auspici del legislatore e dietro l'iniziativa della parte, un interesse generale, questo sembrerebbe troppo lontano e nascosto per poter giustificare razionalmente un rilievo d'ufficio. I motivi che vengono addotti a supporto di tale tesi sono due: in primis, tutto ciò potrebbe confliggere con le scelte strategiche della parte (problema appena

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accennato dalla Suprema Corte) e soprattutto perché parrebbe risolversi in un'ingombrante potere di supplenza del giudice206.

Su questo punto possiamo agganciare l’analisi già svolta riguardo alla giurisprudenza comunitaria.

Nonostante secondo alcuni207 il problema meriti di essere ridimensionato alla luce del fatto che spesso la nullità relativa ha carattere anche parziale e per il fatto che, sovente, il legislatore predisponga meccanismi sostitutivi della clausola vessatoria con altra statuizione di legge, nel settore dei mercati finanziari troviamo ben tre eccezioni alla prima regola208, per cui questo approfondimento ci tocca da vicino.

A maggior ragione, quando alla declaratoria di vessatorietà debba conseguire la caducazione dell'intero contratto, ci si chiede se il consumatore interessato alla conservazione dell'accordo possa contrastare la contraria valutazione del giudice ed impedirgli la rilevazione della nullità.

Una prima tesi209 sostiene che il giudice abbia sempre il potere di rilevare d'ufficio la nullità se ritiene la clausola abusiva contrastante con gli interessi del consumatore; questo nonostante la volontà contraria espressa dal contraente debole ed anche nell'ipotesi in cui il suo esercizio porti alla caducazione dell’intero contratto. E’ il giudice che deve valutare, alla luce delle disposizioni imperative introdotte dal legislatore, se sia più conveniente per il consumatore la conservazione del contratto, benché nullo, oppure la sua caducazione. La debolezza strutturale del contraente, che sta alla base di tutte le previsioni di nullità di protezione a sua tutela, può, infatti, manifestarsi anche attraverso scelte errate dal punto di vista sostanziale e processuale. Si rende perciò necessaria la possibilità di un intervento correttivo del giudice rispetto alle valutazioni del consumatore. Questo

206 PISANI MASSAMORMILE, pag. 31 ss. 207

BILÒ, pag. 463 ss.

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Si vedano i casi di nullità relativa dell'intero contratto ex artt. 23, comma 1º, d.lgs. n. 58 del 1998; 30, comma 7º, d.lgs. n. 58 del 1998 e 67-septiesdecies cod. cons.

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“potere di correzione”, si osserva, non sarebbe poi altro che un ulteriore caso di etero-integrazione giudiziale della stipulazione.

Secondo l'orientamento dottrinale maggioritario, invece, il soggetto protetto è arbitro assoluto ed esclusivo della scelta relativa alla conservazione o alla caducazione. Se le cose stanno così, egli deve avere il potere insindacabile di paralizzare la rilevazione della nullità d'ufficio da parte del giudice210. La questione non consisterebbe allora nel ”ritenere che il giudice possa rilevare d'ufficio la nullità se e quando essa ridondi a vantaggio del soggetto legittimato, ma, in termini opposti, che non possa motu proprio rilevarla solo quando sia questi a precludere la declaratoria con l'invocazione o l'accettazione degli effetti negoziali”211.

Collegandosi a questo punto, può essere opportuno far riferimento all’art. 183, comma 4, c.p.c212. Si potrebbe trovare la soluzione consentendo il rilievo ex officio quando l’investitore è contumace, mentre, se è costituito, al giudice spetta solo indicare la questione; sarà la parte, una volta edotta di questo suo potere, a decidere se avvalersi o meno della nullità di protezione. Sul tema era già intervenuta, prima della Cassazione con le sentenze analizzate, la Corte di giustizia213, la quale, chiamata ad interpretare in via pregiudiziale l'art. 6.1 della direttiva n. 13/1993, aveva statuito che la natura e l'importanza dell'interesse pubblico, su cui si fonda la tutela che la normativa richiamata garantisce ai consumatori, giustificano che il giudice nazionale sia tenuto a valutare d'ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale, nel momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine. Nell'esecuzione di tale obbligo il giudice nazionale non deve tuttavia, in forza della direttiva, disapplicare la clausola in esame,

210 Ad esempio MONTICELLI, pag. 183. 211

D'AMICO, pag. 744 ss.

212 Il comma in questione recita testualmente: “Nell'udienza di trattazione ovvero in quella

eventualmente fissata ai sensi del terzo comma, il giudice richiede alle parti, sulla base dei fatti allegati, i chiarimenti necessari e indica le questioni rilevabili d'ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione.”

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qualora il consumatore, debitamente richiesto, non intenda invocarne la natura abusiva e non vincolante.

Questa posizione ci permette di passare dal problema della rilevabilità d’ufficio della nullità di protezione a quello della possibilità della convalida di tale nullità.