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Capitolo 2: La responsabilità dei soggetti abilitati e le conseguenze derivanti dalla

2.2. La soluzione della nullità

Autorevole dottrina parlava, nel 2005, analizzando le nuove prospettive della tutela del risparmio in tema di responsabilità degli intermediari, alla luce della legislazione e delle copiosa giurisprudenza di merito, di “fuga dai rimedi risarcitori”80. In quegli anni, infatti, il preminente orientamento giurisprudenziale in materia di violazione delle regole di comportamento nella prestazione dei servizi di investimento, sanzionava con la nullità per contrarietà a norme imperative il contratto concluso dall'investitore, in presenza di condotte degli intermediari difformi dalle regole dettate dalla disciplina di rango primario e secondario. In particolare, la giurisprudenza affermava il carattere imperativo delle regole di comportamento previste dall'art. 21 TUF e dalla disciplina secondaria il cui contenuto possiamo trovare oggi negli artt. 35 ss. del nuovo Regolamento Intermediari, in ragione del carattere generale degli interessi tutelati dalle norme81, la conseguente rilevanza dell’art. 1418, comma 1, c.c. che sancisce la nullità del contratto contrario a norme imperative e il conseguente diritto dell'investitore ex art. 2033 c.c. alla ripetizione della somma investita,

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PERRONE, [3] , pag. 1012 ss.

81 La Cassazione Civile con la sentenza n. 3272 del 7 marzo 2001 in www.jus.unitn.it ritrova

questi interessi che vanno dalla “tutela dei risparmiatori uti singuli, a quella del risparmio pubblico come elemento di valore della economia nazionale, a quella della stabilità del sistema finanziario..[…]..alla esigenza di preservare il mercato da inquinamenti derivanti dall’impiego di risorse provenienti da circuiti illegali, a quella di rendere efficiente il mercato dei valori mobiliari, con vantaggi per le imprese e per l’economia pubblica, interessi tutti prevalenti su quelli del privato, che pur, di riflesso, ne rimane tutelato”.

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unitamente agli interessi legali dal giorno del pagamento, supposta la malafede dell’intermediario82

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Il ricorso alla nullità e al rimedio restitutorio, di contro, porta come inevitabile conseguenza il mettere da parte ogni questione inerente al rapporto di causalità fra il pregiudizio patrimoniale lamentato e la condotta dell'intermediario, nonché sul possibile concorso del fatto dell'investitore: questo implica due conseguenze economiche. In primis, il trasferimento in capo all'intermediario anche della componente della perdita che possa dipendere dal generale andamento del mercato e, successivamente, il disincentivo per gli stessi investitori alla prevenzione del danno, causa l’irrilevanza giuridica del concorso del fatto colposo del danneggiato.

Per dirla in altre parole, l'accesso alla ripetizione dell'indebito consente di ripristinare lo status quo ante e di conseguire un rendimento sulla somma investita pari al tasso degli interessi legali, così rendendo immune l'investitore dalle possibili perdite patrimoniali che normalmente conseguirebbero ad un'operazione effettuata in un momento di andamento negativo del mercato83. Per altro verso, nessuna rilevanza viene attribuita alla coerenza del pregiudizio subito con la violazione della regola di comportamento accertata in capo all'intermediario: così per l'investitore sembrano possibili condotte opportunistiche dirette a recuperare integralmente la somma con gli interessi legali, anche quando la perdita dipenda, in tutto o in parte, da fattori causali diversi rispetto alla condotta dell'intermediario, primo fra tutti la libera decisione dell'investitore84.

82 La giurisprudenza di merito ha più volte affermato che il comportamento di non

correttezza e di non trasparenza della banca porta ad escluderne la buona fede. Vedi Tribunale di Mantova 18 marzo 2004 e 11 novembre 2004 e Tribunale di Firenze 19 aprile 2005 in www.ilcaso.it.

83 PERRONE, [3], pag. 1012. 84

v. la Relazione delle Commissioni permanenti VI (Finanze) e VIII (Attività produttive, commercio e turismo), presentata alla Presidenza il 18 febbraio 2005, per l'osservazione che la disposizione sulla nullità dei contratti contenuta nella originaria versione dell'art. 15, comma 1, lett. a), n. 2, d.lgs. 262/2005 , "ricomprendendo la violazione di qualsiasi regola

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Tuttavia, dato l'impatto a catena sul risparmio diffuso degli scandali finanziari verificatisi allora, la nullità per violazione delle regole di comportamento da parte dell'intermediario sembrava la via maestra per giungere alla compensazione dell'investitore da parte di un “deep pocket” sicuramente capiente.

L’indirizzo delle corti presentava numerosi aspetti problematici. Questa soluzione orientata ad una indiscriminata compensazione dell'investitore non considerava che i benefici dell'intervento del diritto nell’economia meritano sempre di essere bilanciati con i relativi costi. Le conseguenze di tale intervento erano da identificare in un aumento delle commissioni bancarie e di intermediazione (causa la traslazione, da parte degli intermediari, degli oneri economici imposti sul mercato), nonché in un eccesso di deterrenza, tale da sconsigliare l'attività, a maggior ragione a quegli intermediari più piccoli, per cui l’eventuale sanzione potrebbe risultare eccessiva rispetto alle proprie capacità patrimoniali, con possibili conseguenze ulteriori sul piano della concorrenza. Questa impostazione ha portato ed avrebbe continuato a portare, se la giurisprudenza avesse proseguito sulla stessa lunghezza d’onda, a conseguenze paradossali per cui, in caso di traslazione dei costi da restituzione sui prezzi dei servizi, i risparmiatori più avveduti e prudenti avrebbero dovuto finanziare non solo il risarcimento di quelli sprovveduti, ma anche il risarcimento degli speculatori85.

Dopo una critica dal punto di vista dei costi-benefici di un suddetto indirizzo giurisprudenziale, si esamineranno le obiezioni poste relativamente ad esso dal punto di vista dogmatico. Dedurre la nullità del contratto dalla violazione di una regola di comportamento significa, infatti, trasformare in regole di validità norme che, di per sé, sono dirette, piuttosto, ad imporre una determinata condotta nella fase delle trattative o durante la fase di

riconducibile ai criteri generali enunciati nell'art. 21 del testo unico", avrebbe potuto "determinare un'abnorme espansione delle ipotesi di nullità, coinvolgendo anche infrazioni di regole organizzative in nessun modo incidenti sui rapporti con i singoli clienti".

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esecuzione del contratto. L'art. 1418, comma 1, c.c. a livello di elementi costitutivi della fattispecie, postula sia l'esistenza di una norma imperativa, che la violazione di essa da parte del contratto inteso come regolamento di interessi negoziato dalle parti: con la conseguenza che, se è possibile concordare sulla sussistenza di una norma imperativa per la strumentalità al buon funzionamento del mercato che, indubbiamente, caratterizza le regole di comportamento, non si può affermare altrettanto per il secondo elemento di fattispecie, riscontrando nel caso in esame la violazione per la mancata conformità fra il comportamento di una sola delle parti e il corrispondente precetto legale86. In un orientamento precedente la Cassazione già segnalava che “la nullità del contratto può essere predicata soltanto laddove le norme violate, oltre ad essere imperative, attengano anche ad elementi intrinseci della fattispecie negoziale, cioè riguardino la struttura o il contenuto del contratto”. Al contrario, “i comportamenti tenuti dalle parti nel corso delle trattative o durante l'esecuzione del contratto rimangono estranei alla fattispecie negoziale e s'intende, allora, che la loro eventuale illegittimità, quale che sia la natura delle norme violate, non può dar luogo alla nullità del contratto” salvo che tale sanzione non sia espressamente prevista dal legislatore87. Per tutti questi motivi, l’ipotesi della nullità dei contratti di investimento posti in essere in violazione delle regole di condotta, pur molto utilizzata per venire incontro al bisogno di tutela del risparmio in quel momento storico, portava con sé numerosi inconvenienti.