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Le soluzioni proposte dalla dottrina e dalla giurisprudenza e loro critica

Capitolo 3: Il caso della nullità dei contratti swap per difetto di causa

4.5. La questione dell’abuso della nullità di protezione da parte

4.5.1 Le soluzioni proposte dalla dottrina e dalla giurisprudenza e loro critica

Nonostante le sporadiche ma decise prese di posizione della giurisprudenza di legittimità, ci si rende conto facilmente della presenza di un contrasto, o quantomeno di una diversità di opinioni in seno alla giurisprudenza di merito e in dottrina, rispetto al modo con cui porsi di fronte al problema delle nullità selettive. Senz’altro questo è dovuto al fatto che la tesi favorevole all’abuso della nullità di protezione da parte del consumatore pone non pochi problemi di giustificazione e di coerenza sistematica dal punto di vista di teoria del diritto, tanto da spingere gli interpreti ad affannarsi a trovare soluzioni per contrastare tale abuso. In questa ottica la giurisprudenza di merito è arrivata a proporre varie soluzioni, soprattutto negli ultimi anni.

La prima soluzione che possiamo esaminare è quella proposta dal Tribunale di Padova nella sentenza pronunciata il 21 gennaio 2013257. I giudici padovani, pur ammettendo la legittimità di un esercizio selettivo della nullità relativa hanno tentato di riequilibrare gli effetti distorti causati da una simile domanda ammettendo che, una volta che il cliente abbia fatto valere la nullità, l'intermediario possa formulare domanda riconvenzionale volta ad estendere gli effetti della nullità anche a tutti gli altri ordini di borsa eseguiti in funzione del medesimo contratto quadro viziato. Il tribunale, infatti, investito di una questione attinente l'uso selettivo della nullità relativa, ha accolto sia la domanda formulata dal cliente, sia la domanda riconvenzionale proposta dall'intermediario volta ad estendere gli effetti prodotti dalla nullità

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Cassazione civile, 27 aprile 2016 n. 8395 in www.renatodisa.com.

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anche alle negoziazioni che il cliente nell'atto di citazione non aveva incluso nel giudizio. I giudici inferiscono, in tal modo, la seconda statuizione dalla prima: una volta che il cliente solleva la nullità del contratto quadro non ne può dominare gli effetti che, quindi, si producono autonomamente su tutte le negoziazioni connesse al contratto stesso. Ciò, nonostante si sia in presenza di una nullità relativa, legittimerebbe il professionista ad estendere gli effetti della stessa invalidità, tramite domanda riconvenzionale, anche agli altri ordini impartiti dal cliente in relazione al medesimo contratto-quadro viziato258.

La soluzione proposta dal tribunale di Padova, e da altra parte della dottrina e della giurisprudenza di merito, sembra però andare a scontrarsi con la volontà del legislatore e con quelli che sono i principi, anche processuali, a cui risulta improntato il nostro ordinamento. Tale orientamento, infatti, pur manifestando il pregio di tentare di riequilibrare gli effetti dell'esercizio selettivo della nullità relativa, non sembra poter essere esente da critiche sotto un profilo strettamente giuridico.

Possiamo, infatti, rilevare come la nullità, sia essa relativa o assoluta, operi di diritto rendendo il contratto immediatamente inefficace259. Di conseguenza l'azione volta a far valere il vizio è un'azione di mero accertamento, che si conclude con una sentenza avente natura dichiarativa di effetti sostanziali che già si sono prodotti autonomamente .

Se così è, appare evidente che, parlando di legittimazione relativa all'azione, non si va a riconoscere al contraente protetto la possibilità di produrre gli effetti della nullità ma, più semplicemente, di avvalersi in via esclusiva di

258 BERTI DE MARINIS, [3], pag. 612 ss. 259

Pochissime sono le ricostruzioni difformi in dottrina e tutte facilmente censurabili in quanto incompatibili con le soluzioni legislative adottate e con i principi del nostro ordinamento. Vedi POLIDORI, [3], pag. 931 ss. secondo il quale il negozio relativamente nullo non sarebbe completamente inefficace ma per lo stesso sarebbe prospettabile una efficacia che porti lo stesso a produrre i propri effetti soltanto verso una parte del rapporto negoziale.

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tali effetti, in questo caso restitutori, che l'inefficacia del contratto ha già prodotto a causa della sussistenza di un vizio invalidante.

Tale configurazione è stata giustificata non solo e non tanto per l'esigenza di mantenere intatta la distinzione, che sembrerebbe quasi svanire, fra nullità relativa ed annullabilità, quanto, piuttosto, per il fatto che l'inefficacia del negozio relativamente nullo si presta in maniera più pregnante alla tutela degli interessi, non solo di natura individuale, tutelati da tali forme di invalidità. L'inefficacia originaria del contratto, infatti, si dimostrerebbe maggiormente compatibile con l'imprescrittibilità dell'azione e con la rilevabilità d'ufficio di tale peculiare vizio invalidante260. La stessa sentenza che decide su una questione attinente la nullità relativa di un contratto sarà, quindi, una pronuncia avente natura meramente dichiarativa e non costitutiva qual è quella che caratterizza altre forme di invalidità a carattere relativo. In questo senso, quindi, quando il contraente protetto fa valere la nullità relativa di un contratto, non chiede al giudice di produrre gli effetti della sanzione invalidante ma, più semplicemente, di accertare la produzione di effetti che, già per legge, si sono realizzati.

E quindi, quando l'art. 23, comma 3, TUF afferma che “la nullità può essere fatta valere solo dal cliente”, intende dire che degli effetti che produce di diritto la nullità del contratto si possa avvalere solo ed esclusivamente il contraente protetto, e non la controparte o i terzi in genere.

Se questa è l'interpretazione corretta dell'art. 23, comma 3, TUF, appare evidente l'inammissibilità di una domanda riconvenzionale formulata dal contraente non protetto volta, in buona sostanza, ad avvalersi degli ulteriori effetti invalidanti prodotti ipso iure dal vizio negoziale foriero della nullità. La sussistenza di questi effetti, infatti, potrebbe essere richiesta da parte dell'intermediario solo formulando tempestivamente una domanda riconvenzionale. Inoltre, estendendo l'oggetto del giudizio, l’intermediario non si limiterebbe a chiedere il rigetto delle istanze formulate dalla controparte ma, al contrario, chiederebbe al giudice qualcosa in più rispetto a

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quelle: accertare e dichiarare la nullità anche delle altre negoziazioni e, di conseguenza, condannare il cliente alle relative restituzioni. Se la domanda del cliente è rivolta ai singoli ordini, e motivata sulla base della nullità del contratto-quadro, la validità di questo resta al di fuori del petitum: essa sarebbe allora conosciuta dal giudice incidenter tantum, costituendo oggetto di questione pregiudiziale. Il giudice non potrà allora estendere la declaratoria di nullità al contratto quadro, ché su di esso non vi è domanda di parte; al contempo, egli nemmeno potrà rigettare la domanda avente per oggetto il singolo ordine, perché essa è fondata, se è nullo il contratto quadro261.

L’intermediario non sembra dunque, per i motivi sopra esposti, legittimato alla proposizione di una domanda riconvenzionale. La domanda riconvenzionale, infatti, è una domanda giudiziale che solo incidentalmente viene proposta all'interno di un giudizio già incardinato ma che, per ovvie ragioni, potrebbe essere proposta anche autonomamente in un separato giudizio. Il giudice dovrebbe comunque valutare la sussistenza dei presupposti processuali che legittimano l'attore in riconvenzionale ad esercitare l'azione promossa, che, tuttavia, in questo caso, come esaminato, non sussisterebbero.

Un’estensione degli effetti della nullità non sembrerebbe potersi ammettere nemmeno ad opera del giudice. Come già esaminato nei paragrafi precedenti, la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria si schierano per la possibilità di un rilievo officioso della nullità relativa da parte del giudice. Tuttavia, il problema della selettività della nullità non sembra poter trovare la sua soluzione nell’istituto della rilevabilità d’ufficio. Qualche considerazione in più sul punto appare necessaria.

Come più volte ricordato, l'art. 23, comma 3, TUF, nel ribadire che “la nullità può essere fatta valere solo dal cliente”, sancisce un'ipotesi espressa di nullità relativa. Abbiamo discusso di come molti ritengano nociva per il contraente protetto dalla nullità relativa la possibilità di un rilievo d’ufficio

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della stessa. Questo sarebbe provocato dal fatto che l'altra parte, dopo aver allegato agli atti del giudizio le prove dell'invalidità, potrebbe giovarsi della stessa stimolando il suo rilievo officioso da parte del giudice262; secondo questo già citato orientamento, infatti, si realizzerebbe un'evidente incompatibilità fra legittimazione relativa (che, cioè, assegna la possibilità di far valere il vizio invalidante al solo contraente protetto) e rilevabilità d'ufficio della stessa263 . Alla base di tale posizione vi è dunque la convinzione per cui la rilevabilità d'ufficio della nullità sia un portato della legittimazione assoluta che caratterizza la c.d. nullità codicistica disciplinata dall'art. 1421 c.c. e, pertanto, andrebbe esclusa nei casi di legittimazione ristretta.

L’orientamento maggioritario, conforme alla giurisprudenza nazionale e comunitaria e che merita di essere accolto, ritiene, invece, non incompatibile con le peculiarità della nullità relativa la possibilità di un suo rilievo d’ufficio. Tuttavia, pur ponendosi in questa prospettiva, è necessario valorizzare l’interesse perseguito dalla norma invalidante. Appare principio ormai consolidato quello secondo il quale, pur essendo ammessa la rilevabilità d'ufficio, la stessa si giustifica esclusivamente nel caso in cui la declaratoria di nullità venga ad essere formulata a vantaggio del contraente protetto264. Bisognerà, quindi, condizionare la possibilità del rilievo d’ufficio alla previa valutazione della realizzabilità, attraverso il rilievo officioso della sanzione, dell'interesse di cui la parte protetta è titolare265 .

Nel caso di specie, in particolare, non sembra che il rilievo officioso, con l’intento di tendere a scongiurare un esercizio abusivo e selettivo della nullità, possa dirsi ammissibile. Pur con tutte queste considerazioni che pongono dei paletti all’estensione dell’ipotesi del rilievo d’ufficio, basta, per chiudere la disputa, notare come, per quanto già detto, il rilievo d'ufficio non

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PASSAGNOLI, pag. 49 ss.

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Vedi anche BIGIAVI, pag. 473.

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GIOIA, pag. 1342.

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permetterebbe al giudice di estendere gli effetti della nullità a negoziazioni che non entrino all'interno del giudizio per effetto di una domanda ritualmente formulata che, come si è detto in precedenza, risulta nel caso di specie inammissibile per carenza di legittimazione. Tale eventualità sarebbe in aperto contrasto con il principio dispositivo e con quello che impone la corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato266.

Se una prima soluzione per reagire all’utilizzo selettivo delle nullità era stata ricercata, quindi, mediante l'estensione della dichiarazione della nullità, e conseguente pronuncia di ripetizione dell'indebito , a tutti gli ordini riferibili al contratto-quadro, anche se non rientranti nell'oggetto della domanda del cliente, la seconda strada, che è stata praticata dalle corti di merito e sostenuta dalla dottrina per reagire a questo inconveniente, prevede il rigetto integrale dell'azione di nullità selettiva. Questo orientamento si basa sull'argomento secondo cui la mancata inclusione di talune operazioni nell'azione di nullità-ripetizione indica la volontà di convalidare, e viene essa stessa a convalidare, il contratto-quadro nella sua interezza: in questo modo non si potrà più disquisire dell'ampiezza degli effetti della dichiarazione di nullità, né tanto meno dell' “abusività ”, o meno, del relativo esercizio267. La tesi è quella espressa dal Tribunale di Verona (ed in generale da una giurisprudenza, iniziata con quella sentenza, che i giudici veronesi hanno fatto propria anche nelle pronunce successive268), che afferma la possibilità, nel caso concreto, della convalida tacita del contratto-quadro, come effetto proprio dell'esercizio selettivo della nullità, in virtù dell'argomento per cui “la volontà di conservare a tutti gli effetti i titoli fruttuosi e le somme di cui alle numerose e proficue cedole incassate pur sapendo della nullità del

266 POLIDORI, [1], pag. 95 ss. 267 MODICA, pag. 49 ss. 268

Oltre alla sentenza citata vedi anche Trib. Verona, 23 marzo 2010 e, da ultimo Trib. Verona, 28 giugno 2012 in www.ilcaso.it.

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contratto-quadro... sta inequivocabilmente a significare la simmetrica volontà di giovarsi di quel contratto”269.

Anche questa tesi appare, tuttavia, non priva di aspetti problematici, forse ancor più della precedente. Innanzi tutto, bisogna qui ricordare quanto affermato riguardo alla convalidabilità delle nullità di protezione tout court, giudicata, per i motivi sopra esposti, dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritaria, come inammissibile, sebbene non manchino gli orientamenti contrari.

Seppur accogliessimo quella che è l’impostazione che ammette la convalida delle nullità di protezione, ci troveremmo di fronte a non pochi ulteriori problemi.

In primis qui non saremmo di fronte ad una semplice possibilità di convalida tout court di una nullità di protezione, ma addirittura ad una possibilità di

convalida tacita.

Sul punto la Cassazione, con sentenza n. 7283 del 22 marzo 2013270, si è espressa in maniera contraria a questa ipotesi affermando, in un caso di incasso di cedole che si pretendeva potessero configurare una ratifica tacita della nullità, che “se tali operazioni sono da considerarsi nulle, per difetto di un indispensabile requisito di forma richiesto dalla legge a protezione dell'investitore, è evidentemente da escludere che se ne possa predicare la ratifica tacita. Quando il legislatore richiede la forma scritta per meglio tutelare una delle parti del contratto, sarebbe manifestamente contraddittorio ammettere che quel difetto di forma sia rimediabile mediante atti privi anch'essi di forma scritta ”.

Prescindendo anche dal punto in questione, non avremmo però risolto i problemi di questa impostazione.

In particolare, non si vede proprio come nel mancato esercizio dell’azione di nullità in relazione a taluni ordini si possa scorgere una forma di acquiescenza. Dalla contestazione in relazione solo ad alcuni degli

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MALVAGNA, pag. 828 ss.

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investimenti relativi a un contratto-quadro non sembra potersi dedurre una volontà contraria a impugnare, un domani, gli altri ordini271. A sostegno di questa affermazione, è evidente come non si possa assolutamente riscontrare che su di essi scenda, in tale ipotesi, alcun effetto preclusivo o addirittura di giudicato. Ma, anche volendosi ipoteticamente ammettere che venga a prodursi un effetto di convalida dei negozi non impugnati, è il secondo passaggio del ragionamento che non appare proprio discendere necessariamente dal primo. Non si capisce, in particolare, come la convalida tacita di taluni ordini (appunto, quelli estranei all'azione) possa condurre alla convalida (tacita anch'essa) di quelli oggetto dell'azione di nullità, e cioè di quelli in relazione ai quali si esprime, proprio nell'atto in cui si ravvisa la fonte della convalida tacita, la volontà opposta, ossia quella non di conservarli, ma di rimuoverli.

Astrattamente, dunque, potrebbe anche risultare ammissibile, ricorrendo le circostanze sopra evidenziate, la convalida di un negozio relativamente nullo per vizio di forma, ma sembra più difficile ammettere che tale sanatoria sia realizzabile attraverso un atto processuale con il quale, a ben vedere, si vuol far valere proprio la nullità del contratto (anche se in maniera selettiva). Dedurre da tale atto la contraria volontà del cliente di sanare il vizio che invece intende far valere in giudizio sembra un volo pindarico che non troverebbe giustificazione se non in una prospettiva (magari per alcuni lodevole ma che dovrebbe essere estranea al giudice) di voler punire e sanzionare l'investitore che agisce in giudizio tenendo una condotta scorretta. Le due soluzioni ivi prospettate e adottate da qualche corte di merito negli ultimi anni sembrano dunque esporsi a censure di non poco conto.

La dottrina ha, invece, proposto altre due soluzioni che sembrano maggiormente persuasive, pur non avendo trovato, al momento, un accoglimento sostanzioso nella giurisprudenza.

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Secondo MALVAGNA, pag. 828 ss., il frazionamento di tale azione, se contrario a buona fede, non rappresenta tanto un problema di convalida, bensì di exceptio doli.

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Nell’ordinanza n. 12390/2017 della prima sezione della Corte di Cassazione, con cui si rimette al Primo Presidente272, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la questione concernente la necessità della sottoscrizione anche dell'intermediario, ai fini del rispetto del requisito di forma sancito dagli artt. 23 e 24 TUF, per i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento, si espone una delle due tesi nominate, ovvero quella che fa leva sull’exceptio doli.

L’ordinanza non mira semplicemente ad assegnare alle Sezioni Unite la questione assumendo una posizione neutrale. Essa assume una determinata e specifica impostazione, che mira ad inscrivere l'azione giudiziale di nullità nella cornice dei principi civilistici della buona fede e della correttezza, nella specifica prospettiva dell'attivazione del rimedio costituito dall'exceptio doli, con conseguente “diniego di effetti”  dell'atto di esercizio del diritto273

(qui, la domanda di nullità e le domande conseguenti). Si intende, in particolare, per exceptio doli generalis il rimedio generale diretto a precludere l’esercizio fraudolento o sleale dei diritti di volta in volta attribuiti dall’ordinamento (in sostanza diretto a contrastare quel fenomeno noto come abuso del diritto). In dottrina, si è sostenuta fortemente l’idea di poter paralizzare con una

exceptio (ovvero con una replicatio) doli gli effetti dell'esercizio dell'azione

(o proposizione dell'eccezione) che manifesti il tratto della strumentalità274. La prospettiva valorizzerebbe la natura della nullità alla stregua di rimedio contro modalità di esplicazione dell'autonomia privata valutate dall'ordinamento come in contrasto con dati valori normativi.

Tale configurazione aprirebbe, infatti, alla valutazione comparativa tra l'interesse alla rimozione dell'atto invalido e quello leso dalla condotta contraria a correttezza, posta in essere da chi invoca il vizio. Il dato rilevante sarebbe da ricercare nel fatto che l'esercizio dell'azione di nullità non è, in sé, diverso da qualsiasi atto di esercizio di una posizione giuridica di vantaggio

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In www.neldiritto.it.

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Secondo la locuzione coniata da DOLMETTA, in Enciclopedia giuridica italiana.

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in un rapporto giuridico e richiede perciò di essere assoggettato ai relativi limiti sistematici generali. Dopo un lungo excursus sulla configurabilità dell’exceptio doli in relazione alle varie figure di nullità che il nostro ordinamento conosce, l’ordinanza arriva a proporre il diniego di azione come soluzione per contrastare l’abuso delle nullità di protezione.

Nonostante la paralisi dell'azione di nullità in virtù di un'eccezione di dolo generale sia, nel contesto attuale del diritto vivente, tutto fuor che ordinaria275, l’ordinanza ritiene che essa sia positivizzata in varie disposizioni dell’ordinamento: al riguardo, sarebbe sufficiente indicare l'esempio dell'art. 1993, comma 2, c.c. o, più opportunamente ancora (a motivo dell'espunzione della colpa grave dai relativi presupposti), quello dell'art. 2384, comma 2, c.c.

La tesi della configurabilità dell’exceptio doli come rimedio che fa al caso nostro è sostenuta in base alla seguente considerazione. Il fatto che vi sia un rimedio di natura protettiva a tutela del cliente non vale ad esentare quest’ultimo dal rispetto dei canoni di buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c.; anzi, su questo è possibile affermare con assoluta certezza che tale struttura normativa non vuole sottrarre il contraente debole al controllo di conformità del suo agire rispetto a una regola dei rapporti tra privati che si trova assiologicamente fondata ai livelli apicali dell'ordinamento (art. 2 Cost.)276.

Su questi presupposti dovrebbe reputarsi senz'altro ammessa l'esperibilità di una exceptio doli contro l'azione di nullità di protezione promossa dal legittimato quando, a costui, non basta usufruire della prerogativa che la

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GIUSTI, pag. 1887 ss. limita l'ammissibilità di una paralisi dell'impugnativa di delibera assembleare di società per azioni alla sola ipotesi della condotta scorretta di chi agisca in maniera da “precostituirsi la possibilità di impugnare”, per escludere la concessione dell'exceptio doli ai fini di impedire l'azione di impugnativa di bilancio del socio- amministratore che, in quest'ultima veste, aveva approvato il progetto di bilancio, sulla base dell'argomento che non si può configurare un divieto di “venire contra factum

proprium” in presenza di due ruoli, funzioni e volontà distinte. 276

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legge gli assegna tramite la regola dell' “operatività a vantaggio”. Egli va, infatti, a porre in essere una condotta che in alcun modo si può ritenere giustificata o protetta dall'ordinamento, nemmeno alla luce del paradigma normativo speciale.

La proponibilità dell’exceptio doli è, però, subordinata ad un comportamento del cliente che manifesti i tratti dell'agire doloso e malizioso: ad esempio, della frode , e cioè della preordinazione della condotta alla (possibile) produzione di un pregiudizio in danno del predisponente. Così, riportandosi il contenuto dell’ordinanza, supera i limiti della ”protezione” assicurata dalla