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Capitolo 4 – La golden share “illegittima”
4.4 Effetti di una qualificazione pubblicistica della fattispecie sul piano della giurisprudenza comunitaria: la golden share come “misura
nazionale”
Altra questione, che sarà oggetto di riflessione in questi prossimi due paragrafi, è quella relativa alla possibilità di inquadrare il profilo delle golden shares entro definizioni di natura pubblicistica (ovverosia la golden share come “misura nazionale”), o al contrario, entro definizioni desunte dal diritto privato (la golden share come “atto di autonomia negoziale”). Aderendo alla prima impostazione, cioè quella che vuole la
golden share quale strumento o misura nazionale, è opportuno richiamarci ad una
definizione generale della stessa. Per “misura nazionale” la dottrina, pur vasta che sia, concorda nel qualificarla come “qualsiasi atto o comportamento che sia riferibile ai
pubblici poteri e dunque non a semplici privati”(199), manifestandosi in “una legge come un atto amministrativo, o anche una prassi burocratica generalizzata, come persino in un orientamento giurisprudenziale”(200). Emblematica della qualificazione giuridica dell‟esercizio delle golden shares alla stregua di misure statali fu la causa Commissione c. Paesi Bassi(201). Il caso aveva ad oggetto i poteri speciali conferiti al Governo dei Paesi Bassi nelle due società che gestivano i servizi postali, telegrafici e telefonici rispettivamente: la KPN N.V., competente per le attività delle telecomunicazioni e la TPG N.V., per la logistica e la distribuzione. I Paesi Bassi contestavano il fatto che le norme del Trattato non potessero applicarsi al caso di specie in quanto lo Stato, nell‟esercizio dei suoi poteri, ha agito come operatore di mercato e non come autorità pubblica. La Corte tuttavia decise di non accogliere l‟argomentazione olandese in quanto consapevole che l‟attribuzione dei “poteri” fosse riconducibile a decisioni prese dallo Stato nel momento di attuazione della privatizzazione, e che quindi fossero da considerarsi de plano “misure statali”. Partendo allora dall‟assunto della Corte si può facilmente concludere che l‟uso da parte dello Stato di poteri o facoltà previsti dal diritto privato debba essere comunque considerato una misura nazionale, nel momento in cui è rintracciabile una certa finalità pubblica, nel caso di specie una politica di privatizzazione. Il requisito della “finalità pubblica” sarà quindi con molta
(199) Cfr. DANIELE V. L., (2006), Circolazione delle merci, ad vocem, in Dizionario di Diritto Pubblico, CASSESE S. (a cura di).
(200) TESAURO G., (2008), Diritto comunitario, p. 427.
probabilità quasi sempre rintracciabile nel momento in cui lo Stato agisca come azionista con l‟obiettivo di esercitare una forma di influenza sulla governance di una compagnia(202). Seguendo ora l‟analisi del giurista Ajello(203) si può notare come egli correttamente affermasse, peraltro in linea con una vasta parte della dottrina, che aderendo all‟approccio della Corte assai difficilmente si potesse giungere ad “individuare fattispecie nelle quali i soggetti pubblici di uno Stato membro agiscono in
qualità di comuni azionisti, anche quando si avvalgono di norme privatistiche indistintamente applicabili”(204). L‟obbligo per gli Stati di agire conformemente ai Trattati emergerebbe peraltro a norma dell‟art. 4.3 TUE che stabiliste che “gli Stati
membri facilitano all’unione l’adempimento dei suoi compiti e si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’Unione”. Da tale norma è dunque deducibile quell‟obbligo di leale cooperazione
per gli Stati secondo cui questi, a prescindere dalla veste in cui operino, non debbano agire contrariamente a quelli che sono gli obiettivi dell‟Unione, tra i quali ne sono certamente parte la realizzazione di un mercato interno senza ostacoli alla libera circolazione dei fattori produttivi. La Corte fa inoltre notare come nel caso di specie le
golden share siano state introdotte attraverso una decisione unilaterale dello Stato, in
quanto assunta dal Governo olandese nell‟intervallo temporale intercorso tra la privatizzazione formale e quella sostanziale, inserendo tra l‟altro una clausola che prevedeva l‟impossibilità di riscattare le azioni privilegiate senza il consenso dello Stato azionista, e tali disposizioni statutarie erano da considerarsi come una mera riproduzione di una norma imperativa e singolare, autoritativamente imposta e non introdotta in seguito alla fisiologica formazione della volontà sociale, alla quale non è nemmeno lasciata la possibilità di emendare la previsione(205). Pertanto diventerebbe pacifica l‟affermazione secondo cui, avendo come riferimento la sentenza Volkswagen, che possano essere qualificate come misure nazionali, ai fini dell‟art. 63 TFUE, tutte quelle “norme di legge a contenuto imperativo, ma non appartenenti al diritto societario
(202) Si veda RICKFORD J., op. cit., p. 64.
(203) Vedi AJELLO T., (2007), Le golden shares nell’ordinamento comunitario: certezza del diritto, tutela
dell’affidamento degli investitori e “pregiudiziale” nei confronti dei soggetti pubblici , in Il diritto
dell‟Unione Europea, p. 832. L‟intervento dello stesso Ajello è stato pure richiamato da LUPO M.,op. cit.,
p.65.
(204) Pertanto come viene sapientemente segnalato da Lup o, uno dei pochi casi in cui lo Stato agisce come comune azionista è nella veste di “portfolio investor”, senza la possibilità dunque di influenzare le politiche aziendali e l‟indirizzo manageriale.
(205) Sul punto si veda: PAT T I G., (2011), I diritti speciali dello Stato tra libera circolazione dei capitali,
generale, ossia di natura singolare”(206
). Rimane tuttavia oggetto di indagine la possibilità di far rientrare entro tale categoria anche le disposizioni prescriventi la facoltà – e non l‟obbligo – di inserire nello Statuto della società una clausola attributiva di un potere speciale a favore dello Stato. La Corte in una sentenza relativa alla causa su un rinvio pregiudiziale, c.d. causa AEM, sarebbe favorevole. In quella sede la Corte, infatti, ha ritenuto incompatibile con la libera circolazione dei capitali l‟art. 2449 del codice civile italiano. Il Governo italiano faceva valere la circostanza che la disposizione introducesse una semplice “facoltà” di inserire per via statutaria il potere di nomina diretta di uno o più Amministratori o Sindaci da parte dello Stato o di un Ente pubblico, titolare di partecipazione nel capitale, e che quindi l‟inserimento di tale clausola statutaria fosse da considerarsi non alla stregua di una misura nazionale ma come la semplice proiezione della volontà dei soci. La Corte ha tuttavia ritenuto, in tale sede, che anche una norma contenente una disposizione non obbligatoria ma “facoltizzante” sia da considerarsi “misura nazionale”, qualora deroghi al diritto societario generale, o qualora consenta un superamento di un limite generale all‟autonomia statutaria, nel momento in cui tale deroga o superamento valga solo per un azionista definito, segnatamente un azionista pubblico(207). La scelta interpretativa intrapresa dalla Corte di Giustizia non ha tuttavia incontrato tra i giuristi un consenso completo, dal momento che dure furono le critiche mosse da alcuni autori, tra questi Santa Maria(208). Merita comunque ricordare che principale preoccupazione della Corte di Giustizia non è tanto realizzare una cesura nei confronti di ogni norma che devii al diritto societario in quanto tale, ma piuttosto verificare il contenuto di tali deroghe. Ad essere indagato dalla Corte è quindi il motivo per il quale lo Stato intervenga per provocare autoritativamente sull‟assetto organizzativo della società, sia che lo faccia con norma imperativa, come nel caso tedesco, sia che lo faccia con norma facoltizzante che poi viene inserita nello Statuto societario, come nel caso italiano. Alcuni autori poi, si veda tra questi Jonathan Rickford, riterrebbero infatti applicabile alla fattispecie delle
golden shares la giurisprudenza in tema di “horizontal effect”, così come sviluppatasi
nei casi “Laval”(209) e “Viking”(210
). In entrambi i casi la Corte sancì il principio giuridico secondo cui le norme del Trattato relative alla libertà di circolazione (libertà di
(206) PAT T I G., op.cit., p. 532.
(207) Vi veda sul punto: PAT T I G., op.cit., p. 533 e LUPO M., op. cit., p. 68. (208) SANT A MARIA A., (2008), Diritto commerciale europeo, Milano, p. 327
(209) Caso Laval un Partneri Ltd c. Svensk a Byggnadsarbetareforbundet and others C-341/05 (210) Caso International Transport Work ers’ Federation and others c. Vik ing Line C-438/05
stabilimento e libertà di circolazione dei capitali) non si applicherebbero soltanto alle misure o alle azioni adottate dallo Stato, o comunque da Enti pubblici, ma anche da organismi privati, nel caso di specie dalle organizzazioni sindacali. Alle norme sulle libertà di circolazione viene pertanto attribuita alla Corte una efficacia di tipo orizzontale, con la conseguenza che queste sarebbero in grado di estendere gli obblighi normalmente attribuiti ai singoli Stati membri (c.d. efficacia verticale) anche in capo ai singoli. Allora sarà quindi evidente che se le norme sulle libertà di circolazione si applichino, aderendo alla giurisprudenza di riferimento, a soggetti privati che esercitano poteri privati, a fortiori esse troveranno applicazione con riferimento a soggetti pubblici che esercitano poteri privati(211).