power in Telecom Italia
Capitolo 4 – La golden share “illegittima”
4.6 Le golden shares e le libertà fondamentali dell’Unione Europea
Come abbiamo osservato nei precedenti capitoli, gli Stati adempiono alla propria funzione di indirizzo dell‟attività economica al fine di attuare la relativa politica nazionale mediante l‟intervento in settori sensibili dell‟economia(219
). Gli interventi normativi in materia di golden shares e poteri speciali sembrano presentarsi quale espressione di una ripresa delle politiche protezionistiche degli Stati, i quali tentano di difendersi dalle conseguenze di una globalizzazione non sempre adeguatamente regolata(220). Tale “recrudescenza” protezionistica(221) può tuttavia porre numerosi problemi, specie in quelle realtà ( come i Paesi dell‟Unione Europea) dove l‟esistenza di
(219) Sul punto si veda GASPARI F., (2015), Libertà di circolazione dei capitali, privatizzazioni e controlli
pubblici. La nuova golden share tra diritto interno comunitario, e comparato , in “Nuovi problemi di
Amministrazione Pubblica”, Studi diretti da Franco Gaetano Scoca, p.1-5 (parte introduttiva). Sempre sullo stesso oggetto si veda anche: DI PALMA P., (2014), National case study: italian law on strategic
assets, golden power, in Rass. Avv. Stato, n. 1, pp. 55 e ss.; GOBBAT O S., (2004), Golden share ed
approccio uniforme in materia di capitali nella recente giurisprudenza comunitaria , in Dir. Un. Eur., n.2,
pp. 426 e ss.; AIELLO T., (2007), Le golden shares nell’ordinamento comunitario: certezza del diritto,
tutela dell’affidamento degli imprenditori e “pregiudiziale” nei confronti dei soggetti pubblici , in Dir.
Un. Eur., n. 4, pp. 811 e ss.; NASCIMBENE B., (2009), Norme nazionali sulle golden shares e diritto
comunitario, in Corr. Giur., pp. 1017-1018.
(220) Benché di globalizzazione già nello scorso secolo se ne parlasse da molto tempo, sia in ambito accademico che giornalistico, viene comunque ad essere considerata quale data emblematica di questo fenomeno la caduta del muro di Berlino nel 1989 e con essa la “bipartizione” esistente tra est e d ovest. Tale fatto, pur rimanendo indubbiamente significativo sul piano politico, non sembra essere sufficiente a spiegare gli effetti pervasivi e dirompenti della c.d. “globalizzazione dei mercati”. Sotto questo profilo, infatti, emblematico fu l‟ingresso della Cina nella W.T.O. (2001). Da questo momento in poi fenomeni quali la delocalizzazione produttiva e movimenti di capitale assumeranno tratti sempre più complessi nelle singole economie nazionali. Il W.T.O. in tale ambito ha giocato un ruolo essenzia le nel disciplinare dinamiche multilaterali tra Stati. In seno all‟Organizzazione Mondiale del Commercio sono stati infatti siglati numerosi Free Trade Agreements atti a definire, secondo i principi di reciprocità, consenso, non
discriminazione e “clausola della nazione più favorita”, livelli daziali e tariffari tra Stati. Nonostante il
W.T.O. avesse conferito, a partire dal c.d. Uruguay Round, alle proprie disposizioni una natura “vincolante”, la mancanza di un apparato di polizia che ne garantisse il risp etto ha, dal punto di vista sostanziale, modificato di poco la situazione. E‟ dunque anche per la sopra detta ragione che si suole parlare di governance e non di governo delle dinamiche globali (in virtù dell‟assenza di un “vincolo”). Entro questo quadro di riferimento una delle possibili chiavi di lettura della recente crisi economico - finanziaria sarebbe appunto rappresentata dalle discrasie e disallineamenti propri delle dinamiche di
governance sia multilaterali che regionali. Le conseguenze della crisi h anno portato in numerose realtà
nazionali, parallelamente ad una perdita di fiducia verso gli effetti “positivi” della globalizzazione e, laddove presenti, a quelli relativi a fenomeni di integrazione (propri della logica del regionalismo), a rivalutare l‟utilizzo di misure protezionistiche a sostegno ed in difesa dei propri assets strategici.
(221) Sul punto si osservino i contributi di: BASSAN F.,(2014), Dalla golden share al golden power: il
cambio di paradigma europeo nell’intervento dello Stato sull’economia, in Studi sull‟integrazione
europea, vo .9, n.1, p. 78 e ancora: CASSESE S., (1998), Le privatizzazioni: arretramento o
riorganizzazione dello Stato?, in AA.VV MARASÀ G. (a cura di), Profili giuridici delle privatizzazioni, Torino, p.1 e ss.; DE VIDO S., (2007), La recente giurisprudenza comunitaria in materia di golden
shares: violazione delle norme sulla libera circolazione dei capitali o sul diritto di stabilimento? , in Dir.
un intenso processo di integrazione economica ha portato alla realizzazione di un mercato unico sorretto da principi giuridici e libertà fondamentali indefettibili(222). E‟ importante precisare che, sul piano delle decisioni relative a privatizzazioni e nazionalizzazioni, l‟Unione Europea non possa richiamarsi ad un proprio titolo competenziale (c.d principio di neutralità, ex art.345 TFUE), giacché non contemplato nei Trattati, dovendo pertanto mantenersi alle decisioni e alle scelte politiche assunte dai singoli Stati membri. Il tema delle privatizzazioni comincia tuttavia ad assumere tratti sempre più complessi e “sfumati” soprattutto a partire dagli anni novanta quando, a causa dell‟utilizzo sempre più diffuso da parte degli Stati di società azionarie come veicolo di privatizzazioni, non fu più possibile aderire a quella logica “dicotomica” che contemplava il “pienamente nazionalizzato” e il “pienamente privatizzato” come estremi lontani e non dialoganti. Nelle “nuove” società azionarie, create dallo Stato come strumento di privatizzazione, potevano poi essere predisposte, avvalendosi dell‟autonomia statutaria, misure dal contenuto particolarmente restrittivo. Tra queste meritano di essere menzionate: a) limitazioni al numero di azioni che possono essere possedute dagli Stati membri; b) clausole che stabiliscano blocchi al possesso azionario; c) diritti esclusivi correlati a un‟azione singola detenuta dall‟ente pubblico; d) diritti esclusivi che attribuiscano la possibilità di utilizzare il veto da parte dell‟azionista pubblico su determinate decisioni e operazioni manageriali. Questa “ibridazione” pubblico-privato consentì in molti casi di “celare” dietro le logiche dell‟autonomia negoziale, misure e strumenti discriminatori e protezionistici, dunque lesivi ( o potenzialmente lesivi) delle libertà fondamentali dell‟Unione. A tal proposito è da notare come la posizione in un primo momento assunta dalla Commissione fosse quella di considerare questo insieme di disposizioni come contrarie e restrittive alle libertà di movimento dei capitali e alla libertà di stabilimento. Più precisamente la Commissione operò una distinzione tra disposizioni discriminatorie e disposizioni non
(222) Tra le argomentazioni normalmente sostenute a favore dell‟integrazione, anche europea, troviamo: a) la possibilità di uno stimolo alla crescita dei Paesi; b) la correlazione diretta con un incremento della produzione mondiale; c) la specializzazione dei Paesi in quei beni e servizi prodotti in modo efficiente, oltre che guadagni aggiuntivi da libero scambio superiori a quelli conseguibili esclusivamente attraverso accordi come il GATT e il WTO. Tuttavia non mancano pure argomentazioni a sostegno di effetti potenzialmente negativi generati da questo processo. L‟integrazione (anche quella europea) risulterebbe essere anche difficile da raggiungere anche per ulteriori motivi. Da un lato il fatto che se, sia nelle dinamiche multilaterali che regionali, la trade creation è superiore alla trade diversion il beneficio complessivo ottenibile è sicuramente positivo, ma non è detto che tale beneficio venga ad essere spartito in maniera uguale tra i Paesi partecipanti all‟integrazione. A ciò si aggiunga poi che il fenomeno comporta spesso una perdita potenziale di sovranità e di controllo su quelle che sono le questioni domestiche.
discriminatorie, sia con riferimento alla libertà di circolazione dei capitali, sia con
riferimento alla libertà di stabilimento(223).