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I nuovi “mosaici” societari tra poteri speciali e nuove forme di partecipazione sociale: l’obsolescenza del concetto di “socio-azionista”

2.1.6 (segue): Golden powers, principi comunitari e investimenti esteri: il tentativo (difficile) di realizzare uno strumento ultra-selettivo d

Capitolo 3 – Corporate Governance e Interesse pubblico nazionale

3.1 I nuovi “mosaici” societari tra poteri speciali e nuove forme di partecipazione sociale: l’obsolescenza del concetto di “socio-azionista”

Speciali e la massimizzazione del valore azionario; 3.3 I Poteri Speciali e la distorsione del meccanismo agente-principale: il ruolo dell‟intelligence economica; 3.4 Sulla natura giuridica del potere di veto dello Stato: atto di natura amministrativa o strumento di rilevanza societaria?; 3.5 Sulla natura giuridica del potere di opposizione dello Stato; 3.6 Il caso Telecom – Vivendi; 3.6.1 L‟ingresso di Vivendi nella governance di Telecom; 3.6.2 Effetti organizzativi-societari relativi all‟esercizio dei golden power in Telecom Italia.

3.1 I nuovi “mosaici” societari tra poteri speciali e nuove forme di

partecipazione sociale: l’obsolescenza del concetto di “socio-azionista”

Nella politica industriale di un paese, il controllo da parte di un Governo degli assetti istituzionali delle aziende pubbliche, o comunque di quelle imprese portatrici di interessi economici generali e l‟ottimizzazione della relativa governance secondo criteri che privilegino l‟efficienza e l‟efficacia, hanno un influenza positiva e diretta sulla competitività nazionale(117). Va da sé, ad ogni modo, che nel caso di quelle imprese private, operanti nei settori entro cui graviti un interesse pubblico “nazionale”, l‟ingerenza, pur minima che sia, dello Stato, attraverso ad esempio la semplice apposizione di clausole nello statuto o la definizione delle aree settoriali che ne consentano margini di intervento, possa determinare un‟alterazione dei tradizionali processi di governance aziendali. Scopo del presente capitolo consiste pertanto nell‟analizzare e stimolare una riflessione attorno al tema dell‟incidenza dei “poteri speciali” attribuiti allo Stato nei settori di pubblica utilità rispetto ai processi

(117) IST IT UT O IT ALIANO DI ST UDI ST RAT EGICI “Niccolò Machiavelli”, (2012), Golden share. Strategia

endosocietari relativi alla formazione delle decisioni e dell‟azionariato(118) ed in ultima istanza osservare come sia raggiungibile quel delicato equilibrio tra esigenze di politica strategica nazionale, nell‟ambito di forme sempre più strutturate di intelligence economiche, e interessi di natura privatistica promananti dalla dimensione contrattualistica societaria. Un primo significativo aspetto da richiamare è il fatto che, a norma del decreto legge 15 marzo 2012 n. 21, vengano riconosciuti in capo allo Stato un insieme di poteri speciali volti a tutelare gli assets strategici del Paese che, con le dovute articolazioni di disciplina prima richiamate, darebbero vita ad un sovvertimento di quelli che sono i tradizionali rapporti societari. Tale preminenza non pare tuttavia presentarsi come un caso isolato, ma sembrerebbe piuttosto assimilabile ad altre ipotesi già conosciute nel diritto societario e dettate da un interesse diverso (e superiore) a quello sociale(119). Lo Stato potrebbe essere quindi in questo senso qualificato alla stregua di uno stakeholder, laddove ovviamente si decida di aderire ad una concezione ampia della stessa(120). In questo senso allora i ”poteri speciali” altro non sarebbero che

(118) ARDIZZONE L. e VIT ALI L.M., (2013), I poteri speciali dello Stato nei settori di pubblica utilità: il

paradosso del socio senza azioni, Relazione per il IV convegno annuale di Orizzonti del Diritto

Commerciale “Impresa e mercato fra liberalizzazioni e regole”, p. 1. (119) Ut supra, pag. 1.

(120) Il termine stak eholder- che letteralmente significa possessore di interessi- appare per la prima volta nella letteratura manageriale nel 1963, in uno scritto dello Stanford Research Institute (SRI). Il termine verrebbe ad essere utilizzato, non di rado, con l‟intento di estendere la responsabilità del management anche verso quelle categorie di soggetti diversi dagli s tock holder (ovvero i possessori di capitale di rischio). Comprendere che l‟azienda debba rispettare anche interessi differenti da quelli degli azionisti in senso stretto può essere logico ed immediato, dato che è spesso vero che quegli interessi espressi dalla comunità sociale, a vario titolo, e trascurati perché costosi o scomodi e in apparenza contrastanti con l‟interesse degli azionisti di massimizzare il valore azionario, possono poi ripercuotersi in varie forme di delegittimazione e non rispondenza al contesto sociale in cui l‟azienda opera, tali da compromettere le

performances future e la stabilità economico-aziendale della stessa di lungo periodo, con relativa lesione

agli interessi degli stessi azionisti. Appare dunque sensato, in linea con l‟obiettivo di massimizzare il valore dei titoli aziendali, provvedere ad un enfasi in ogni contesto aziendale, dal più grande al più piccolo, ma soprattutto verso i primi, di politiche aziendali volti a tutelare gli interessi molteplici e talora confliggenti della platea dei portatori di interessi. E‟ altresì vero, però, che perimetrare con “millimetrica” precisione i confini di quest‟ultima risulta essere un compito arduo e non privo di difficoltà. Per questa ragione anche la letteratura economica si è mossa nel sens o di fornire contributi atti a delimitare le sfere di influenza di questi soggetti che, pur non essendo azionisti, sono in grado di incidere, anche pesantemente, sulle scelte, le performances e le strutture organizzative dell‟impresa. Un primo contributo di Freeman e Reed (1993) suggeriva di distinguere tra due definizioni: una “allargata”, che include gruppi di persone che possono avere un atteggiamento positivo od ostile nei confronti dell‟impresa (i.e i gruppi di interesse pubblico, i gruppi di protesta, le agenzie governative, le associazioni di categoria, le imprese concorrenti, i sindacati dei lavoratori, oltre ai dipendenti, ai clienti, agli azionisti, ai fornitori di beni e agli altri gruppi di soggetti che forniscono fattori produttivi all‟impres a), e una “ristretta “, con la quale invece si intende far riferimento solo ed esclusivamente a quel gruppo di persone, o singola persona, da cui l‟istituto dipende per la sua sopravvivenza futura. In questo senso quindi il riferimento andrebbe solamente ai dipendenti, ai clienti, agli azionisti, ai fornitori di beni e agli altri gruppi di soggetti che forniscono fattori produttivi all‟impresa. Si veda sul punto: FREEMAN R.E E REED D,(1993),

Stock holders and Stak eholders: a new perspective on corporate governance, in California Management

Review, vol. 25, n. 3, pp. 86-106; FREEMAN R.E, (1984), Strategic Management- A stack eholder

declinazioni di un più ampio interesse generale volto alla tutela di specifiche categorie (e.g. tutela del lavoro, del credito, del risparmio) con la sola peculiarità che tale interesse sarebbe attribuito in capo allo Stato a vantaggio dell‟intera collettività. Se ammettiamo che lo Stato rientri all‟interno della categoria degli stakeholders, è allora

persone o i gruppi di persone che hanno la proprietà, un diritto, un‟aspettativa o un interesse nell‟impresa o nelle attività che essa svolge, ha svolto o svolgerà in futuro. Tali diritti sono il risultato di transazioni con l‟impresa o di attività realizzate dall‟azienda e possono essere legali o morali, individuali o collettivi. Gli stak eholders che hanno interessi simili potranno dunque essere classificati all‟interno di comuni categorie, si parlerà pertanto di interessi dei lavoratori, dei clienti, degli azionisti e così via. A quanto ora richiamato, Clarkson aggiunse poi un criterio di classificazione degli stak eholders sulla base dell‟intensità della relazione che hanno con l‟azienda (1998). Lungo questo profilo saranno pertanto distinguibili gli stak eholders primari e quelli secondari. I primi si riferiscono a quei soggetti senza la cui continua partecipazione l‟impresa non può sopravvivere (azionisti, dipendenti, clienti, fornitori, Stato e l‟insieme delle amministrazioni pubbliche locali). I secondi invece sono quei sog getti che esercitano un‟influenza o un condizionamento sull‟impresa, oppure sono condizionati e influenzati dalla sua attività pur non avendo alcuna transazione con questa e pur non essendo essenziali per la sua sopravvivenza. L‟autore americano sottolinea tuttavia come questi soggetti, pur non essendo funzionali alla sopravvivenza dell‟impresa, si facciano spesso portatori di istanze che, se non adeguatamente considerate dalla direzione aziendale, dunque se non soddisfatte, possono causare danni ingenti. In un secondo contributo poi Clarkson sottolinea come può risultare utile operare anche una distinzione tra stak eholders volontari e involontari, intendendo con i primi quei soggetti che hanno scelto consapevolmente di assumere un interesse nei confronti dell‟azienda e di sopportarne il rischio (conferenti capitale di rischio e di prestito, i dipendenti, i clienti e i fornitori), mentre con i secondi, tutti coloro che sono, o possono essere esposti inconsapevolmente ad un rischio e che possono, di conseguen za, essere danneggiati o avvantaggiati dallo svolgimento dell‟attività aziendale (lo Stato, la collettività locale, tutti gli altri soggetti che sono condizionati involontariamente dal comportamento dell‟impresa). Per un‟analisi dei contributi dell‟autore americano si veda: CLARKSON M.B.E,(1995), A stak eholder framework for analyzing and

evaluating corporate social performance, in Academy of Management Review, 20(1), pp. 92-117;

CLARKSON M.B.E(a cura di), (1998), The corporation and its stak eholders-Classic andcontemporanery reading, in University of Toronto Press. Nel 1997 infine Carroll e Näsi contribuiranno ad ampliare la

teoria degli stak eholders attraverso la creazione di un nuovo sistema tipologico di classificazione degli stessi. Secondo l‟impostazione dei due autori, i vari gruppi di interesse che convergono nell‟impresa possono essere suddivisi in due classi: quella degli stak eholders “interni” e quella degli stak eholders “esterni”. Fanno riferimento al primo gruppo i lavoratori, gli azionisti e i manager, viceversa fanno riferimento al secondo gruppo i consumatori, i concorrenti, lo Stato, i gruppi di attivisti sociali, i media e la collettività in generale. Si veda: CARROLL A.B, NÄSI J., Understanding think ing: Themes from a

Finnish conference, in Business Ethics - A European Review, 6,1, pp. 46-51. Per un‟analisi sintetica del tema si faccia riferimento a : ZAT T ONI A., Corporate Governance, pp. 85-100. Si vedano inoltre, per un‟analisi dei diversi tipi di stakeholders, ex multis: GOODPAST ER K.E, (1991), Business ethics and stak eholder analysis, in Business ethics Quarterly, vol. 1, n.1, pp. 53-73; PREST ON L.Ee SAPIENZA H.J, (1990), Stak eholder management and corporate performance, in Journal of Behaviorial Economics, vol. 19, n. 4, pp. 361-375; CARROLL A.B e BUCHHOLT Z A.K, (2009), Business & Society - Ethics and

stak eholder management; JENSEN M. E MECKLING W., (1976), Theory of the firm: managerial behavior,

Agency Costs and Ownership structure, in Journal Financial Economics ; ZAT T ONI A.,(2004), Il governo

economico dell’impresa, Milano; MIT CHELL R.K, AGLE B.R. e WOOD D.J, (1997), Toward a theory of

stak eholder identification and salience: Defining the principle of who and what really counts, in

Accademy of Management Review, 22(4), pp. 853-886; ACKERMANN F. e EDEN C., (2011), Strategic

management of stak eholder: theory and practice, Long Range Planning, 44, pp. 179-196; PERRINI F., RUSSO A., TENCAT I A. e VURRO C., Deconstructing the Relationship Between Corporate Social and

Financial Performance, in Journal of Business Ethics, 102, pp. 59-76; ZINGALES L., (2000), Corporate

Governance theoretical and empirical perspectives, n. 10; FAMA E., (1980), Agency problems and the

theory of the firm, in Journal of political economy, n. 88; FAMA E. e JENSEN M. , (1983), Separation of

ownership and control, in Journal of law and economics, n. 26; DONALDSON T. e PREST ON L.E., (1995),

The stak eholder theory of corporation: concepts, evidence and implication, in the Accademy of

Management Review, 20, pp. 65-91. Per un‟analisi sintetica ma completa dell‟argomento s i veda in particolare ZAT T ONI A., (2015), Corporate Governance, Milano, pp. 78-98.

doveroso pure confrontare i “diritti speciali” riconosciuti allo Stato con quelli normalmente attribuiti alla platea dei soggetti portatori di interessi specifici verso l‟impresa(121

). Sarebbe possibile quindi in questo senso osservare, ad esempio, una certa somiglianza del “potere speciale di veto” e “potere di gradimento” (opposizione all‟acquisto) con quei diritti riconosciuti direttamente dal legislatore (vedi gradimento ex art. 2355 bis c.c.) e quelli ammessi in via interpretativa (si vedano ad esempio i diritti particolari attribuibili nelle società azionarie ad una particolare categoria di azionisti). Tutto ciò non deve però allontanarci troppo da quella che rappresenta la principale differenza tra i diritti riconosciuti allo Stato e quelli attribuiti agli altri stakeholders. Infatti allo Stato vengono riconosciuti non solo diritti analoghi a quelli di un socio, ma addirittura “potenziati”, pur prescindendo dalla titolarità di una partecipazione al capitale della società. In realtà, il diritto societario non sempre pare correlare l‟esercizio dei diritti sociali alla titolarità azionaria, dal momento che tale esercizio viene consentito pure nella circostanza in cui siano riconosciuti diritti reali minori di godimento o di garanzia sulla partecipazione medesima. Le figure giuridiche dell‟usufruttuario e del creditore pignoratizio dapprima, la previsione di categorie speciali di azione e la tipizzazione degli strumenti finanziari partecipativi poi, hanno creato un contesto che ha contribuito a degradare il ruolo del socio, tradizionalmente inteso, in maniera assai rilevante(122). Pertanto, ammesso che, pur in condizioni di eccezionalità, situazioni di disconnessione tra partecipazione azionaria ed esercizio di diritti sociali fossero già presenti nel diritto commerciale; e ammesso altresì che negli ultimi tempi si sia creato un clima che ha sostanzialmente contribuito a declassare la figura del socio-azionista alla stregua di altri soggetti non soci, consentendo a quest‟ultimi di esercitare diritti analoghi; emerge come tratto peculiare di questo istituto, rappresentandone in qualche modo l‟eccezionalità, la mancanza di un regime obbligatorio di partecipazione azionaria, anche minoritaria, per l‟esercizio di tali diritti sociali che, in quanto potenziati, sembrerebbero costituire un vulnus al tradizionale principio capitalistico societario e sembrano configurarsi, come qualcuno ebbe a

(121) Cfr. ARDIZZONE L. e VIT ALI M. L., op.cit., pag. 2.

(122) Cfr. ARDIZZONE L. e VIT ALI M. L., op.cit., pag. 2 (nota 1); OPPO G., (2006), Quesiti in tema di

azioni estrumenti finanziari, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gianfranco Campobasso,

pp. 716 e ss.; ABRIANI N., (2011), Le società a partecipazione pubblica nell’osmosi tra diritto societario

e diritto amministrativo: assetti proprietari, modelli di governance, operazioni straordinarie , in Studi in

definirli, quale “misure eccezionali che violano i diritti degli azionisti”(123

). Il criterio di “incondizionatezza” al possesso di una partecipazione azionaria per l‟esercizio dei diritti sociali non è in verità, a ben vedere, un tratto esclusivo della Riforma Monti, giacché pure nel precedente istituto della golden share non era ravvisabile alcun obbligo di questo tipo. Esisteva tuttavia una differenza non di poco conto. Si può infatti affermare con sicurezza che nel precedente istituto esistesse quantomeno una fonte di giustificazione di tali diritti, ovverosia una previsione statutaria in attuazione della legge speciale. Tale fatto garantiva quantomeno la presenza di un “momento genetico” e un rapporto di controllo, seppur in via di dismissione, in capo allo Stato. Va da sè che una volta superato il momento genetico, già secondo la disciplina originaria, si sarebbe sostanziata quella ben nota anomalia dovuta all‟assenza di legame tra l‟esercizio dei poteri speciali e partecipazione, rendendosi peraltro improprio l‟uso stesso del termine “share”(124

).

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