2. Mutamenti demografici e trasformazioni sociali: il ruolo delle donne 1 In fuga dal ‘chiostro domestico’
2.2. Esiti di una rivoluzione incompiuta
Le donne del XX sec., per un verso attraverso l’operato dei movimenti collettivi e per l’altro attraverso una rivoluzione silenziosa che ha interessato il mercato del lavoro, hanno incorporato esse stesse le istanze liberal-borghesi: libere, tra eguali, esperte di una fraternità (o meglio di una ‘sorellanza’) in grado di sostenere il percorso emancipativo.
In qualche modo il progetto della Rivoluzione francese (liberté, egalité,
fraternité), pilastro fondativo delle società europee, è andato realizzandosi
compiutamente solamente nel ‘900 grazie all’intervento delle donne, che hanno saputo mettere in gioco non solo le proprie individualità, in vista di un compimento di libertà ed uguaglianza, ma anche il proprio ‘potere di unire’ e la forza dell’unità del ‘potere’. Per le donne, infatti, l’accesso alla sfera pubblica, attraverso la rivendicazione di uno status di eguaglianza e di un diritto di autorealizzazione, ha potuto aver luogo esclusivamente facendo ricorso alla possibilità di ‘agire insieme’, in maniera collettiva.
Nel XX secolo l’accesso sempre maggiore delle donne nella sfera pubblica, specificatamente nel lavoro è stato legittimato a partire proprio dall’ipotesi messa in luce nel progetto della modernità che nell’autorealizzazione del singolo esplorava le ragioni della propria manifestazione. La femminilizzazione della sfera pubblica ha portato inevitabilmente a rinegoziare i termini del patto sociale, dando voce ad una politica che tenesse conto della differenze, anche di genere. La messa in discussione del presupposto arbitrario di tale separazione di sfere di competenza e l’appropriazione da parte dell’universo femminile del riconoscimento pubblico della propria soggettività ed individualità sono alcuni dei fattori che hanno contribuito alla crisi degli istituti della modernità: essa ha avuto luogo nel momento in cui si sono radicalizzate e si sono estese le premesse del ‘moderno’.
A partire dagli anni ‘70 si è assistito, dunque, ad una radicalizzazione della modernità stessa, che, traducendosi nell’emergere di una ‘società degli individui’, si è manifestata nell’affermazione della donna sulla scena pubblica. Quest’ultimo fenomeno è accompagnato da altri di rilevanza storica: la trasformazione del modello familiare; la rinegoziazione sociale dei ruoli di genere e dei significati legati al lavoro di cura.
Il lavoro, in primis, è diventato, dunque, sempre più centrale nella scala gerarchica di soggetti che, nell’autorealizzazione e nella costruzione di una progettualità incentrata sul sé, hanno scommesso risorse emotive, formative ed economiche. Il ‘campo’ del lavoro, sempre per riprendere una terminologia cara a Bourdieu (2001), si è trasformato ben presto in dimensione tra le più rilevanti della sfera pubblica, in spazio fisico e simbolico giudicato estremamente strategico in vista del raggiungimento del fine di autorealizzazione.
Gli agenti dell’‘incorporazione’ (Sassen 2002) non sono più – come risultava nel passato – la famiglia, lo status o il clan, ma essa ha luogo a partire prevalentemente dalla partecipazione dei singoli al mercato del lavoro.
Pur rimanendo ancora lontani dagli obiettivi di Lisbona9, il volto dell’Italia e dell’Europa di oggi è sicuramente diverso da quello di trenta o quaranta anni fa. Non solo è cresciuto il numero di donne che partecipano al mercato del lavoro, ma
9 La Strategia di Lisbona, firmata nel 2000 dai membri dell’Unione Europea, stabilisce che
si è anche modificato l’atteggiamento delle donne nei confronti dello stesso: luogo significativo per la costruzione del sé e spazio per l’autorealizzazione.
Il processo di terziarizzazione dell’economia10 ha, poi, in parte favorito l’ingresso delle donne in tale porzione di spazio pubblico, rappresentando un settore in grado di poter garantire la conciliazione11 tra attività retribuita e lavoro familiare
(Saraceno, Naldini 2001).
Cambiamenti culturali e trasformazioni strutturali hanno agito in forza di una dinamica circolare, la quale, rendendoli fortemente interdipendenti, ne ha rafforzato gli effetti.
Uno tra i cambiamenti culturali più profondi che hanno interessato le società occidentali è stato quello che ha coinvolto la struttura familiare, il cui modello tradizionale – che ha resistito all’urto dei secoli – è stato messo in crisi dai “mutamenti notevoli circa i modelli pubblici che regolavano la condotta sessuale, il rapporto di coppia e la procreazione” (Hobsbawm 1997: 379).
Dagli anni ’70 in poi, la rinegoziazione dei significati legati all’essere sposa, madre e figlia è stata il motore della crescente femminilizzazione del mercato del lavoro, parimenti quest’ultimo fenomeno ha enormente influenzato la gestione dei tempi sociali, scandendo in modo diverso i tempi di cura e di lavoro domestico. Tale processo ha prodotto delle inevitabili trasformazioni nell’assetto del welfare, fino a quel momento – soprattutto per i paesi europei collocati lungo la sponda mediterranea (Esping-Andersen 1990) – incentrato sul male breadwinner model12.
Per la donna è andato aprendosi uno spazio negoziato tra sfera pubblica e dimensione privata, tra lavoro retribuito e compiti di caring: una ‘doppia presenza’ il cui governo si è dimostrato essere la sfida più importante. Proprio per risolvere tale questione è andato maturando il bisogno di offrire delle politiche di conciliazione, che fossero di sostegno all’accesso al mercato del lavoro da parte
10 Il terziario è giudicato il “principale serbatoio di assorbimento del lavoro femminile”
(Zanfrini 2005: 16). Ciò è legato ai profili professionali presenti in tale settore, solitamente priivilegiati dalle donne, le quali vi riconoscono un legame con ruoli tradizionalmente femminili (l’insegnante, la domestica, l’infermiera, la segretaria, ecc…) e che li giudicano conciliabili con la vita familiare.
11 In letteratura per ‘conciliazione’ si intende la possibilità di tener insieme il lavoro domestico-
familiare e quello retribuito. Si tratta di una condizione che varia a seconda del titolo di studio e del ceto, verificandosi nel lungo periodo solo per gli strati medio-alti della popolazione (Saraceno, Naldini 2001). Per ‘politiche di conciliazione’, dunque, si intende quel pacchetto di soluzioni (maturate nell’ambito delle politiche sociali e del lavoro) volte a sostenere nel tempo la presenza delle donne nel mercato del lavoro.
12 Per male breadwinner model si intende il tradizionale modello familiare monoreddito, in cui
della donna, anche quando a mutare sono le condizioni biografiche iniziali. La maternità, la presenza di genitori anziani o di familiari disabili, infatti, rappresentano una concreta minaccia alla partecipazione femminile al lavoro ed in ogni caso sono un freno ai percorsi di carriera.
L’andamento demografico degli ultimi trent’anni è un significativo indicatore del mutamento complessivo della società.
La trasformazione del modello di genere femminile, distanziatosi dalle forme tradizionali, ha fatto sì che per esempio andasse mutando l’età media delle donne al matrimonio. Creare una famiglia e mettere al mondo dei figli, infatti, non era più l’unico modo di ‘essere donna’: il matrimonio e la maternità, quindi, un tempo unica risorsa per l’autorealizzazione femminile, si sono trasformati a partire dagli anni ’70 in una e non più nell’unica forma di affermazione del sé.
L’aspetto che molti analisti delle dinamiche familiari mettono in evidenza è rappresentato dal fatto che “la diminuzione della fecondità, che in tutti i paesi e in tutti i ceti ha portato le nascite al di sotto del cosiddetto tasso di sostituzione, non segnala solo o tanto una difficoltà a far fronte economicamente o organizzativamente alla presenza dei figli. Segnala innanzitutto un mutato posto della filiazione sia nel ciclo di vita individuale che in quello coniugale” (Saraceno, Naldini 2001: 145).
La riduzione del tasso di fecondità pro-capite, infatti, ha inciso fortemente sulla morfologia della popolazione europea, parimenti interessata – anche se in tempi e con modalità diverse a seconda dei contesti geografici – dalla crisi demografica. Quest’ultima non si è tradotta esclusivamente nella diminuzione del numero di figli, ma anche in un aumento del numero di persone anziane: si è trattato quest’ultimo di un elemento che ha avuto delle quanto mai ovvie ripercussioni in seno alle politiche sociali e del lavoro.
Un tasso di fecondità al di sotto di quello di sostituzione influenza, infatti, la crescita del numero di soggetti anziani. Questo dato demografico incide fortemente nel disegno delle politiche pubbliche europee, che devono fare i conti con una trasformazione che interessa le dinamiche familiari e la strutturazione del mondo del lavoro.
Un numero maggiore di anziani implica porre un accento diverso rispetto al passato per quanto riguarda il bisogno di cura, cui le famiglie da sole non riescono
più a soddisfare. Anche per questa ragione, il caring si è rivelato negli ultimi anni la scommessa più importante delle politiche sociali.
Tale questione, poi, chiama in causa la dimensione del genere perché da sempre le donne sono considerate le care givers per eccellenza. Al di là degli auspici, infatti, il rapporto famiglia-lavoro viene vissuto dalla maggior parte delle donne come una complessa, oltre che frustrante, esperienza ‘acrobatica’. L’immagine dell’acrobata (Eurispes 2006; Zanfrini 2005), infatti, ritorna sovente nei racconti di donne chiamate a governare la ‘doppia presenza’, generata spesso da un lavoro di cura non condiviso con il resto della famiglia.
Proprio in seno al tema della cura si è aperto recentemente un dibattito che ha permesso di mettere a fuoco una tra le contraddizioni più eclatanti che coinvolgono il progetto di emancipazione femminile. Si è visto, infatti, come quest’ultimo sia sempre più una meta possibile da raggiungere per una sola porzione dell’universo femminile, ma che – in assenza di un ripensamento complessivo di struttura di welfare a sostegno dei bisogni di cura delle famiglie – si riveli foriero di una forma di dumping che si dispiega sullo scenario globale. Nell’ambito dei migration studies sono molteplici le prospettive analitiche chiamate ad esplorare la complessità del fenomeno. Di recente alcuni contributi, emersi in seno ai gender studies (Sassen 1997, 1999, 2004; Ehrenreich, Hochschild 2004), hanno adeguatamente problematizzato il processo di internazionalizzazione del mercato della cura inaugurando un fecondo dibattito. La femminilizzazione dei flussi migratori, infatti, generata dalla domanda di lavoro di cura proveniente dai centri del ‘sistema-mondo’ (Wallerstein 2000), ha introdotto un profondo dilemma all’interno dei gender studies di seconda generazione. In tale contesto teorico, il diritto delle donne ad avere un lavoro si colloca come obiettivo prioritario; tuttavia, è diventato sempre più evidente che ciò è possibile solo “scaricandone il costo su un gruppo sociale ancora più vulnerabile” (Zanfrini 2004 b: 190-191). L’affermazione della donna all’interno della scena pubblica, indizio del ben più vasto progetto della modernità, può aver luogo solamente esternalizzando il lavoro familiare ed assegnandolo ad altre donne, provenienti da zone segnate da svantaggio sociale ed economico. È caratteristico, infatti, della modernità poter colmare i vuoti di cura ricorrendo a risorse umane che si muovono sullo scacchiere globale.
Si assiste, perciò, all’avvento di un autentico paradosso: la possibilità di tener fede al progetto di emancipazione femminile ha luogo solo a condizione di far pagare i costi sociali a soggetti più deboli (donne, straniere, provenienti da Paesi svantaggiati).
A partire da tali considerazioni non si può fare a meno di sottolineare come nel complesso il sogno che ha animato l’universo femminile negli anni ’70 si sia bruscamente interrotto, rivelandosi non solo un’utopia ma anche segnando esso per primo l’incipit di inedite forme di disuguaglianza sociale.
La ‘rivoluzione’ sperata, pertanto, si è rivelata di fatto incompiuta nella misura in cui l’accesso delle donne alla sfera pubblica non è stato accompagnato da un ripensamento complessivo delle strutture sociali e – aspetto, quest’ultimo ancora più grave – nel momento in cui ha segnato una spaccatura nello stesso universo femminile, tra donne provenienti da contesti geografici distinti, con status differenti. I fuochi del sogno femminino si sono spenti nel momento in cui si è rotto il cerchio della sorellanza.