Seconda Parte Dentro la ricerca
1. Le ragioni di una scelta
Mi pare interessante accogliere la prospettiva di Bourdieu per analizzare il fenomeno riguardante l’associazionismo delle donne migranti e per leggere, più estesamente, le dinamiche migratorie. Nello specifico, mi riferisco al modo in cui l’Autore esplicita il rapporto ‘individuo-società’ a partire dalla dualità ‘riproduzione-mutamento’, senza penalizzare il primo elemento e senza escludere il secondo.66
Bourdieu propone il concetto di habitus per cercare di mediare tra i rischi della deriva oggettivistica e quelli provenienti dalle sirene ammaliatrici del soggettivismo67: gli habitus, infatti, sono le forme attraverso cui la struttura permea le individualità (grazie ad un vero e proprio processo di incorporazione) strutturandole, ma essi sono anche la possibilità concessa agli attori sociali, individuali e collettivi, di trasformare la stessa struttura.
Tale aspetto mette a fuoco come il tentativo di Bourdieu – che fa procedere la sua analisi a partire dalle istanze marxiane (soprattutto in merito al ruolo del potere nell’organizzazione dei rapporti di forza tra soggetti collettivi) – sia proprio quello
66 Come un ipotetico pendolo la storia della sociologia oscilla da sempre fra due opposte
famiglie di paradigmi. Crespi (1985: 459), riprendendo quanto sostenuto da Boudon, chiama il primo gruppo “interazionista” ed il secondo “determinista”. È implicito che collocarsi sull’una o sull’altra posizione del continuum obbliga ad una vera e propria scelta di campo, che porta ad una ridefinizione della realtà certamente influenzata dall’escludere alternativamente la centralità del soggetto o la forza determinante del sistema. L’opzione teorica di Bourdieu si staglia proprio in tale querelle, esprimendo il tentativo di proporre una ‘terza via’ rispetto a quanto già precedentemente formulato.
67 A partire da tale intuizione, egli sviluppa una critica sia all’oggettivismo, che si espone al
rischio di cogliere solamente l’aspetto ‘strutturante’ (tralasciando quello ‘strutturato’ della struttura sociale), e sia al soggettivismo, che a suo avviso imporrebbe una sorta di signoria del soggetto (esasperando l’aspetto relativo all’autonomia di quest’ultimo nella produzione di senso).
di spiegare le strategie di conservazione e di mutamento della struttura sociale, includendo in tale processo il protagonismo dei soggetti.
La complessa riflessione posta in essere da Bourdieu, soprattutto per quanto concerne il rapporto che va a tessere l’individuo con la struttura, incrina, sottoponendola a dura critica, le due grandi matrici del pensiero sociologico (quella strutturalista-sistemica e quella interazionista). È proprio sulla scia di tale dialettica che mi piace collocare il contributo sull’associazionismo dei migranti. I processi migratori, più di qualunque altro fenomeno sociale, necessitano di una prospettiva analitica che sappia mediare tra i due estremi del pendolo, perché sono l’evidente risultato di come gli assestamenti strutturali in seno al ‘sistema- mondo’ spingano, fino a determinarlo, verso il progetto migratorio; tuttavia, dal momento in cui si matura la decisione di partire fino al lento e faticoso processo di incorporazione nei Paesi di arrivo, sono la creatività ed il protagonismo dei singoli ad emergere come caratteri qualificanti.
Ogni progetto migratorio, pertanto, è il risultato derivante dall’intreccio tra fattori strutturali locali e globali (che influenzano ed orientano i vissuti dei singoli) e le strategie messe in atto dai migranti (in seno ad una comunità e/o ad un gruppo familiare) in vista del contenimento dei rischi e nella prospettiva di migliorare le condizioni di vita.
La prospettiva teorica inaugurata da Bourdieu appare, dunque, come la più idonea nel tentativo di leggere il fenomeno migratorio nelle diversificate strategie di incorporazione messe in atto dai singoli.
La definizione di habitus, l’intuizione relativa alle pratiche di ‘campo’ negoziate e trasmesse, l’introduzione della forza innovativa legata alle traiettorie individuali, l’ipotesi inerente il modo in cui l’appartenenza a classi o a reti diverse si riflette in modo distinto nel bilanciamento del capitale sociale, economico e culturale, sono tutte proposte concettuali che in modo nuovo leggono le strategie poste in essere per introdurre, governare o scongiurare il mutamento e che, nel caso specifico, si offrono nell’insieme come griglia interpretativa per disambiguare pratiche e strategie del mondo migrante.
La teoria di Bourdieu seduce più di altre, perché egli riesce a bilanciare il peso dell’individuo con quello della struttura, senza mai propendere per l’uno o per l’altro. Sebbene, infatti, diverse letture dell’orizzonte teorico di Bourdieu
denuncino la presenza di una deriva deterministica (per via dell’importanza assegnata all’habitus), occorre mettere in luce come nell’Autore rimanga aperta la strada della creatività e della libertà del soggetto – soprattutto attraverso l’ipotesi della traiettoria individuale (Bourdieu 2001) – chiamato, qualora lo desideri, a porre in essere un lavoro di distinzione, grazie al quale può aver luogo un percorso di ascesa sociale.
Il soggetto, perciò, non è imbrigliato nella condizione di replicante di atteggiamenti, comportamenti, credenze e valori, ma, pur solidarizzando con quanti condividono il medesimo spazio sociale, individua nella traiettoria personale lo strumento grazie al quale si rende libero dal destino di classe, di ceto o di condizione.
I migration studies si sono modulati nel corso degli anni riproponendo l’andamento oscillatorio (‘determinista-interazionista’) della storia della sociologia. Le teorie volte a spiegare i fenomeni migratori, infatti, si sono sviluppate attorno a due alternativi e distanti nodi paradigmatici: l’approccio sistemico-determinista, intento a rintracciare nelle logiche del ‘sistema-mondo’ le cause profonde che innescano i processi migratori, e quello teso a valorizzare il protagonismo dei singoli migranti, che ‘per scelta’ (e non perché costretti dalle congiunture economiche e politiche locali) decidono di abbandonare il Paese di origine e di trasferirsi altrove.
Diversi autori (Zanfrini 2004 b; Ambrosini 2005a) hanno sottolineato i limiti evidenti in ciascuno dei precedenti approcci, mettendo in luce come nel primo caso l’autonomia del singolo vada svuotandosi (sotto il peso delle traiettorie collettive e a causa dei colpi inferti dalle dinamiche sistemiche dell’economia globale) e come nel secondo caso si incorra nell’errore di pensare la migrazione come frutto di una libera scelta (senza tener conto che essa è nella maggior parte dei casi determinata dalla situazione di svantaggio sociale delle società di partenza).
Provare a leggere attraverso la lente teorica offertaci da Bourdieu il fenomeno migratorio (e, nello specifico, il processo di inserimento che ha luogo mediante la pratica associativa) implica esplorare nell’habitus (o meglio negli
habitus) dei migranti la possibilità di sintesi tra le forme di incorporazione del
Solamente a partire da questo fragile intreccio, infatti, si può comprendere la complessità dei percorsi biografici, in bilico tra progettualità creativa e traiettorie dall’esito già segnato.
Mi pare che nell’orizzonte teorico di Bourdieu alcuni elementi più di altri permettano di fare luce sul modo in cui il migrante tesse, nel quotidiano, il proprio protagonismo con le delusioni ed i limiti derivanti da una ‘scelta’ resasi necessaria dalle condizioni strutturali dei Paesi di origine.
Nello specifico, mi pare importante evidenziare i seguenti elementi: il concetto di traiettoria; la rilevanza offerta al processo di distinzione; il ruolo svolto dall’associazionismo nell’ambito delle pratiche culturali proprie dei gruppi emergenti; le sollecitazioni provenienti dal movimento femminista nella riorganizzazione degli spazi fisici e simbolici e nella regolazione dei rapporti fra uomini e donne.