3 Dinamiche migratorie
1. Le migrazioni transnazional
I processi migratori non rappresentano qualcosa di inedito rispetto al passato: da sempre l’uomo tende a spostarsi, adattandosi a nuovi contesti ambientali, a nuovi scenari sociali.
Il tratto innovativo delle migrazioni degli ultimi decenni è dato dal volume di persone in movimento e dal numero di Paesi interessati, in qualità di luoghi di partenza o di zone di approdo. In tal senso è possibile affermare che non solo si tratta di un fenomeno globale, ma che proprio la mobilità umana transnazionale stia contribuendo ad una globalizzazione dal basso (Zanfrini 2004 b).
In particolare, il 3% dell’intera popolazione mondiale vive al di fuori del proprio Paese di origine: si tratta di una cifra che è più che raddoppiata nell’arco di quarant’anni, segno di come le congiunture economiche, le trasformazioni sociali ed i cambiamenti culturali abbiano concorso a creare le condizioni per un incremento della mobilità umana.
Oltre ai conflitti, è lo svantaggio economico e sociale di molti Paesi ad operare da fattore di spinta: nello specifico, “complessivamente, secondo le stime della World Bank, l’82% degli immigrati proviene da PVS” (Caritas-Migrantes 2006: 22).
Tuttavia, dei due terzi di migranti che si sposta dalle periferie del ‘sistema- mondo’ solamente un terzo raggiunge e si colloca nel sistema produttivo del Nord. Il dato è un po’ in controtendenza rispetto all’ipotesi condivisa circa un flusso costante ed incontrollato di uomini, donne e bambini che violano i confini della ‘fortezza europea’ (Sassen 1999). La maggior parte, infatti, una volta abbandonato il proprio Paese di origine, decide di raggiungere contesti territoriali
decisamente lontani, per condizioni sociali ed economiche, dallo stile di vita europeo o nord americano.
C’è da aggiungere, poi, come negli ultimi anni si sia verificata “un’inarrestabile migrazione interna verso le città da parte degli abitanti più poveri dei PVS, che abbandonano la campagna alla ricerca di migliori opportunità sociali e lavorative per sfuggire ad un presente di miseria e stenti” (Caritas Migrantes 2006: 17). Stando alle previsioni per il futuro, si stima che i principali attrattori di migranti saranno nel continente americano – Stati Uniti e Canada, “grazie a flussi in arrivo annuali stimati complessivamente attorno a 1,3 milioni” (Caritas-Migrantes 2007: 19) – e in Europa. In quest’ultima, saranno proprio Germania e Italia, ad essere chiamate ad accogliere immigrati per “compensare un declino demografico stimabile attorno a circa 70 milioni entro il 2050” (ivi). Per quanto riguarda il nostro Paese, poi, si ritiene che “entro la metà del secolo i flussi in arrivo […] possano raggiungere complessivamente un totale di 6-7 milioni” (ivi).
A livello globale i migranti sono così distribuiti: a “livello continentale l’Europa ne ospita 64 milioni (33,6%), l’Asia 53 milioni (28,0%), l’America settentrionale 45 milioni (23,3%), l’Africa 17 milioni (9,0%), l’America meridionale 7 milioni (3,5%), l’Oceania 5 milioni (2,6%)” (Caritas-Migrantes 2006: 17).
Un altro dato significativo, che arricchisce la descrizioni del fenomeno, si esplicita nella graduatoria dei primi 10 Paesi di accoglienza i quali raccolgono il 53% dei migranti nel mondo: “di questi dieci Paesi sei sono europei (Federazione Russa, Germania, Ucraina, Francia, Gran Bretagna e Spagna), due asiatici (Arabia Saudita e India) e due nord americani (Stati Uniti e Canada)” (ibidem: 23).
Sono estremamente molteplici le dimensioni interessate da tale fenomeno, giudicato unanimamente come il volto più esplicativo della complessità sociale degli anni che stiamo vivendo.
Lo sguardo della mia ricerca è rivolto alla realtà italiana, interessante per almeno tre ragioni. In primo luogo, si tratta di un contesto sociale che negli ultimi decenni ha subito uno shock culturale, dovendo ripensarsi, nel giro di pochissimi anni, non più in termini di Paese con una forte tendenza emigratoria, ma come luogo di arrivo per molti migranti. In secondo luogo, l’Italia si segnala per la compresenza estremamente eterogenea di gruppi etnici: sono presenti più di duecento comunità distinte (Zanfrini 2004 b). In terza istanza, l’aspetto caratterizzante è dato dal fatto
che, al pari di altri Paesi europei, la realtà italiana si è trasformata in polo attrattore per le migranti donne, con punte del 85% per quanto riguarda alcune comunità (per esempio quella capoverdiana).31
Il peso della popolazione straniera rispetto alla popolazione residente è andato nel giro di tre decenni mutando significativamente:
“Dal 1970 ad oggi si è passati da 144.000 persone ad almeno 3 milioni e 700 mila soggiornanti, con un aumento di ben 25 volte, facendo così dell’immigrazione uno degli aspetti più rilevanti della società italiana.” (Caritas-Migrantes 2007: 87)
Tale mutamento – che come analizzerò in seguito ha delle quanto mai ovvie ripercussioni in termini culturali e sociali – si rivela come autentico punto di forza se si pensa che senza il saldo migratorio la crisi demografica dell’Italia sarebbe ancora più forte.
La specificità italiana risulta più facilmente comprensibile se letta a partire da uno scenario più ampio: mettendo a fuoco la dinamica e la composizione dei flussi migratori nel più vasto spazio europeo e facendo luce sulle molteplici dimensioni interessate dal fenomeno.
Per quanto concerne il primo aspetto, è importante sottolineare come l’Italia, all’interno del contesto europeo, si collochi al quinto posto dopo Germania (7.287,980), Spagna (3.371.394), Francia (3.263.186) e Gran Bretagna (2.857.000) (Caritas-Migrantes 2006).
Dati OCSE, inoltre, mettono in evidenza come nel corso di un decennio l’incremento dei flussi migratori abbia interessato tutti i Paesi dell’area, seppur
31 Ne “L’état de la population mondiale 2006” redatto dall’Unfpa, in questo modo è descritta
la tendenza in atto per quanto concerne il processo di femminilizzazione dei flussi migratori: “Au cours des 40 dernières années, les femmes ont été presque aussi nombreuses à émigrer que les hommes. La plupart sont allées rejoindre leurs maris dans les pays d’émigration que sont l’Australie, le Canada, les États-Unis et la Nouvelle-Zélande. En 2005, il y avait légèrement plus d’immigrantes que d’immigrants dans toutes les régions du monde excepté l’Afrique et l’Asie. Parmi les régions développées, l’Amérique du Nord occupe une place exceptionnelle en ce que les immigrantes y ont été plus nombreuses que les immigrants depuis 1930, et c’est encore le cas au Canada et aux États-Unis. L’Europe et l’Océanie signalent aussi des proportions croissantes d’immigrantes – qui dépassent en nombre les immigrants depuis 2000. [...] En Afrique, la pauvreté endémique, la maladie, la dégradation des sols et le taux élevé de chômage masculin sont autant de facteurs qui contribuent à une augmentation régulière du nombre des migrantes – et cela à un taux supérieur à la moyenne mondiale. En 2005, 47 % des 17 millions de migrants africains étaient des femmes – contre 43 % en 1960, cette augmentation étant particulièrement marquée dans les sous- régions de l’Afrique de l’Est et de l’Ouest. Si la plupart des femmes africaines se déplacent dans les limites de la région, certaines vont aussi en Amérique du Nord et en Europe. Pour en donner un exemple, au Cap-Vert, les femmes représentent 85 % des migrants vers l’Italie.” (UNFPA 2006: 23)
distinti gli uni dagli altri da differenze significative: in Grecia ed in Spagna nel giro di dieci anni è quasi triplicata l’incidenza migratoria; la Germania ha mantenuto nel tempo la medesima forza attrattiva.
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Austr ia Germ ania Grec ia Danim arca Regn o Unit o Norve gia Irland a Spag na Italia Porto gallo Repu bblic a Cec a Finlan dia Giap poneCorea 1990 2001