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L’associazionismo, il kairós nell’indifferenza democratica

3. Nel segno del kairós: l’emergere della società civile

3.3. L’associazionismo, il kairós nell’indifferenza democratica

Tocqueville (1982) è stato il primo a mettere in luce il paradosso più emblematico della democrazia (Abbruzzese 2005). L’autore, nella celebre analisi della società americana, ha sottolineato come l’indifferenza sia uno dei risvolti del processo democratico, espressione della cornice egualitaria che orienta i cittadini verso un condiviso conformismo. L’uguaglianza e l’indifferenza, infatti, procedono insieme, generate entrambe dello stesso patto democratico. La crisi del legame sociale, nella lettura offerta da Tocqueville, si consuma proprio a partire dalla realizzazione delle istanze democratiche:

“Fiero della sua autonomia, l’individuo democratico è ‘cartesianamente’ determinato a cercare unicamente in se stesso la fonte delle proprie decisioni, delle proprie opinioni, dei propri giudizi. Ma allo stesso tempo, o meglio, proprio per questo, egli si chiude in un compiaciuto isolamento che lo separa dagli altri e che di fatto lo indebolisce in quanto incrina il legame sociale” (Pulcini 2001: 143).

La cieca fiducia unicamente nelle possibilità del singolo accompagnata da un depotenziamento emotivo della sfera pubblica – nella quale agiscono individui che “sono uniti dalla provvisorietà dei rapporti contrattuali” (Pulcini 2001: 143) – svigorisce il potere relazionale, creando “uno scenario di vicini senza prossimità, capaci di dar vita a una interazione senza legame” (Pulcini 2001: 144).

L’ossessione dell’homo democraticus è la rimozione di tutte le differenze, l’eliminazione di ogni tratto distintivo, per tale ragione gli “individui democratici sono destinati a diventare simili, nei costumi, nella mentalità, nei desideri” (ibidem: 147).

Lo scenario nel quale si trova ad agire l’uomo democratico è indubbiamente la società di massa. Pulcini, ricordando la lezione di Arendt, sottolinea come l’avvento della società democratica segni inevitabilmente la “perdita della sfera pubblica intesa come dimensione dell’infra” (ibidem: 151).

Il ritrarsi della sfera pubblica e l’annuncio del riflusso nel privato, dunque, sono i tratti più evidenti di un processo di democratizzazione che si esprime nel segno del conformismo e dell’omologazione, persino nella perdita del conflitto. Impegnati a coltivare il proprio narcisismo, i soggetti si trincerano in uno spazio privato disertando anche le forme tradizionali di resistenza:

“La figura dell’altro, prima identificata con il nemico o il rivale, oggetto di pulsioni aggressive e apertamente competitive che preludevano a forme di socializzazione, subisce un processo di opacizzazione e di erosione che trasforma il conflitto in indifferenza e produce una sorta di anemico svuotamento della relazione sociale. Nella ‘desostanzializzazione’ dell’altro, inaugurata dalla ‘somiglianza’ democratica e alimentata dal sovrainvestimento narcisistico della dimensione soggettiva, risiede la radice emotiva dell’indebolimento del legame sociale e della disaffezione alla sfera pubblica.” (Pulcini 2001: 162)

Pulcini, sposando la riflessione sulla modernità radicale proposta da Giddens, mette in luce molto chiaramente come la perdita del legame sociale e il contrarsi della dimensione in-fra di arendtiana memoria non siano altro che una radicalizzazione delle premesse del moderno.

Non è in gioco, dunque, una modernità che ha rinunciato alle sue premesse, quanto piuttosto una modernità che ha tenuto fede ad esse fino in fondo, rischiando la crisi.

L’homo democraticus, pertanto, è un effetto collaterale di una modernità che ha concepito “il legame sociale, la relazione con l’altro, in termini puramente

strumentali, come medium necessario alla realizzazione dei propri interessi e

desideri” (Pulcini 2001: 166).

Pulcini pone in maniera chiara il problema derivato da una “voglia di comunità” (Bauman 2003), che negli ultimi anni sembra accompagnare, in un gioco di paradossi, la perdita del legame sociale. Soffermandosi su tale aspetto e richiamando le forme spesso violente attraverso le quali tale desiderio viene enunciato, ella pone in evidenza come esso in realtà nasconda un “‘ritorno del rimosso’, un desiderio di identificazione e di appartenenza che si esprime in forme

ostili ed esclusive” (Pulcini 2001: 167), le quali si esplicitano di fatto nell’“esclusione del diverso” (ivi).

Il ‘ritorno del rimosso’, tuttavia, spiega non solo l’emergere di forme di comunitarismo esclusivista, ma strategie sociali vocate al recupero di “una socialità non regressiva né esclusiva” (ibidem: 119).

Le ‘associazioni civili’, care all’analisi tocquevilliana, ripropongono la dimensione kairologica del principio democratico: “il male contiene in sé il proprio rimedio” chiosa Pulcini (ibidem: 173). L’uguaglianza (nei costumi, nelle idee, ecc…) può generare, infatti, anche sentimenti di simpatia e di empatia, e non solo di invidia.

In altri termini, l’‘altro rimosso’, oggetto di invidia o “realtà opaca e indifferente” (ibidem: 173), si trasforma, nell’epoca della frammentazione, in soggetto nel quale riconoscere la propria vulnerabilità, la propria finitudine. La solidarietà, dunque, emerge attraverso una dinamica speculare, secondo la quale è possibile riconoscersi nel volto e nella storia dell’altro: si è tutti ‘ugualmente’ viaggiatori in solitaria, in una realtà impoverità del legame sociale, nella quale ciascuno, pur vagheggiando il sogno dell’autenticità, si ritrova di fatto privato di tale diritto, circuito dal fascino del conformismo.

L’associazionismo, che si esplicita come forma di cura da tutte le derive generate da una rimozione emotiva della sfera pubblica, educa a coltivare l’empatia, l’attenzione per l’altro, di colui che si manifesta nei tratti del simile. Il punto sul quale vale la pena riflettere è se l’impegno attivo e la passione civile siano di sostegno nel tentativo di dare risposte convincenti al richiamo di autenticità.

La simpatia e l’empatia possono modulare – attraverso la relazione e il dono – il cammino verso l’autenticità, che può esprimersi nella violazione del ‘tacito patto democratico’, nella ricerca della distinzione?

È proprio questo uno degli interrogativi al quale provo a dare delle risposte con la presente riflessione.