Seconda Parte Dentro la ricerca
2. La forza delle traiettorie: tra ordine e mutamento
Un aspetto significativo è dato dal nesso che lega l’habitus al cambiamento ed all’esito futuro della traiettoria.
Bourdieu mette in chiaro come “soltanto nell’esperienza immaginaria (quella del racconto, ad esempio), che neutralizza il senso delle realtà sociali, il mondo sociale ha la forma di un universo di possibili ugualmente possibili per ogni soggetto possibile” (2005: 101); nella realtà di tutti i giorni, sono le condizioni sociali, che stabiliscono la posizione di un attore all’interno di uno spazio, se non a determinare almeno ad influenzare fortemente la traiettoria dei singoli. La posizione sociale occupata nel futuro, pertanto, da un soggetto è connessa in
primis con l’habitus individuale ed in seconda istanza con “uno stato determinato
dalle possibilità che gli sono oggettivamente accordate dal mondo sociale” (ibidem: 102).
Ogni habitus, pertanto, è il risultato di specifiche e contestuali condizioni sociali, impensabile al di fuori di una determinata cornice strutturale: esso è un elemento contestuale, strettamente legato a specifiche condizioni sociali, ma, seppur governato da comunanze di classe o di campo, è influenzato e trasformato dall’esperienza dei singoli.
Le pratiche sociali, dunque, non solo sgorgano dall’habitus, quali epifenomeni, ma alla luce di quanto detto fino a questo momento, si comprende perché esse sono dei preziosi indicatori della posizione occupata dagli agenti nello spazio sociale.
Il limite nella produzione delle pratiche per ogni specifico habitus è legata al fatto che esso genera solamente quelle “ragionevoli e di senso comune” (Bourdieu 2005: 88), escludendo “‘senza violenza, senz’arte, senza argomentazioni’, tutte quelle giudicate ‘folli’ e tutte le condotte destinate ad essere negativamente sanzionate in quanto incompatibili con le condizioni oggettive” (ibidem: 89).
Ha senso affermare che “il rapporto con i possibili è un rapporto con i
poteri” (ivi). Il ventaglio dei futuri possibili, infatti, è dettato dal modo in cui gli habitus di gruppo governano la distribuzione dei distinti poteri (economico,
culturale, relazionale) e dal modo in cui i singoli capitalizzano al meglio tali poteri. L’habitus, dunque, non solo è un principio performante, ma agisce anche in senso distintivo, sottolineando la ‘naturale’ differenza da altri gruppi o classi: il ‘senso della distinzione’ (Bourdieu 2001) governa il rapporto tra gruppi, tra classi e porzioni di esse; grazie ad essa la classe dominante stabilisce un’etica del gusto e, per contro, le classi subalterne organizzano altrettante forme di resistenza, di opposizione o di emulazione.
Nella liturgia del gusto, pertanto, epifania dell’habitus, non solo si celebra l’incorporazione della divisione in classi sociali, ma si dichiara la propria
membership ad una specifica porzione dello spazio sociale.
La teoria dell’azione sociale di Bourdieu mira ad esplorare la complessità e la dinamicità dello spazio sociale, dimensione per eccellenza delle lotte per il potere. Ne La distinzione, in particolare, l’Autore ricorda come “il consumo dei beni culturali più legittimi rappresenti un caso particolare di concorrenza per accaparrarsi beni e pratiche rare” (ibidem: 100). Lo statuto di ‘bene legittimo’ è concesso ad un bene o ad una pratica culturale attraverso una, talvolta feroce, negoziazione all’interno della classe dominante, la quale è maestra “nell’arte di imporre le forme” (ibidem: 464).
Per Bourdieu, dunque, ogni pratica culturale (dalla lettura di un libro all’impegno politico) è connessa e data dall’associazione tra uno specifico campo ed un
determinato habitus; è segno del potere reale esercitato nello spazio sociale. Essa, perciò, va letta non in sé, ma in relazione alle altre pratiche che popolano lo spazio sociale, ed in funzione delle differenze e dei rapporti tra gruppi e classi. Ogni pratica culturale è traccia di un universo più complesso, ma soprattutto porta i segni delle lotte per la legittimazione consumate all’interno della classe dominante.68
La natura dinamica ed il carattere conflittuale dello spazio sociale rendono evidente il fatto che gli agenti non hanno sempre la medesima posizione all’interno di esso: in un dato momento storico ad ogni attore, infatti, si offrono molteplici traiettorie, tutte “ugualmente probabili, che portano a posizioni più o meno equivalenti” (2001: 112).
Bourdieu mette in chiaro come non si possa stabilire la posizione finale esclusivamente a partire dalla posizione sociale che un agente occupa all’inizio della sua esistenza, pur ribadendo come “la traiettoria tipica faccia parte integrante del sistema dei fattori costitutivi della classe” (ibidem: 112).
Oltre all’esperienza e ai vissuti dei singoli, in grado di influenzare la traiettoria individuale in modo non conforme rispetto alle previsioni ed alle aspettative, sono le trasformazioni sociali le responsabili prime dei cambiamenti più profondi nell’ordine delle traiettorie collettive.
L’Autore individua nello spazio sociale tre dimensioni: il volume del capitale, la struttura di quest’ultimo e l’evoluzione nel tempo di tali elementi. Le differenze fra gruppi e classi vanno, perciò, ricondotte alle “dimensioni complessive del capitale”, inteso “come insieme di risorse e di poteri effettivamente utilizzabili” (ibidem: 119): il capitale economico, quello culturale e quello sociale strutturano e diversificano le diverse posizioni sociali, gerarchizzandole.
Bourdieu intuisce che nella “convertibilità dei diversi tipi di capitale” risiede una delle poste in gioco fondamentali delle lotte tra le diverse funzioni di classe” (ibidem: 129).
68 Va, altresì, detto che ogni scelta di tipo culturale non può essere sganciata da una strategia
che prende corpo nel gruppo familiare, risultato delle diverse forme di capitale possedute dai membri. Scrive Bourdieu (2001: 111): “ […] l’effetto di assegnazione statuaria, che fa della politica un affare degli uomini, ha tante meno possibilità di esercitarsi quanto più è consistente il capitale scolastico della moglie o quanto più è ridotto a favore di questa il divario tra il suo capitale e quello del marito.”
Gli spostamenti all’interno dello spazio sociale (verso il basso o verso l’alto, o sullo stesso piano orizzontale, da un campo ad un altro) sono segno dell’esito delle traiettorie collettive e di quelle individuali. Grazie a tali processi, il capitale posseduto dai singoli agenti o subisce delle modifiche di tipo quantitativo – “negli spostamenti verticali, in cui si segnala un cambiamento nella struttura della distribuzione delle dimensioni complessive del capitale” (ibidem: 137) – oppure è suscettibile di riconversione, perché il passaggio ad un campo diverso da quello iniziale impone la trasformazione “di un tipo di capitale in un altro, o di un sottotipo di capitale economico o di capitale culturale in un altro” (ivi). Legato alle trasformazioni che interessano la gerarchia dello spazio sociale, il principio di svalutazione governa i flussi di riconversione del capitale rendendola, oltre un certo livello, poco conveniente.
Nell’intuizione di Bourdieu l’effetto collaterale della svalutazione dei titoli – “che procede di pari passo con la moltiplicazione dei titolari” (Bourdieu 2001: 152) – è dato da quella che egli definisce ‘traiettoria interrotta’ e che “fa sì che le aspirazioni […] disegnino al di sopra della traiettoria effettiva una traiettoria non meno reale”; nello specifico egli individua in essa una sorta di “speranza o di promessa tradite”, che possono condurre “verso le posizioni di tipo nuovo” (ibidem: 152-153).
Tale fenomeno si fa tanto più evidente quando i nuovi arrivati in una specifica posizione dello spazio sociale, avendo acquisito titoli di istruzione di livello superiore, influenzano in misura crescente la divisione del lavoro, soprattutto per quanto concerne quelle occupazioni non ancora ingabbiate nella “rigidità delle vecchie professioni burcratiche, ed in cui il reclutamento si fa ancora, per lo più, per cooptazione, cioè in base alle ‘relazioni’ ed alle affinità di habitus” (ibidem: 154).
Lo spazio sociale non solo si connota come luogo di conflitto, ma si manifesta come un contesto aperto al mutamento, alla destrutturazione e alla ristrutturazione, all’interno del quale trova espressione la creatività di quanti mettono in gioco tutte le strategie possibili per non subire un declassamento. L’analisi di Bourdieu conferma l’ipotesi relativa alle lotte per la distinzione consumate nel cuore della vicinanza sociale. La creazione di nuove occupazioni per i ‘nuovi arrivati’ risponde proprio all’obiettivo di tutelare questi ultimi dal
declassamento, provocato da una svalutazione del capitale in seguito all’aumento del numero di titolari dello stesso.
L’Autore pone, dunque, in evidenza la questione del mutamento, aspetto non marginale nel discorso sociologico. Egli ribadisce come l’innovazione non sia altro che la manifestazione più eloquente “del campo delle lotte […] in cui le posizioni e le prese di posizione si definiscono in modo relazionale” (ibidem: 162).
I processi innovativi, pertanto, vanno letti nell’insieme più ampio di “strategie individuali o collettive, spontanee o organizzative, miranti a conservare, a trasformare o a trasformare per conservare” (ibidem: 162). Come ne Il gattopardo di Tomasi di Lampedusa (1961), spesso il mutamento è tutt’altro che segno dell’avvenuta rinegoziazione delle regole tacite del gioco; nella maggior parte dei casi, infatti, esso rappresenta un complessivo assestamento degli equilibri passati su nuove posizioni.
Ad ogni azione innovativa da parte di un gruppo o di una classe, infatti, corrisponde una reazione, un’azione contrapposta da parte di altri gruppi, che di fatto annulla l’intento iniziale.
Rispetto a tale problema la conclusione cui giunge Bourdieu è molto chiara:
“La dialettica del declassamento e della riclassificazione, che sta all’origine di ogni genere di processo sociale, implica ed impone che tutti i gruppi interessati corrano nella stessa direzione, verso le stesse mete, le stesse caratteristiche, cioè quelle che vengono indicate loro dal gruppo che occupa la posizione di testa nella corsa, e che sono per definizione inaccessibili agli inseguitori; perché, quali che siano in sé e per sé, esse sono comunque qualificate e modificate dalla loro scarsità distintiva, sicché non potranno più
essere quello che sono, una volta che, moltiplicate e diffuse, diventino accessibili a
gruppi di rango inferiore.” (Bourdieu 2001: 168-169)
La possibilità di mobilità sociale riorganizza lo spazio sociale trasformando i rapporti di potere tra attori distinti: l’ascesa e il declassamento svelano le differenze insite nelle specifiche culture di classe, rivelando (attraverso l’habitus) come non tutto il capitale possa essere acquisito e convertito. La mobilità sociale, infatti, resa possibile dalle pratiche di acquisizione e conversione delle forme di capitale, svela in qualche modo l’arbitrarietà dell’habitus e ne traduce la grammatica di fondo.
Ne La distinzione, Bourdieu mette in luce come al di là delle nuove posizioni di status acquisite grazie al processo di mobilità sociale, sia il ‘gusto’ (e, nello specifico, il gusto culturale) il rivelatore più veritiero della provenienza di classe. Traccia inconfondibile dell’habitus, il gusto è la discriminante sociale attraverso la quale si esprime la distinzione, sia nella distanza che nella vicinanza sociale.
La dimensione simbolica media e sublima di fatto la lotta tra attori, gruppi e classi, tuttavia è nella classe dominante che si consuma il conflitto simbolico per eccellenza: la posta in gioco, in questo caso, è affermare la forma culturale attraverso la quale andranno calibrati i rapporti tra posizioni distinte del campo sociale. Decidere se è il denaro, la cultura o la rete di conoscenze la forma legittima di misurazione del potere spinge a lotte intestine in seno alla stessa classe dominante.
L’esito della lotta determinerà le regole che dovranno disciplinare l’intero spazio sociale: capitale culturale, economico e sociale sono, dunque, distintamente principi organizzatori, principi generatori della riproduzione.
La trasformazione delle relazioni all’interno dello spazio sociale, inoltre, può aver luogo a patto che gli attori delle frazioni sociali dominate non entrino nella lotta tra classi in “ordine sparso, cioè con azioni e reazioni che si sommano soltanto statisticamente, […] al di fuori di qualsiasi interazione e di qualsiasi transazione, […] al di fuori di qualsiasi controllo collettivo o individuale” (ibidem: 171).
L’insuccesso, pertanto, sarebbe in qualche modo offerto dal fatto che – obbedendo alla logica della concorrenza – i soggetti dominati non fanno altro che ‘farsi imporre’ dalle classi dominanti un tipo di lotta ‘solitaria’, viziata già all’origine e dall’esito già scontato.