3 Dinamiche migratorie
Grafico 2.8 – Distribuzione territoriale delle seconde generazion
5. Donne migranti: pedine o protagoniste?
5.1. Reinventare per reinventars
Ho già accennato in precedenza alle dinamiche messe in moto in vista dell’adattamento, soprattutto da parte delle famiglie migranti.
Nello specifico, la rinegoziazione dei significati investe le sfera delle tradizioni e quella delle appartenenze, esplicitandosi come risorsa agita dai gruppi e dalle unità familiari per intrecciare edito ed inedito, novità e patrimonio culturale. La tessitura, dunque, dà luogo a forme di mediazione, che si manifestano come autentica risorsa di senso nell’epoca del pluralismo e della complessità.
In altri termini, ciò dà ancora più corpo alla tesi che le famiglie migranti e i gruppi su base etnica non esprimano un sistema coeso e coerente di significati, ma siano protagonisti e testimoni di una dinamica creativa che li pone come ‘manipolatori’ di credenze, capaci di costruire architetture nuove di significato utilizzando quanto già posseduto.
Anche per questa ragione i migranti sono l’epifania più espressiva dell’avvento di un tempo debito, di un kairós (Marramao 2005), in quanto assumono l’agire creativo come risorsa per la sopravvivenza in un’epoca di mutamento e di despazializzazione degli universi fisici e simbolici.
Porre l’accento sui meccanismi di innovazione culturale legittima l’ipotesi che i migranti oppongano resistenza alle dinamiche assimilazionistiche dello Stato- nazione per un verso e alle logiche di dominio del ‘sistema-mondo’ per l’altro, confutando alla base l’idea che li rappresenta come vittime e soggetti inermi.
Mi piace, altresì, sottolineare un’altra questione: la dimensione creativa dei significati apre ad una prospettiva relazionale, alla possibilità di negoziare, in seno alla dinamica situata dell’esperienza intersoggettiva, nuove forme di reciproco riconoscimento e di appartenenza.
Il potere relazionale, invisibile alla narrazione dello Stato-nazione, minaccia gli equilibri ‘dominanti-dominati’, rintracciando non nei singoli, ma nei gruppi la forza di resistenza. Esplorare, quindi, come le famiglie migranti e i gruppi si facciano interpreti e attori culturali è d’aiuto nel percorso di rinarrazione del fenomeno migratorio.
Alcuni approcci teorici (Scheller, Bosch e Blanc-Szanton cit. in Ambrosini 2005) sono giunti a formulare la tesi che i migranti siano portatori di “identità culturali fluide e molteplici che [essi] tendono ad assumere, in relazione ai diversi contesti con cui si confrontano” (ibidem: 44). In tale prospettiva il migrante è rappresentato “come attore sociale ricco di iniziativa e promotore di mutamenti economici, culturali e sociali” (ibidem: 45).
Il contributo offerto dall’analisi delle reti migratorie (Massey 1988) permette di osservare il fenomeno dalla prospettiva privilegiata delle relazioni e del capitale sociale, esplorando in essi un vantaggio in termini di acquisizione di uno status più elevato ed in vista della mobilità sociale. Nello specifico, Ambrosini (2005), richiamando un’ampia letteratura che si è occupata di tali questioni, mette in luce
come le relazioni sociali esercitino un’influenza notevole sui processi economici, fino a portare, per esempio, verso un’etnicizzazione di alcuni settori dell’intero mercato del lavoro.
Egli sostiene che tale fenomeno, prodotto tra i tanti delle dinamiche reticolari migratorie, esprima una forma pre-moderna di selezione della forza lavoro, nel quale le competenze esibite contano decisamente di meno rispetto al criterio di appartenenza ad un determinato gruppo etnico o rispetto al possesso di un nutrito capitale sociale.
I migranti, dunque, non solo sono degli straordinari creatori culturali (Griswold 2005), capaci di intrecci e abili nella mixité, ma essi esplorano anche forme collettive di resistenza: le reti sociali ne sono un chiaro esempio.
Le relazioni fungono da filtro per l’allocazione sul mercato del lavoro: le reti migratorie sono un riduttore della complessità derivata dagli stessi processi migratori. Come giustamente osservato, si tratta di una “regolazione microsociale, spontanea, largamente informale, esercitata dai network” (Ambrosini 2005: 84), che non fa altro che occupare gli interstizi di policies di inserimento poco efficaci nell’arginare il processo di brain wasting.
La critica che viene sollevata, tuttavia, riguarda il modo in cui l’influenza reticolare nel mercato del lavoro non faccia altro che accompagnare ad un periodo di vantaggio economico uno svantaggio legato al fatto che i settori lavorativi si etnicizzano, invischiando i percorsi di mobilità dei migranti.
5.1.1. L’ipotesi creativa
La sfida creativa si sviluppa nel momento in cui occorre far conciliare “pratiche tradizionali importate dai luoghi di origine e stili di vita appresi nel
nuovo contesto, che proprio nella famiglia danno vita a una molteplicità di
espressioni e di tensioni, producendo nuove forme di vita familiare” (Ambrosini 2005: 150). In tal senso il migrante e molto di più le famiglie migranti danno luogo ad “un’interazione dinamica tra dimensioni strutturali, aspetti culturali e scelte soggettive” (ivi).
L’ipotesi di Joas (1992), pertanto, prende abilmente corpo proprio nei vissuti degli uomini e delle donne migranti. In particolare, ricerche sul campo hanno confutato l’ipotesi che rappresentava le donne, interessate direttamente o indirettamente dal
processo migratorio, come l’anello debole, quelle che più di tutti sembravano subire “un regresso generalizzato nelle condizioni di vita, nell’autonomia e nelle opportunità di lavoro” (Ambrosini 2005: 151).
Nel percorso migratorio le donne non solo sono costrette a rinegoziare i ruoli di genere, sotto l’influenza di altri modelli culturali, ma si trasformano in agenti di un cambiamento che mobilita tutta la famiglia, divenendo “il perno delle strategie di mobilità sociale o di difesa dello status familiare” (Ambrosini 2005: 146).
Ambrosini, nel descrivere il protagonismo delle donne migranti, richiama la prospettiva dell’agency49, la quale va esplicitandosi su più livelli. In primis cresce l’autonomia delle donne che rimangono nel Paese d’origine, nella misura in cui sono costrette ad assumere la guida della famiglia, sostituendosi ai mariti che sono emigrati per lavoro. In secondo luogo, le migrazioni femminili, molto di più rispetto a quelle maschili, esprimono una precisa strategia familiare; pur rimarcando un legame con la famiglia che va perpetuandosi al di là del tempo e delle distanze, esse non ne rimangono schiacciate, perché grazie al viaggio acquisiscono un potere altrimenti impensabile. In terza istanza, la migrazione femminile – come già accennato – contiene un potenziale emancipativo che porta ad una negoziazione dei ruoli coniugali: le lavoratrici tendono a stabilire rapporti più cooperativi, a condividere potere, decisioni e attività” (ibidem: 147). Un altro elemento messo in luce da Ambrosini è il modo in cui l’inserimento lavorativo diventa leva essenziale per un accrescimento di status.
Esiste, poi, un’altra dimensione fondamentale: le donne, anche quando non occupano uno spazio pubblico, si fanno garanti della tessitura del legame sociale, svolgendo una preziosa funzione di mediazione all’interno del gruppo etnico o dello spazio reticolare di riferimento.
In ultima istanza, in linea con quanto appena accennato, è importante sottolineare il modo in cui le donne migranti, in contesti segnati da despazializzazione fisica e simbolica, sanno ricucire gli strappi della ‘doppia assenza’ (mantenendo vivo il
49 Per agency si intendono la possibilità e la libertà offerte a tutte le persone di desiderare
qualcosa che ancora non è dato e di lavorare per ottenerla calibrando gli obiettivi da raggiungere con gli strumenti a disposizione (su questo cfr. Sen 1994).
legame tra ‘qui’ e ‘altrove’) e favoriscono l’inserimento, la costruzione di reti amicali, senza tuttavia operare sradicamenti culturali.50