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Partecipazione politica e associazionismo: le trame della cittadinanza

3 Dinamiche migratorie

Grafico 2.8 – Distribuzione territoriale delle seconde generazion

5. Donne migranti: pedine o protagoniste?

5.2. Partecipazione politica e associazionismo: le trame della cittadinanza

In ragione anche del taglio specifico della presente ricerca, una riflessione a parte merita il discorso sull’associazionismo degli immigrati.

Va detto che in letteratura non è stato maturato un adeguato approfondimento in tal senso, a parte alcune ricerche orientate più che altro a leggere le dinamiche di partecipazione alla vita politica dei Paesi di arrivo.

L’attenzione al tema della partecipazione premia uno sguardo volto ad assumere come rilevante la dimensione ‘meso’ dei percorso migratori, privilegiando la traccia delle reti. In altre parole, tale weltanschauung si propone come sintesi tra “approcci strutturalisti (macro) e approcci basati sull’azione individuale e familiare (micro)” (Ambrosini 2005: 148-149).51

La prospettiva relazionale dell’associazionismo si profila come chance nel tentare di conciliare non solo due orizzonti analitici, ma anche due dimensioni distinte ma equamente significative del fenomeno migratorio.52

L’associazionismo, infatti, esprime sì la capacità dei singoli di connettersi, ricucendo le trame di un tessuto sociale sfilacciato dagli effetti della modernità e dalla despazializzazione dell’esperienza migratoria, ma contiene anche le istanze riflessive di un corpo sociale che tenta di governare la corsa del “mostro” (Giddens 1994: 138).

50 Scrive Favaro a tal proposito: “Sono le donne infatti che, per tradizione, educazione e saperi

sanno riallacciare, o mantenere, le fila della relazione affettiva, restituendo significato e valore a gesti e riti, reinterpretando le norme e le pratiche culturali nella vita quotidiana. Ruoli questi che assicurano, da un lato, il legame con il passato e con la storia collettiva e, dall’altro, integrano valori e comportamenti del presente, del qui e ora” (Favaro cit. in Ambrosini 2005: 148).

51 Tali prospettive, seppur identificabili all’interno di precise traiettorie analitiche che hanno il

pregio di mettere in evidenza questioni altrimenti inosservabili (gli squilibri sistemici per un verso e la creatività individuale per un altro), esprimono la fatica di riconoscere l’una la fecondità dell’altra. In un orizzonte sistemico, infatti, le scelte individuali vengono sminuite e soprattutto le scelte dei singoli sono percepite come proiezioni di opzioni che agiscono su scala globale. D’altro canto, la prospettiva azionista, valorizzando il protagonismo dei singoli, non riesce a scorgere come le traiettorie sulle quali essi si muovono in parte non siano altro che il risultato di dinamiche complesse che sfuggono al controllo dei singoli.

52 Nel tentativo di coniugare le “due tradizioni di pensiero” (Ambrosini 2005: 149) accoglierò

il contributo di Bourdieu (2001), il quale grazie alle intuizioni di ‘habitus’, di ‘capitale sociale’ e di ‘campo’ riesce a spiegare le forme di mediazione, tra azione e struttura, agite dai singoli.

Nel momento in cui i gruppi associativi operano sulla scena pubblica come mediatori di istanze tra pubblico e privato, tra i singoli e lo Stato, espletano la possibilità di prendere parte a dinamiche di governance. L’associazionismo migrante colma in qualche modo le lacune di un vuoto istituzionale e supplisce ad un bisogno di rappresentanza politica e di partecipazione.

Scrive Ambrosini:

“Gli immigrati, pur privi di rappresentanza politica elettiva, possono incidere sulle scelte politiche delle società riceventi e promuovere almeno parzialmente i propri diritti e interessi attraverso soggetti collettivi che concorrono, in contesti di pluralismo sociopolitico, ai processi di formazione delle decisioni, oppure si fanno carico della tutela delle persone che subiscono trattamenti ingiusti e discriminatori” (Ambrosini 2005: 219).

Il protagonismo in questo caso si esprime come richiesta di riconoscimento e di tutela, come contributo al governo di una polis che i processi di despazializzazione e di rispazializzazione rendono sempre più segnata dal pluralismo culturale.

La questione dell’associazionismo e della partecipazione coinvolge in modo diretto il nodo, ancora non sciolto, della cittadinanza dei soggetti migranti e dei diversi modelli d’inclusione.

Ho già messo in luce in precedenza come la questione della cittadinanza negata richiami in modo esplicito il tema della narrazione della nazione. La partecipazione da parte dei migranti alla vita di una comunità espugna ogni pretesa di narrazione solipsistica da parte degli autoctoni, contribuendo a svelare quell’‘arbitrarietà del segno’ di cui si è già parlato. Invocare il tema della partecipazione sulla scena pubblica attraverso la carta della società civile è un modo per dribblare il problema.

Enucleare istanze, elaborare risposte, progettare interventi: il lavoro delle associazioni di migranti si esprime in una costante decostruzione e ricostruzione dei presupposti del patto sociale. Il processo di dimenticanza (Bhabha 2001) così necessario al mantenimento dello Stato-nazione, dunque, viene soppiantato da un meccanismo di costruzione di una nuova cornice di significati che riassumono in modo nuovo l’ipotesi della cittadinanza.

5.2.1. Le formule dell’inclusione

Il conferimento della cittadinanza agli immigrati assume sfumature diverse a seconda della formula narrativa adottata a sostegno dello Stato-nazione e, in secondo luogo, a partire dal modo in cui viene declinato il processo di inserimento e incorporazione.

In letteratura vengono solitamente presentati tre distinti modelli di inclusione: temporaneo, assimilativo, pluralista (Ambrosini 2005; Pollini e Scidà 2002; Zanfrini 2004 a, 2004 b).

Il primo si esplicita nell’assumere il fenomeno migratorio come un qualcosa di episodico, che, funzionale a bisogni temporanei del mercato del lavoro, turba gli equilibri nazionali solamente in via transitoria. In tale prospettiva non solo è giustificata una “concezione chiusa, ‘etnica’ della cittadinanza, attribuita in base al principio dello ius sanguinis” (Ambrosini 2005: 209), ma è mal vista anche un’immigrazione di popolamento. Per tale ragione risulta quanto mai plausibile la difficoltà di acquisire lo status di cittadini anche per le seconde e terze generazioni.

In tale cornice istituzionale la narrazione della nazione è quanto mai abitata da significati, valori e credenze che enfatizzano una (presunta) omogeneità culturale: l’‘altro’, dunque, è qualcuno che è utile all’economia di mercato, ma turba la personale visione del mondo, la propria concezione di appartenenza.

La seconda tipologia – quella assimilativa – include la capacità del migrante di omologarsi alla cultura ospite e riconosce l’istanza proveniente dallo Stato di assumere come cittadini quanti vivono sul suolo nazionale.

Il paradigma politico nel quale ha luogo l’espressione di tale presupposto è quello repubblicano: la nazione è una “comunità politica, aperta all’ammissione dei nuovi venuti, a patto che aderiscano alle regole della politica democratica e adottino la cultura della nazione, intesa come ethos civico condiviso” (Ambrosini 2005: 209). In tale prospettiva ha ragion d’essere la spoliazione dei new comers dei tratti espliciti di appartenenza (etnia, religione, ecc…); in ogni caso quest’ultimi sono resi non visibili sulla scena pubblica.

L’esperienza francese è quanto mai esemplare. Sull’altare del patto d’uguaglianza sono, dunque, sacrificati i tratti specifici che potrebbero essere riconducibili a comunità diverse da quella nazionale. All’impossibilità di far fede ad un bisogno e

ad un’istanza di riconoscimento si accompagna il vantaggio di un processo di naturalizzazione relativamente agevole.

Il terzo modello (pluralista) opera facendo riferimento all’ipotesi di contesti sociali sottoposti in maniera irreversibile ai processi migratori e di pluralizzazione culturale.

La formula narrativa che sottende a tale cornice istituzionale si esplicita nel fatto che “la nazione non solo viene definita come comunità politica aperta a nuovi membri, […] ma si accetta la differenziazione culturale e la formazione di comunità etniche, sia pure all’interno delle regole democratiche” (ibidem: 211). In virtù dell’ipotesi narrativa sulla quale si regge, tale modello “punta a costruire un’organizzazione sociale di tipo pluralistico, valorizzando e sostenendo la formazione di comunità e di associazioni di immigrati” (ivi).

Ambrosini aggiunge che le associazioni etniche rispondono ad una domanda proveniente dalle istituzioni pubbliche e sono volte all’“erogazione di vari interventi sociali, che raggiungono gli individui per il tramite della collettività di appartenenza” (ivi).

L’esperienza associativa si consuma, pertanto, nel tentativo di trovare risposte concrete alle istanze provenienti dall’universo migrante in tema di cittadinanza. Elaborare risposte dal basso (in mancanza di un sistema istituzionale di garanzia, in tema di servizi assistenziali, sociali, educativi); esprimere nelle modalità di “voice” (Bagnasco, Barbagli, Cavalli 1997: 596-597) la rivendicazione ad una differenza o un bisogno di riconoscimento; lavorare alla tessitura di una rete formale ed informale che ricostruisca la percezione di una comunità, ‘diluita’ dal processo di despazializzazione: sono solamente alcuni dei luoghi di intervento del mondo associativo, lasciando intendere un fermento, al di là del fatto che la cornice entro la quale va esprimendosi sia governata da istanze assimilazionistiche o pluraliste.

L’associazionismo dei migranti assume volti decisamente eterogenei: un mondo cangiante a seconda dei ‘campi’ di azione, degli attori interessati, delle cornici politiche ed urbane entro le quali va sviluppandosi.

È possibile raggruppare il fenomeno in due macrotipologie: l’associazionismo ‘per’ i migranti, orientato all’aiuto e al sostegno di disagio sociale ed al recupero

di situazioni di marginalità; l’associazionismo ‘dei’ migranti, teso ad esprimere protagonismo e resistenza.

L’aspetto che mi interessa sottolineare in questo contesto è chiaramente dato dalle dinamiche partecipative messe in gioco dai migranti. Dopotutto il primo caso (l’associazionismo ‘per’ i migranti) rientra sempre nella narrazione dello Stato moderno, in quanto si enfatizza il carattere caritatevole di un welfare che, grazie all’intervento del Terzo Settore, opera a favore e a sostegno dei nuovi arrivati. Al di là, dunque, della pluralità delle esperienze associative, è interessante il modo in cui i gruppi si organizzano, occupando la scena sullo spazio pubblico, rivendicando il diritto a riscrivere la formula del patto sociale.

“Il lavoro mi stanca e il mare si ribella ai miei ostinati tentativi di capirlo. Non avevo pensato che potesse essere così difficile stargli davanti. E mi aggiro, con i miei strumenti e i miei quaderni, senza trovare l’inizio di ciò che cerco, l’ingresso a una qualsiasi risposta. Dove inizia la fine del mare? […] Sto qui, a un passo dal mare, e neanche riesco a capire, lui, dov’è.”

Alessandro Baricco, Oceano mare

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