4. La grammatica della riflessività
4.3. La narrativa delle narrazioni (e degli ascolti) possibil
A cosa è chiamata, dunque, la sociologia nella modernità radicale? Donati, riflettendo sul passaggio da una ‘sociologia moderna’ ad una ‘sociologia contemporanea’, prova a rispondere a tale interrogativo:
“Se la sociologia moderna è stata una maniera per comprendere, spiegare e in certo modo anche guidare i grandi cambiamenti sociali nel passaggio dalla società pre-moderna a quella moderna (industrializzazione, urbanizzazione, modernizzazione culturale e
mediatica, Stato sociale nazionale, ecc.), oggi questo modo di essere della sociologia perde di senso, perché la società moderna scompare sempre più rapidamente sotto i suoi occhi. La forza della sociologia moderna, in realtà, giaceva nei suoi presupposti culturali, di valore e di fede, propri dell’età premoderna. Ma questo la sociologia moderna non lo poteva vedere, immersa com’era in un ambiente culturale che essa non aveva creato. […] La sociologia contemporanea dovrebbe comprendere e spiegare i cambiamenti che portano dalla società moderna a quella trans-moderna. Ma è proprio su questo terreno che essa si arena. Sembra che non voglia o non possa farlo. Forse che abbandonare il terreno della modernità le sarebbe fatale? Sembra proprio di sì.” (Donati 2005: 220).
Se la crisi della narrativa dello Stato-nazione ha dato il via alla pluralità di narrazioni, per tutto il corso della modernità inibite o tacitate dalla egemonia narrativa delle grands recits, allora è pensabile che la missione della sociologia nell’epoca del pluralismo si espliciti nella capacità di ascolto delle narrazioni possibili, quale unica strada in vista della comprensione del mutamento in atto. Alla luce di quanto sostenuto, la prospettiva fenomenologica si prospetta come metodo di elezione per la lettura del pluralismo, vocata a dare voce alla complessità del reale.28
Genere, generazione, migranti, post-coloniale si traducono in feconde chiavi di lettura del mondo, offrendo di quest’ultimo sfaccettature molteplici, sgominando l’assolutismo della narrazione dello Stato moderno.
Tale assunto dà vigore all’idea che le letture fenomenologiche abbiano in qualche modo contributo a ‘sgretolare’ il mito della narrazione unica della prima modernità (Bhabha 2001), sul quale in parte si fonda l’idea di nazione emersa dalla prospettiva liberale.
La pluralità di narrazioni, dunque, è segno di quella narrativa della modernità radicale che fa riferimento ad un pluralismo crescente. Mentre, infatti, la narrativa della prima modernità è andata sviluppandosi a partire dalla costruzione del mito dell’organizzazione dello Stato-nazione e dalla formulazione e riaffermazione simbolica di tale presupposto, quella relativa alla modernità radicale si propone
28 Nell’ambito della sociologia comprendente, proprio per questo taglio riflessivo forte, si
segnalano due prospettive distinte: l’etnometodologia e la ricerca-azione. La prima si configura come possibilità di offrire ‘diritto di parola’ al reale: quest’ultimo, infatti, va letto e interpretato tenendo conto delle categorie analitiche dei soggetti interessati, attraverso un processo che assuma come rilevanti il principio di indicalità e quello di riflessività. La seconda prospettiva di ricerca, invece, nasce per rendere il contesto antropico esperto del mutamento, partendo dal presupposto che una sociologia eterodiretta esprime surrettiziamente le ipotesi di controllo dei dominanti. In tale orizzonte metodologico, i soggetti sono chiamati a prendersi carico di una capacità e di un sapere autoriflessivi: il mutamento nasce da un’esplorazione del sé, che si traduce anche nell’assumere ‘parola pubblica’.
come sguardo plurale su una realtà, che non è definibile più a partire dalle categorie dello Stato moderno.29
La tradizione fenomenologica aprendosi alla pluralità ed alla complessità del reale mette in crisi le istanze dello Stato moderno, sgominando l’assunto che donne e minoranze fossero “condannate all’invisibilità per mantenere viva la finzione di omogeneità” (Mernissi 2000: 22).
La narrativa che interessa la modernità radicale ruota proprio attorno alla volontà di rendere evidente l’arbitrarietà e la finzione dell’idea di omogeneità. La messa in crisi del mito dell’omologazione nasce non solo dall’emergere all’interno della sociologia di un approccio comprendente, figlio della tradizione fenomenologica ed ermeneutica, ma anche dal crescere del contributo offerto dai movimenti sociali, che, rendendo evidente la complessità del corpo sociale, manifestano il volto plurale della società.
La domanda di riconoscimento proveniente dalle diverse componenti del corpo sociale (donne, minoranze etniche, ecc…) dà voce ad un pluralismo, che, esplicitandosi attraverso una ‘parola pubblica’, diviene così gestalticamente rilevante. Assumere ‘parola pubblica’, dunque, viaggia lungo i binari dell’autoconsapevolezza; implica far leva sulle potenzialità di un corpo sociale che si espone alle possibilità di esplorare la propria eterogeneità interna.
La presenza, dunque, della società civile rompe la finzione dell’omogeneità della dimensione pubblica, affermando che quest’ultimo è uno spazio ontologicamente plurale.
Porre attenzione alle narrazioni implica assumere come centrale la questione relativa all’assunzione di “parola pubblica” (Fraire 2005), che, carattere riflessivo della modernità radicale, va esplicitandosi attraverso l’impegno attivo di movimenti, associazioni e gruppi, e il racconto di tali esperienze, delle motivazioni che le animano e delle weltanschauungen che le orientano.
In altre parole, rispondere alle istanze di riconoscimento provenienti da gruppi e minoranze implica scardinare alla base il paradigma dell’“harem occidentale” (Mernissi 2000), che inibisce la capacità di parola delle diversità,
29 Il territorio, per esempio, non può essere considerato un’adeguata unità di analisi, essendo
divenuto ormai rilevante la presenza di disomogeneità e di disarticolazione interna. Perde, infatti, di valore scientifico il presupposto liberale di comunità di uguali, un’“umma” laica volta a
imbrigliando quest’ultime nel presupposto di omologazione o nell’ipotesi che le vuole incapaci di sguardo altro sul mondo.
L’‘harem occidentale’, infatti, risponde esattamente ai canoni della narrazione della nazione, collocando così il diverso (la donna, lo straniero, la minoranza etnica, ecc…) al di fuori del quadro dello spazio pubblico, confinandolo così nella sfera privata.
Il silenzio delle diversità, dunque, ha accompagnato e sostenuto la vicenda della modernità incarnata nello Stato-nazione. Si è trattato di un silenzio che i totalitarismi del ‘900 hanno tramutato in mutilazione, negando al diverso non solo il ‘diritto di parola’ pubblica: obbligando quest’ultimo a portare il peso dello stigma e imponendogli persino il divieto ad esistere.
Come già ricordato, nella modernità radicale la sfera pubblica si trasforma in spazio dove la diversità assume ‘parola pubblica’. Tuttavia, occorre mettere in luce un secondo elemento. Il fatto che la diversità si appropri di uno spazio scenico non implica che ad essa corrisponda una dimensione di ascolto: la ‘parola pubblica’ non presuppone, infatti, un’interlocuzione. In altri termini, ‘pubblica’ non significa né ‘comune’ o condivisa, né tanto meno negoziata. Il rischio reale è che, dunque, nella tardo-modernità l’ossessione per la parola pubblica tolga spazio alla dimensione dell’ascolto, inibendo la natura intersoggettiva della costruzione di significati.
Sollecitare l’opzione delle narrazioni, dunque, va di pari passo all’educazione ed alla sensibilizzazione all’ascolto attivo (Sclavi 2000), che insieme perimetrano uno spazio in comune, ‘in-fra’ (Arendt 1994), il patto di una dimensione dialogica che si esprime come istanza di reciproco riconoscimento, come costruzione di cultura condivisa.
La sociologia, dunque, dopo il giro di boa segnato dalla svolta interpretativa, è chiamata a prendersi carico delle molteplici storie che intessono il sociale. La sociologia, dunque, per rimanere fedele alla propria vocazione riflessiva, è chiamata a riscoprirsi come inedita storyteller (Cavarero 2005). Nell’epoca del pluralismo, in un contesto segnato paradossalmente dal culto del privato e dalle molteplici ossessioni comunitariste, in una cornice in cui le narrazioni dei protagonisti della società civile (gruppi, associazioni, movimenti, ecc…) si fanno autoriferite e prive di interlocuzione perché agite nell’ambito di una prossimità senza interazione, la prospettiva più feconda per la sociologia
sarebbe forse quella di assumere l’ascolto come elemento paradigmatico, senza tuttavia considerarlo come momento ultimo.
Ricorda Cavarero che nella dinamica biografica la restituzione dell’altrui storia è necessaria quanto l’ascolto, perché permette di rivelare “il significato senza commettere l’errore di definirlo” (Arendt cit. in Cavarero 2005: 10), perché consente la “riappropriazione della propria storia di vita” (Steedman cit. in Cavarero 2005: 87).
Una sociologia che si apre alla dinamica narrativa, inoltre, fa spazio al principio femminino, che esprime nell’ascolto attivo e nella rinarrazione del potere di cura del legame sociale. Vestendosi con i panni di un ‘tu’ comprendente, la sociologia obbliga i protagonisti della società civile a rompere il cerchio dei rispettivi solipsismi, affidando a ciascuno la propria storia, rendendoli capaci di scorgere i tratti di una ‘cicogna’ – come nella storia di Karen Blixen (2003)30 – disegnata insieme ad altri.
30 Scrive Cavarero: “Karen Blixen racconta una storia che le raccontavano da bambina. Un
uomo, che viveva presso uno stagno, una notte fu svegliato da un gran rumore. Uscì allora nel buio e si diresse verso lo stagno ma, nell’oscurità, correndo un su e in giù, a destra e a manca, guidato solo dal rumore, cadde e inciampò più volte. Finchè trovò una falla sull’argine da cui uscivano acqua e pesci: si mise subito al lavoro per tapparla e, solo quando ebbe finito, se ne tornò a letto. La mattina dopo, affacciandosi alla finestra, vide con sorpresa che le orme dei suoi passi avevano disegnato sul terreno la figura di una cicogna. […] chi cammina sul terreno non può vedere la figura che i suoi passi si lasciano dietro, gli è necessaria un’altra prospettiva. Non a caso, colui che comprende il significato della storia è soprattutto il narratore che, tracciando la cicogna sul foglio,