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Seconda Parte Dentro la ricerca

5. Cultura e politica

5.2. L’associazionismo dei migrant

Le associazioni, portatrici – secondo l’orizzonte teorico dell’Autore – di un’istanza piccolo-borghese volta a riscrivere le regole del campo sociale, sono le forme attraverso cui si esplora e ci si riappropria del potere del simbolico.

Proprio alla luce delle dinamiche che governano tale sfera si possono leggere i diversi fattori che giustificano la fascinazione esercitata sui gruppi emergenti dall’associazionismo: nel caso studiato da Bourdieu si tratta della piccola

borghesia in ascesa; nello specifico della presente riflessione si tratta, invece, delle donne migranti impegnate ad ostacolare la ‘conversione’ delle traiettorie.

La pratica associativa, dunque, è un marchio distintivo; segna una differenza rispetto a quanti non possono ricorrere all’uso della dimensione simbolica, autentica fucina del potere.

Il gioco distintivo dei gruppi emergenti e, in questo caso, delle donne migranti impegnate in percorsi associativi si esplicita nella capacità di dominare la sfera simbolica su più livelli, dei quali l’enunciazione del discorso politico investe solamente un aspetto.

In linea con quanto sostenuto da Bourdieu in relazione alla piccola borghesia, nel processo di integrazione e di ascesa sociale gioca, perciò, un ruolo fondamentale la dimensione associativa, risorsa per la costruzione di nuove forme di cittadinanza.

Parafrasando quanto affermato da Bourdieu a proposito delle differenze riscontrate nei gusti, mi piace evidenziare nella pratica associativa un chiaro ‘gusto di lusso’, perché nasce proprio nel momento in cui ci si tiene a debita “distanza dalla necessità” (ibidem: 186).

Ricorda Bourdieu che il ‘gusto di lusso o di libertà’, infatti, è espressione del fatto di possedere un capitale: i migranti impegnati nella dimensione associativa, perciò, danno prova – quasi ostentandolo – che sono in grado di tener a distanza il bisogno, offrendo essi per primi, semmai, aiuto ad altri migranti (e di certo non essendone i destinatari).

Invertire la direzione dell’aiuto, infatti, nell’ordine del simbolico, richiama la condizione di privilegiati che si vive in rapporto alla maggior parte degli immigrati. Tale processo evoca quanto affermato da Bourdieu a proposito di quanti prendono in carico, nella funzione di rappresentanti sindacali, le istanze della classe popolare.

Dominare il bisogno e la necessità si esplcita anche attraverso le pratiche culturali ed il gusto. L’associazionismo, dunque, entra a pieno titolo nel gioco simbolico della distinzione per almeno due ordini di motivi: in prima istanza, esso ribadisce la possibilità di ‘perdere tempo’ (così come denunciato dai migranti giunti da poco nel nuovo Paese); in secondo luogo, esso, rivolgendosi primariamente all’aiuto, alla cura ed al sostegno degli immigrati neo-arrivati,

afferma la posizione di vantaggio sociale occupata da coloro che erogano tali servizi.

Non è, altresì, possibile parlare di associazionismo sganciandolo dalle implicazioni che riguardano il capitale sociale. Si tratta di una precisazione doverosa, capace di traghettare la riflessione sul ruolo agito dal capitale sociale (mosso attraverso le associazioni) nel più generale processo di inclusione.

Guardare alle associazioni a partire dalle teorie sul capitale sociale significa tracciare le prime differenze all’interno di tale multiforme universo. Alcune realtà (e, quindi, di riflesso i singoli membri di tali contesti) riescono a far capo ad un capitale sociale certamente più efficace: ciò accade quando il gruppo riesce a muovere un maggior numero di risorse (simboliche, culturali, economiche) perché muove un capitale sociale non solo ingente per il volume dei nodi e delle connessioni, ma anche perché esso riesce ad abitare spazi sociali molteplici. La capacità, infatti, da parte dei diversi membri e del gruppo nel suo complesso, di attivare spazi istituzionali differenti è indice non solo di apertura dell’associazione, ma è anche un elemento in grado di candidare quest’ultima come stakeholder, conferendole ruoli di mediazione e di rappresentanza.

La teoria del capitale sociale riesce a spiegare il meccanismo di auto- perpetuazione del processo migratorio, che continua a realizzarsi anche a fronte delle mutate condizioni strutturali che vanno ad interessare i Paesi di arrivo e quelli di partenza. Essa nasce, dunque, per dare conto delle risorse relazionali agite, in vista del benessere, dai singoli soggetti, dalle famiglie e dai gruppi. Applicata al fenomeno migratorio, tale teoria ha il merito di scardinare la narrazione del migrante messa in gioco dallo Stato-nazione, il quale lo rappresenta nelle vesti di individuo spoglio del suo potenziale relazionale.

Accogliendo tale prospettiva si fa luce sullo ‘spazio sociale’ dei migranti, sulle forme di costruzione e mantenimento del legame sociale, sulle dinamiche di ricreazione del vissuto comunitario, sulla possibilità di ricucire gli strappi di una doppia assenza.

I molteplici contributi che si sono sviluppati negli ultimi anni a partire dall’ipotesi teorica sul capitale sociale hanno fatto sì che nell’ambito dei

Grazie a tale prospettiva è emerso con chiarezza come a essere interessato dal processo non sia il singolo migrante, quasi schiacciato dal destino avaro di sistemi sociali locali provati dal giogo di politiche economiche globalizzate, ma reti e gruppi, famiglie ed intere comunità obbligati a rimettersi in gioco sulla scena globale.72

Rinunciare per lo studio del fenomeno migratorio, all’approccio neo-classico – fondato sull’ipotesi della rational choice del singolo attore – ed accogliere una prospettiva che premia l’agire delle reti implicherebbe guardare alle forme di costruzione e mantenimento di un sapere sociale, che si declina come capitale umano, relazionale, simbolico ed economico; significherebbe, altresì, assumere come fondante l’ipotesi che coglie nelle reti degli elementi al contempo strutturati e strutturanti, che offrono ai singoli ed alle famiglie stabilità (riducendo rischi e costi) e che, parimenti, influenzano le trasformazioni dello spazio sociale, governato non dal caos ma da movimenti organizzati di uomini e di risorse economiche.73

Tuttavia, sebbene la teoria dei network possa affascinare per le sue indubbie e inconfutabili qualità esplicative di un fenomeno complesso come le migrazioni transnazionali, va tenuto conto del potere e del ruolo agito dal capitale sociale in soggetti intenti in un personale e autonomo progetto distintivo.

La lettura che offre Bourdieu si sposa a pieno con la necessità di comprendere in che modo il volume e la composizione delle relazioni del singolo migrante fanno da sostegno al suo percorso migratorio, compensando in parte i limiti del processo di dequalificazione umana e professionale subita nel Paese di arrivo: un’adeguata

72 Ambrosini (2005) utilizza il concetto di capitale sociale per spiegare le dinamiche che

governano l’inserimento nel mercato del lavoro dei nuovi arrivati. In particolare si serve degli studi e delle riflessioni di autori del calibro di Portes (1998) e Marger (2001) per dimostrare il ruolo agito in tale processo di inserimento sociale dalle “risorse fornite dall’appartenenza a reti di relazione basate sulla parentela e la comune origine” (Ambrosini 2005: 57). Nello specifico, l’Autore spiega tale concetto pensandolo “rappresentato dall’insieme dei contatti e rapporti interpersonali utilizzabili dagli individui per perseguire le proprie strategie di inserimento e promozione” (ivi).

73 Molteplici contributi si sono concentrati sullo studio dei vantaggi e dei costi offerti dalle

dinamiche di rete nell’ambito dei processi migratori: basti pensare all’analisi dei processi di incorporazione che spingono i new comers verso nicchie di mercato caratterizzate da etnicizzazione (come per esempio il lavoro domestico per le donne filippine). La dinamica dei

network nel processo di incorporazione lavorativa per un verso facilita di molto il meccanismo di

incontro tra domanda ed offerta, ma per altri versi, poiché fa leva sull’etichettamento (e talvolta sulla stigmatizzazione), non fa altro che ostacolare il percorso di mobilità sociale, costringendo i soggetti migranti a rimanere intrappolati nelle maglie dei bad jobs.

rete, infatti, è garanzia nel processo di valorizzazione del capitale culturale e di quello simbolico posseduti.74

Il capitale sociale attiva la capacità di fronteggiamento dei singoli nel momento in cui i processi di despazializzazione e rispazializzazione (Giaccardi, Magatti 2001) impongono delle trasformazioni radicali nei vissuti quotidiani, sfidando l’unità dei

network tradizionali (le famiglie, le comunità di appartenenza, i gruppi). Il

singolo, attraverso la capacità di ricostruirsi una rete di riferimenti75, prende le distanze dal tentativo di conversione delle traiettorie collettive dei migranti, ostacolando la caduta sociale.

74 Bourdieu offre del capitale sociale la seguente definizione: “Le capital sociale est l’ensemble

des ressources ou potentielles qui sont liées à la possession d’un réseau durable de relations plus ou moins institutionnalisées d’interconnaissance et d’interreconnaissance” (Bourdieu 2006 : 31).

Tale prospettiva si distanzia da quella maturata da altri autori (Coleman; Putnam; Borghi 2006), tesi a valorizzare il carattere collettivo del medesimo.

75 Ambrosini (2005) spiega tale abilità dei migranti facendo riferimento a quanto individuato

nelle loro ricerche da Light e Gold (cit. in Ambrosini 2005: 82), i quali “rievocano in proposito l’antico termine cinese guanxi, che indica una relazione o un legame sociale”: nello specifico, con tale parola si intende la capacità di “costruire relazioni sociali vantaggiose, nel conservarle e poi nel richiamarle per avere aiuto nella propria attività” (Ambrosini 2005: 82).

“Volevo soprattutto scoprire il mondo. Sognavo, sognavo… Volevo volare, volevo andar via.” Amina

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