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L’esperienza italiana di fronte ai progressi internazionali nella lotta alla Tratta delle Bianche

C APITOLO III: I NTERNAZIONALIZZAZIONE DEL CONTRASTO ALLA T RATTA DELLE B IANCHE U N PROGETTO EUROPEO

6. L’esperienza inglese di fronte ai progressi internazionali nella lotta alla Tratta delle Bianche

6.1 L’esperienza italiana di fronte ai progressi internazionali nella lotta alla Tratta delle Bianche

Altrettanto abolizionisti erano i membri italiani, cui però mancava la forza dell’opinione pubblica. In Inghilterra Stato e NVA condivisero oneri ed onori, mentre in Italia ciò non poté verificarsi dato che sia lo Stato sosteneva la regolamentazione della prostituzione sia mancava un dibattito pubblico pervasivo così come in Inghilterra. Nonostante le divergenze d’opinioni in merito all’abolizione del meretricio, i membri italiani che partecipavano agli incontri internazionali non ricevettero indirizzi da parte del governo in termini di condizionamento delle loro impostazioni teoriche, potendo così autonomamente manifestare le loro idee. Cionondimeno il Governo appoggiò la partecipazione sia dei delegati alle conferenze sia dei volontari ai congressi e, ad esempio, nel 1910 finanziò con dieci lire il viaggio e il soggiorno di Ersilia Majno Bronzini a Madrid durante i giorni del consesso, dopo che ella ne aveva chiesto un sovvenzionamento136. Data la sostanziale autonomia che era lasciata ai membri del Comitato, i militanti poterono affermare le loro idee durante gli incontri. A tal proposito occorre specificare un elemento particolare su cui si focalizzarono gli italiani perché, come si vedrà, fu un tema ripreso anche all’interno della Società delle Nazioni. Come si è mostrato nel capitolo precedente, in Italia la lotta alla tratta delle bianche assunse le caratteristiche di una sorta di rivendicazione contro l’ingiustizia sociale. Si ritiene che se l’Inghilterra traspose a livello internazionale le proprie battaglia sulla libertà individuale e l’educazione, l’Italia presentà argomenti focalizzati sullo sfruttamento della donna lavoratrice. In sintesi, i rappresentanti italiani ne fecero un discorso di classe anche a livello internazionale. La chiave interpretativa fornita dagli italiani sosteneva che la lotta alla tratta delle bianche fosse un mercato che traeva vigore dallo sfruttamento delle donne e delle minori povere che, per un ricatto di tipo economico e sociale, divenivano oggetto dei trafficanti dopo essere state sfruttate sul luogo di lavoro o essere state sedotte da promesse lavorative inesistenti. Questa teoria fu rimarcata non solo ai congressi internazionali, quando a prendere la parola erano i volontari, e nel caso specifico dell’Italia, le militanti milanesi; fu anche durante le conferenze che la teoria fu

136 Relazione del Comitato italiano contro la Tratta delle Bianche per gli anni 1910-12, a cura di Comitato Italiano

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espressa137. Il governo italiano, come prassi, quando doveva nominare i suoi delegati, coinvolgeva anche il Comitato Nazionale al fine di convergere su di un medesimo delegato condiviso, oltre al Paulucci di Calboli138. Per le Conferenza internazionali il nome espresso fu quello di Giulio Cesare Buzzati, membro del comitato nazionale e professore di diritto, non è un caso, internazionale139. Durante gli incontri, Buzzati sostenne che fosse la “donna lavoratrice” l’unica vittima dello sfruttamento sessuale. Come si è scritto nel capitolo precedente, l’attenzione a questo tipo di dinamiche sociali comportò per il caso italiano una focalizzazione nei confronti dei traffici interni. Nella Penisola, essendo caratterizzata da spostamenti interni di donne e uomini che dalla campagna si spostavano nelle città, o da una Regione ad un’altra, per cercare un lavoro, si assisteva a ragazze che rimanevano prima senza tutele e in balia di persone a lei sconosciute, che le rendevano vittime. Occorreva, secondo Buzzati, monitorare il traffico di donne non solo quando si esercitava da uno Stato ad un altro, ma anche quando era compiuto entro i confini di uno solo140. Il ragionamento del giurista italiano ricalcava le parole di Ersilia Majno Bronzini quando, così come si è visto nel II capitolo, sostenne l’esistenza di una «grande Tratta e piccola Tratta», ovvero un mercato internazionale e uno italiano, aveva in mente la situazione delle giovani italiane che arrivavano nelle grandi città pensando di lavorare nelle fabbriche e come domestiche. La miseria del salario o le violenze perpetrate contro loro dai “padroni” finivano per indurle alla prostituzione nei bordelli come “schiave del sesso”. Il Buzzati parlò – e il suo voto fu accolto dai riuniti alla Conferenza – di una Tratta nazionale che rendeva vittime le donne più disagiate141. Per tale ragione, pur riconoscendo la necessità di una distinzione giuridica tra vittime di minore età, anche se consenzienti, e le adulte, sostenne che doveva esservi «un elemento punibile anche nell’atto di chi contribuisse a rendere più facile l’esercizio del meretricio alle maggiorenni» seppur senza violenza o frode142. Costoro erano, appunto, i datori di lavoro, i direttori delle fabbriche e tutti quelli che, più in generale, sfruttando la manodopera femminile, riducevano in condizioni di

137 Si fa riferimento ai discorsi tenuti da Gemma Muggiani e Giulio Cesare Buzzati durante i Congressi e le

Conferenze, ma anche alle teorie espresse da Ersilia Majno Bronzini nel 1910 a Madrid. Si vedano i discorsi pronunciati dai tre militanti trascritti e contenuti in CNTB, Incontri Internazionali, 1900-1913.

138 La notizia è contenuta nei documenti presenti nella sezione appena citata degli Incontri Internazionali. 139 Ibidem.

140 Ibidem. 141 Ibidem. 142 Ibidem.

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disagio economico e sociale la donna, ponendola di fronte a una sola apparente via di fuga: il meretricio. Al congresso di Zurigo, nel 1906, Gemma Muggiani ribadì il concetto con ancora più energia. La militante lombarda dell’Unione Femminile e del Comitato contro la Tratta, ammonì il consesso riunito dell’International Bureau:

non credano di avere esaurito il loro compito con lo studio delle leggi internazionali e delle prescrizioni poliziesche contro il commercio di creature già corrotte. Il loro più vasto e più proficuo campo d’azione è bensì quello di escogitare i mezzi onde prevenire il doloroso fatto che delle umane creature debbano subire l’obbrobriosa sorte di vendersi per dura, ineluttabile necessità. Col miglioramento della posizione sociale della donna lavoratrice e della condizione della classe lavoratrice in genere e soprattutto con una migliore educazione fisica e morale della gioventù potrà venire diminuito il ributtante fenomeno della prostituzione chiamata con imperdonabile cinismo, una triste necessità sociale.143

Da queste parole si evince, innanzitutto, come prostituzione e Tratta delle Bianche si sovrapponessero nel ragionamento di Gemma Muggiani – e di tutto il Comitato italiano – in virtù della loro concezione di intendere la lotta al reato come una lotta delle più povere contro il ricatto sociale che ne determinava il loro destino. Inquadravano la mercificazione del corpo della donna come una “necessità” cui la prostituta era costretta a causa della povertà e degli altri aspetti legati al disagio economico, quali «la mancanza di abitazioni per il popolo, i rapporti fra serventi e padroni e la responsabilità di questi».

La controversia introdotta da Buzzati e Muggiani, in secondo luogo, dimostra come il criterio della consapevolezza della donna di divenire una vittima della Tratta fosse, fin dai primi anni della creazione dell’International Bureau, un fattore posto spesso in discussione. Anche laddove l’allontanamento dal suo Paese di origine fosse stato voluto dalla donna in accordo con il trafficante, tale esperienza si manifestava in tutta la sua drammaticità soltanto al momento di arrivo della vittima nello Stato straniero. L’ ignoranza e la mancanza di conoscenze basilari da parte delle donne invalidavano di fatto la pretesa di considerare la consapevolezza un alibi per i criminali.

Gemma Muggiani, al congresso di Francoforte, nel 1908, intervenne anche a favore dell’introduzione di un corpo di femminile coadiuvante la polizia, soprattutto nei casi in cui la ragazza straniera fosse posta in stato di fermo una volta giunta in un nuovo paese:

143 Relazione di Gemma Muggiani al Congresso di Francoforte del 1906 organizzato dall’International Bureau,

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il fatto che una ragazza si trovi anche per sole 24 ore al contatto ed in balia di soli uomini, può avere conseguenze irrimediabili ed è una vergogna pel nostro sesso. Per svolgere la sua opera in modo veramente efficace la donna agente di Questura non deve essere una volgare salariata, bensì una donna conscia della sua civile missione ed investita di ampia autorità. Questo personale esiste in varie città delle Germania e la sua attività vi è molto apprezzata. E qui nuovamente deploriamo lo sconcio che l’Autorità – che dovrebbe ovunque e sempre ispirare rispetto e dignità – le accolga in un lurido antro in stridente contrasto con le più elementari regole di igiene e di pulizia.144

Da queste parole emergeva la totale sfiducia da parte di Gemma Muggiani nei confronti della professionalità degli agenti di polizia e ipotizzava, per limitare l’abuso di autorità nei confronti delle prostitute o vittime di tratta, la creazione di un corpo femminile adibito ai controlli delle arrestate. L’assenza della donna poliziotto era, per la Muggiani, un grave segnale della «doppia morale sancita» nella società italiana. Indicative dell’arretratezza delle misure messe in campo dallo stato per arginare il fenomeno criminale sono anche le lamentele espresse da Ersilia Majno Bronzini, alcuni anni dopo, nel 1914 in un resoconto del Rapporto Annuale del Comitato contro la Tratta delle Bianche. In esso si poneva in evidenza come uno strumento volto ad una maggiore tutela delle minori fermate dalla autorità portuali in fragranza di reato, quale l’introduzione di un corpo di polizia femminile, già adottato da gran parte dei Paesi europei, ed

in primis la Gran Bretagna e promosso dall’International Bureau, avesse invece incontrato in

Italia forti resistenze. Ciò a cui il comitato aspirava era un maggior coinvolgimento nell’assistenza alle vittime del traffico che, comunque, dovevano essere sottoposte a fermo. In Italia l’intero procedimento era esclusiva delle forze dell’ordine.

il Comitato Nazionale ha potuto constatare per esperienza dalla sua opera:

che l’autorità di Pubblica Sicurezza è la meno adatta a compiere l’azione di vigilanza sul costume […] quanto di meglio possono fare i Comitati c.t.d.b. è di ottenere di partecipare all’opera della polizia, almeno per dare assistenza alle donne e minorenni arrestate. Se in altri Paesi questo è un fatto compiuto, in Italia, finora, nessuna donna è ammessa dalla Polizia a prestare un’opera qualsiasi, ad eccezione della donna incaricata di perquisire le donne arresstate, e qualche volta di accompagnare le minorenni al loro paese d’origine.145

144 Ibidem.

145 Relazione del Comitato italiano contro la Tratta delle Bianche per gli anni 1910-12, a cura di Comitato Italiano

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A livello nazionale però questi valori non ottennero successo e la battaglia internazionale alla Tratta non portò in Italia al rinnovamento culturale e politico ipotizzato dai volontari e dai delegati. La rappresentanza italiana non nutrì alcun timore reverenziale, ma al contrario dimostrò come tale palcoscenico le appartenesse e le fosse congeniale tanto da avanzare rimostranze circa l’esclusione della lingua italiana tra gli idiomi ufficiali del convegno.

Il comitato italiano dichiara che esso ha aderito alla Conferenza soltanto per l’alto suo fine umanitario, benché la lingua italiana non sia compresa fra le lingue ufficiali. Tutte le Associazioni scientifiche e sociologiche italiane, al pari del Governo, hanno da più anni stabilito il principio di massima di non prende parte ufficialmente a Riunioni internazionali che ammettano più lingue ufficiale (oltre quella locale o la francese) senza comprendervi la lingua italiana: analogia dichiarazione fu data dal Governo del Re all’epoca del Congresso di Francoforte sul Meno, ottenendo allora l’inclusione della lingua nazionale, ed il Comitato italiano ha ora visto con dolore che essa fu dimenticata dagli organizzatori della presente Conferenza.146

A dispetto della sicumera dei rappresentanti italiani a livello internazionale, in Italia il governo tardò a promuovere iniziative contro la Tratta. Tuttavia, le “pressioni” internazionali e l’attenzione dei volontari ebbero il loro effetto. Con il Regio decreto del 4 agosto 1913, «che da[va] piena ed intera esecuzione dell’accordo internazionale per la repressione della tratta delle bianche», si stabilì che la Pubblica Sicurezza si occupasse di perseguire il reato di Tratta delle Bianche

Sebbene il Governo non avesse creato un’Autorità Centrale adibita al contrasto del traffico, così come era stato specificato dalla Convenzione del 1904, riuscì comunque ad impostare una lotta nazionale precisa e che faceva riferimento a quella internazionale. «Il consenso unanime della filantropia mondiale», come ebbe a dire il capo della Pubblica Sicurezza Giacomo Vigliani, spinse l’Italia ad intervenire «contro i turpi speculatori» che praticavano la Tratta e che evocavano «il ricordo di un antica vergogna dell’umanità», ovvero la Tratta degli schiavi; dimostrando l’assenza di qualsiasi registro razzista, Vigliani disse che era giunta l’ora di fare ritorno nelle «trincee» per combattere la nuova forma di schiavitù, quella della «schiavitù d’amore»147. Nel 1913, la Pubblica Sicurezza ebbe l’incarico di occuparsi del reato di traffico

146 Relazione in merito al Congresso Internazionale contro la Tratta delle Bianche, in CNTB, Convegni. 147 Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, 4 agosto 1913, numero 181, pp. 5016-5018

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e il ministro dell’Interno stabilì che ogni prefetto nominasse in ciascun capoluogo di Provincia un funzionario incaricato esclusivamente di raccogliere quante più informazioni possibili sul reato. Per svolgere al meglio la sua attività, Vaglini caldeggiò l’idea di prendere in considerazione le associazioni private che sul territorio già erano presenti nella lotta al traffico e che ebbero il merito di essere «in prima linea» e di avere anticipato l’attività dei singoli governi che intrapresero la lotta «secondando le private iniziative».

Seppur meno attiva che in Inghilterra la lotta alla Tratta delle Bianche stava dando i suoi segnali, e si ritiene giusto specificare che fu proprio l’influenza di questi incontri internazionali ad avere spinto i legislatori a fare tali leggi148.