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La fenomenologia in pratica: da scienza eidetica a scienza empirica

La cornice teoretica ed epistemologica illustrata nel cap. 3 (L’orizzonte epistemico della ricerca: l’orientamento fenomenologico in prospettiva pedagogica), mi ha fornito gli assunti teorici per compiere la ricognizione empirica

e per analizzare la valenza educativa delle parole.

Mi sono stati di conforto in questa operazione l’esortazione di Roberta De Monticelli, secondo la quale la migliore introduzione allo studio della fenomenologia è quella di iniziare ad agirla (De Monticelli, 1998) e, sulla stessa lunghezza d’onda, le parole di Carlo Sini, secondo il quale “La fenomenologia è un esercizio ed un’esperienza che deve essere ‘vissuta in prima persona’, è una ricerca concreta che ognuno deve rifare per proprio conto e non un sistema concettuale” (Sini, 1965, p. 18).

L’esercizio pratico dell’approccio fenomenologico implica due passaggi chiarificatori preliminari: anzitutto la focalizzazione degli assunti teoretici in chiave operativa, aperta ad una rilettura critica con cui verificare se e a quali condizioni la fenomenologia come scienza eidetica possa configurarsi quale scienza empirica. Secondariamente occorre esplicitare i principi epistemici fondamentali desunti dal metodo fenomenologico che qui costituiscono il riferimento per conseguire una ricerca pedagogica affidabile.

In sostanza la questione è: la fenomenologia come scienza eidetica può essere considerata anche scienza empirica? Può essere assunta come una cornice epistemologica per una ricerca in grado di indagare la relazione tra soggetto e mondo? Relazione che è “fatta di strutture essenziali e condizioni di possibilità condivisibili intersoggettivamente pur nella variabilità delle esperienze individuali” (Sità, 2012, p. 15). E infine: l’epistemologia fenomenologica può costituire il fondamento della ricerca empirica educativa?

Nel fondare la fenomenologia come scienza eidetica, Husserl punta a cogliere le essenze di quanto accade ed è vissuto dai soggetti, essenze che sono da intendere quali strutture costanti e generali dell’esperienza. In questo senso la fenomenologia, come suggeriscono Gallagher e Zahavi, “non ha tanto come scopo la descrizione dell’esperienza in senso idiosincratico, del qui e dell’ora che ciascuno inevitabilmente esperisce, quanto piuttosto tenta di catturare le strutture stabili dell’esperienza” (Gallagher, Zahavi, 2009, p. 43). Strutture che individuano ad un tempo ciò che è essenziale di un’esperienza e le fonti di significato per come si danno in ciò che appare applicando la riduzione fenomenologica.

Come già avevano intuito gli strutturalisti, la struttura è la fonte del significato, che può essere colta mettendo fuori gioco le precomprensioni e le conoscenze anticipate. In questo modo si giunge al mondo delle invarianze, oggetto di studio della fenomenologia eidetica e obiettivo della ricerca fenomenologica. È possibile seguire questo stesso procedimento anche per indagini realizzate in ambito educativo?

La ricerca educativa, che ha le qualità di una scienza di esperienza, è interessata a cogliere la specificità di ogni situazione, i tratti unici e individuali di ogni oggetto (soggetto, relazione, situazione), ha a che fare con la realtà sempre mutevole e

imprevedibile del divenire; studia il fenomeno in sé, nella sua unicità concreta e irripetibile.

Dunque come conciliare la propensione della ricerca eidetica, tesa a cogliere nell’oggetto di studio le sue qualità ideali, e la ricerca pedagogica, che si interessa dei tratti individuali specifici con cui si presenta l’evento educativo?

Il punto d’incontro sta nella reciproca implicazione tra essenza ed esperienza, ovvero in quel mondo della vita, fatto di persone, situazioni, società, istituzioni,

artefatti umani… che costituisce la realtà quotidiana a cui la ricerca fenomenologica e la ricerca pedagogica guardano.

Le essenze infatti non esistono indipendentemente dal mondo e dal soggetto che le coglie, poiché, secondo l’orientamento fenomenologico, coscienza e mondo sono legati in un’unità strutturale. Dunque ricercare l’essenza significa anzitutto calarsi nell’esperienza, accoglierne le particolarità e l’unicità, ma anche intuirne la sua costituzione fondamentale e invariabile, che per Husserl rappresenta il fondamento ontologico delle scienze empiriche. Come spiega Luigina Mortari: “Cercare l’essenza significa andare oltre il contingente, la qualità unica e singolare di un fenomeno, per individuare i predicati essenziali. Il concetto di essenza è rilevante in ambito epistemologico, poiché cogliere l’essenza significa cogliere qualcosa d’essenziale” (Mortari, 2010, p. 145).

I tratti costitutivi (essenziali) delle pratiche educative, ovvero le invarianze, le qualità fondamentali che identificano un’esperienza come educativa sono individuabili attraverso la variazione immaginativa, identificando cioè le caratteristiche dell’oggetto di studio senza le quali l’oggetto stesso non si darebbe.

Seguendo l’orientamento fenomenologico, Piero Bertolini e Vanna Iori hanno focalizzato le condizioni che qualificano una relazione come propriamente educativa.

L’evento educativo si caratterizza anzitutto come “relazionistico” (Iori, 2000, p. 109), in cui educatore ed educando sono in una relazione di interdipendenza reciproca, implicati in un’intenzionalità educativa in virtù della quale si sincronizzano tra loro nell’individuazione di fini e valori generali o particolari da perseguire insieme (Iori, 2000, pp. 111-112; Bertolini, 1988, p. 130 e ss.). “Il valore pedagogico dell’intenzionalità configura la relazione educativa come una specifica modalità di rapporto intersoggettivo comprensibile nell’orizzonte di una prospettiva teleologica” (Iori, 2000, p. 127).

L’asimmetria, poi, struttura e dinamizza l’evento educativo, pur all’interno di una simmetria esistenziale umana e sociale (Iori, 1994) e si caratterizza per un “livello di contenuti (ciò che ognuno sa), di relazione (in base al ruolo che ognuno

ha), di interazione (ciò che ognuno fa)” (Iori, 2000, p. 116, corsivi nel testo).

La comunicazione costituisce il tramite fondamentale della relazione educativa, ed è sostenuta da una tensione progettuale, ovvero trasformativa della situazione iniziale (Iori, 2000, p. 117 e ss.).

E poiché l’intenzionalità si esprime “negli atti della trascendenza”, ovvero nell’insopprimibile volontà umana di dare un senso alla vita (Frankl, 1972; Id., 1983; Bertolini, 1988, p. 94; Id. 2001, p. 102 e ss.), l’essenza del fenomeno educativo si connota nella temporalità (Iori, 2000, p. 127), che, insieme alla dimensione spaziale (Iori, 1996; 1998a), costituisce da sempre un elemento fondamentale dell’esperienza educativa: “Benchè l’evento educativo sia sempre hic

et nunc ed esiga risposte immediate, che non possono essere rinviate (Bertolini,

1988, p. 148 e ss.), è nel futuro che in ogni caso si proiettano le finalità e gli obiettivi che muovono l’azione presente” (Iori, 2000, p. 128). Il sé, come soggettività propria, cioè come totalità vivente, è radicato in una dimensione storica – temporale e concreta – dell’esistenza e presuppone sempre l’alterità, non come estraneità contrapposta ma come condizione costitutiva, poiché il soggetto è generato e quindi caratterizzato da una relazionalità originaria. La sua costruzione identitaria e l’espressione delle sue potenzialità avvengono in una dimensione intersoggettiva che rinnova continuamente il dialogo tra identità del soggetto e alterità.

L’interazione educatore-educando punta infatti a superare la condizione deterministica di “fatticità” (Iori, 2006, p. 156 e ss.) e traduce la possibilità più propria dell’essere umano, il suo essere poter-essere-se-stesso (Iori, 2006 p. 156), consentendogli di rendersi libero per il proprio progetto (Bertolini, 2001, p. 150 e ss.), di scegliere e scegliersi, decidendosi per la propria esistenza (Iori, 2000, p. 137 e ss.).

Queste, in estrema sintesi, le qualità essenziali per cui un’esperienza può dirsi educativa, qualità che, come scrive Bertolini, vanno conosciute e poi poste tra parentesi perché la percezione, l’osservazione e lo studio dell’esperienza non ne siano condizionati. Così per ogni questione si ponga il ricercatore, impegnato a interrogare la realtà, ad analizzarla seguendo un metodo che garantisca di pervenire a conoscenze rigorose, “oggettive” e certe, pur limitatamente a quella situazione.

In questo modo è possibile cogliere la dinamica di un’interazione virtuosa e generativa tra scienza eidetica e scienza empirica, per quanto la fenomenologia non abbia assunto su questo punto una posizione esplicita e risoluta. Come infatti ha notato criticamente Luigina Mortari, “l’errore della fenomenologia come scienza eidetica è stato quello di non ammettere che a sua volta una scienza eidetica ha necessità dei dati forniti dal pensiero che sta nell’esperienza, i quali possono costringere ad una riformulazione delle determinazioni strutturanti una essenza eidetica. La conoscenza umana non sta scissa in mondi distinti: l’astratto e il concreto, ma costruisce il sapere attraverso una dialogica ricorsiva e cogenerativa fra i due campi del pensare” (Mortari, 2020, p. 155, nota 1).

Le scienze d’essenza forniscono gli strumenti concettuali con cui accostare l’esperienza, per mettere ordine nel pensare la realtà, ma si tratta appunto di strumenti che comportano una serie di accorgimenti metodologici. In questo modo si evita di scivolare nell’errore, più volte segnalato da Husserl (1965), di intendere il ritorno “alle cose stesse” come semplice esercizio di intuizione applicato all’esperienza, a cui ricondurre la fondazione della conoscenza. Né le essenze eidetiche né le conoscenze empiriche sono afferrabili mediante un atto di pura intuizione, poiché il sapere è sempre un’azione di co-costruzione e cooperazione

con la realtà, un lento pervenire all’elaborazione della conoscenza, che non si identifica con l’intuizione immediata. L’esperienza, come pure il conoscere che cerca di comprenderne la profondità e il divenire, accadono nel tempo e si costruiscono progressivamente. Per questo il sapere dell’esperienza a cui si perviene è sempre localmente e temporalmente situato.

4.2. Indagare l’esperienza attraverso l’approccio fenomenologico-eidetico e

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