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Il superamento della contrapposizione tra soggetto e oggetto

3.1. Perchè la fenomenologia?

3.1.3. Il superamento della contrapposizione tra soggetto e oggetto

Husserl vede nella storia della filosofia e delle scienze europee un occultamento di quella soggettività che la fenomenologia si incarica di riabilitare contro ogni possibile e pericolosa alienazione, promuovendo il dispiegamento della razionalità immanente la stessa soggettività, sottratta a forme dogmatiche di conoscenza. Come spiegano Costa, Franzini e Spinicci: nel pensiero di Husserl “conoscere significa rapportarsi alle cose, ma il nostro rapporto con ciò che è avviene necessariamente sul terreno della soggettività. […] gli oggetti in quanto sono

oggetti che in-esistono intenzionalmente nella coscienza” (Costa, Franzini, Spinicci, 2002, p. 59).

L’intenzionalità di cui parla Husserl nelle Ricerche Logiche (soprattutto nella V) è la tensione per cui un fatto di coscienza è “coscienza di” qualche cosa, vi si riferisce, pur non essendo tale cosa necessariamente reale o esistente. Tutti i vissuti che presentano questa proprietà essenziale si definiscono vissuti intenzionali, intenzionalmente riferiti a questo qualcosa.

Un oggetto, quale che sia il suo contenuto, come “accadimento psichico detto vissuto” o “esistente reale della natura detto oggetto”, non può che essere oggetto di una coscienza.

Dunque l’atto di coscienza non è pensabile e analizzabile se non in relazione all’oggetto, e l’oggetto non è pensabile che in relazione al soggetto, alla coscienza.

Non si dà realtà oggettiva senza un soggetto che la percepisca e percependola, la istituisca.

Se non ci fosse una tensione continua che dalla coscienza approda al mondo reale e concreto, non ci sarebbe correlazione tra io e mondo. Il mondo rimarrebbe un regno inesplorato e privo di inerenza con un soggetto che vuole conoscerlo. L’io rimarrebbe segregato nella propria chiusura solipsistica privo della possibilità di conoscere e di conoscersi.

In questo modo Husserl supera il dualismo di cartesiana memoria: “Soggetto e oggetto non sono due cose, sono una sintesi, una totalità” (Vanni Rovighi, 1958, p. 203). Sul piano dell’intenzionalità avviene la risoluzione della contrapposizione tra oggetto e soggetto; tale “sintesi” è costitutiva del piano conoscitivo, ma anche etico (Ferrarello, 2010).

In altre parole l’intenzionalità non è una attività di connessione col mondo che si aggiunge in un secondo momento a una coscienza che sarebbe già se stessa. Quando si dice che la coscienza è sempre coscienza di qualcosa non si fa che prendere atto di una struttura originaria dell’esperienza. La relazione intenzionale non si instaura a posteriori, non è da pensare nei termini di un “ponte” tra un “interno” psichico chiuso in se stesso e l’”esterno” della realtà.

Come scrive Di Martino: “Se l’intenzionalità è il titolo di una relazione originaria, questo significa che non vi sono ‘vissuti’ e ‘oggetti’ dapprima non-intenzionali che successivamente entrano in relazione e si coordinano fra loro, ma che tra mondo e coscienza di mondo, tra i modi di darsi delle diverse oggettualità e i modi dell’intendere soggettivo, tra il ‘come’ dell’intentum e il ‘come’ dell’intentio, tra il ‘noema’ e la ‘noesi’26, come anche li chiama Husserl, vi è per

26 Husserl chiama noesis l’atto della coscienza che si dirige verso l’oggetto e noema il modo in cui l’oggetto è presente alla coscienza. L’oggetto è il polo attorno al quale si vengono a raccogliere i noemi dei fenomeni soggettivi. Dedicato a questa declinazione dell’intenzionalità è la seconda Meditazione cartesiana, che ha come scopo quello di analizzare le strutture

così dire una coordinazione originaria, una indeducibile co-appartenenza, una connessione assoluta, una correlazione che non è istituita a posteriori, ma precede e consente qualsivoglia istituzione. È propriamente questo che Husserl nomina con ‘apriori universale della correlazione’. Ora, tale correlazione rappresenta la struttura stessa della manifestatività, giacché noi non abbiamo un altro mondo essente che quello che si manifesta e ottiene senso a partire dalle nostre manifestazioni e intenzioni” (Di Martino, 2007, p. 42).

Secondo questo ragionamento si può dire che la soggettività si concepisce come co-originaria al mondo, e quest’ultimo si dà come realtà istituita dalla soggettività, che non può quindi disattendere il mondo se non tradendo se stessa, venendo meno alla propria relazionalità fondativa.

L’intenzionalità, dunque, non è per Husserl una caratteristica psicologica della coscienza, non è descrivibile nei termini di un decorso psichico o di una proprietà di natura psico-fisica, ma rappresenta la struttura formale e trascendentale della relazione tra soggetto e oggetto, la proprietà essenziale generale della coscienza.

Questa dimensione trascendentale identifica la fenomenologia di Husserl come lo studio delle strutture essenziali che si rivelano alla coscienza. E a proposito di quest’ultima Husserl distingue tre significati del termine coscienza: il primo indica il complesso di quei fatti o processi o accadimenti (Ereignisse) che costituiscono l’io empirico, ovvero l’individuo psichico; il secondo indica una percezione interna, un “interno rendersi-conto (Gewabrwerden)”, l’accorgersi dei propri atti

trascendentali dell’intenzionalità, ossia appunto della coscienza in quanto “coscienza di”. Come scrive Diego D’Angelo nell’Introduzione a Husserl, Le conferenze di Parigi. Meditazioni

cartesiane: “Il primo ritrovamento fenomenologico, derivante immediatamente da una

descrizione immanente delle strutture di coscienza, è che l’ego cogito identico (in quanto polo di tutti gli atti), l’io penso, pensa qualcosa, è pensiero di qualcosa. La vita cosciente fluisce cioè in una sequenza di vissuti (Erlebnisse) che costituiscono il cogitatum delle singole cogitationes, ossia il “pensato” dei singoli “pensieri” – e “pensiero” significa in questo caso qualunque atto di coscienza, che si tratti di percezioni, giudizi, immaginazioni, e così via. Abbiamo dunque una triplice struttura del campo coscienziale: all’ego cogito si aggiunge il cogitatum. Da qui sorgono i due possibili indirizzi fondamentali dell’analisi fenomenologica: l’analisi noematica (dal termine greco νόεμα, il pensato, il contenuto del pensiero), che analizza appunto il “cogitatum” puramente in quanto esso è tale, e che dunque non è né l’oggetto mondano esistente realmente (nel lessico husserliano: real) in sé, né una sorta di “immagine nella testa”, ossia non è un contenuto psicologico reale (reell). D’altra parte, la struttura correlativa dell’intenzionalità di coscienza può dirigersi non solo verso i contenuti degli atti, ma anche verso gli atti stessi. In questo caso si parla di analisi noetica, cioè delle singole cogitationes (dei singoli atti di coscienza in quanto distinti l’uno dall’altro). Un esempio di analisi noetica è l’analisi dell’atto percettivo non in rapporto al suo contenuto (al fatto, cioè, di percepire un oggetto materiale, un essere umano ecc.), ma unicamente ad altri atti di coscienza, ad esempio distinguendo la percezione dal giudizio e dall’immaginazione. Evidentemente, lo stesso noema, lo stesso “pensato”, può essere il contenuto di diverse noesi, ad esempio un albero, una volta come albero percepito, l’altra come albero immaginato (D’Angelo, 2020, pp. 16-17).

psichici; il terzo indica la coscienza nel suo carattere intenzionale (letteralmente: “designazione comprensiva degli ‘atti psichici’ o dei ‘vissuti intenzionali’ di qualsiasi genere”) (Husserl, 2005b, p. 138).

La fenomenologia si occupa dei rapporti essenziali, vale a dire dei nessi di fondazione o, il che è lo stesso, delle relazioni necessarie tra coscienza intenzionale e oggetto intenzionato.

L’intenzionalità è il rapporto che la coscienza instaura con la realtà: “è ciò che caratterizza la coscienza in senso pregnante e consente nello stesso tempo di indicare l’intera corrente di vissuti come corrente di coscienza e come unità di un’unica coscienza” (Husserl, 1965, p. 209).

In definitiva, Come scrive Husserl nella prima Ricerca Logica: “tutti gli oggetti ed i riferimenti all’oggetto sono per noi ciò che sono solo in virtù degli atti dell’intenzionare, che sono da essi essenzialmente diversi e nei quali essi ci sono presenti e si trovano di fronte a noi appunto come unità intenzionate. Per la considerazione puramente fenomenologica non vi è null’altro che un tessuto di tali atti intenzionali” (Husserl, 2005a p. 308, corsivo nel testo).

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