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L’intenzionalità, motore di significazione

3.1. Perchè la fenomenologia?

3.1.4. L’intenzionalità, motore di significazione

I soggetti assegnano un significato ai vari eventi della vita quotidiana e al tempo stesso la loro coscienza subisce un'influenza da essi. In altri termini i soggetti intenzionano gli oggetti, gli altri soggetti e se stessi. È nel significato che si determina la direzione verso l’oggetto e ciò che dell’oggetto è propriamente inteso. Il significare è appunto un atto intenzionale, e i vissuti intenzionali sono gli atti in virtú dei quali qualcosa diviene oggetto per noi: l’aver senso delle espressioni linguistiche si accompagna al loro essere riferite a un oggetto. L’oggetto è colto e pensato a partire dalla relazione intenzionale (significante) che si dà negli atti della soggettività.

Husserl scrive di questo movimento nella sesta Ricerca Logica, dove spiega l’unità linguistica tra “espressione” e “intuizione espressa”. Questo uno dei passaggi centrali: “Quando un atto di intenzione significante si riempie in un’intuizione, diciamo anche che ‘l’oggetto dell’intuizione viene conosciuto mediante il suo concetto’ oppure che ‘il nome corrispondente trova la propria applicazione nell’oggetto che si manifesta” (Husserl, 2005c, p. 332).

Subito dopo il filosofo tedesco spiega come il “mero pensare” (il mero concetto, la mera significazione) si costituisce innanzitutto come “intenzione significante insoddisfatta”, che solo successivamente si aggiudica un “riempimento”.

“Il pensiero si arresta soddisfatto nell’intuizione del pensato che, proprio in forza di questa coscienza di unità27, si afferma come il pensato di questo pensiero, 27 La coscienza di unità si intende tra “riconoscimento” di quello che nelle pagine precedenti

come ciò che in esso è inteso, come lo scopo intellettuale che è stato più o meno completamente conseguito” (ivi, p. 333). Quindi il riempimento di un significante non è semplicemente dato dal significato che automaticamente vi è contenuto (che Husserl definisce come un “processo di autoriempimento” nel senso di un “inerte essere riempito”, una coincidenza statica tra pensato e riempimento, tra “oggetto intuito” e “denominato”, cfr. ibidem, “Nota aggiuntiva” pag. 334), ma presuppone una ricerca, una tensione alla conquista del riempimento che personalizza e avvalora i significati delle parole, una intenzionalità.

L’atto di riempimento è un atto mentale intenzionale. “Il pensiero (Gedanke) ‘concepisce’ la cosa, esso è il suo ‘concetto’” (ivi, p. 334).

Dunque l’atto mentale per Husserl è un atto conferitore o donatore di significato. Un proferimento linguistico in quanto tale non è un atto mentale: è l'essere informato da un atto mentale che gli conferisce significanza. Questo atto mentale conferitore di significato (o di senso) non sta dietro l'atto fisico di produzione delle parole, ma è frutto di una tensione, di una ricerca, che porta all’unità tra pensato e riempimento come risultato.

Non è la soggettività a creare il senso, per quanto senza una soggettività che lo persegua (come tensione dinamica), o che lo recepisca (come inerte recezione di significato generale), non si manifesterebbe alcun senso.

La costruzione di una conoscenza rigorosa assegna alla soggettività non tanto il compito della creazione di un significato, quanto l’intenzionalità di conferire ai fenomeni un senso. “Ogni vissuto intenzionale è caratterizzato da un aspetto soggettivo, e l’atto del pensare è inteso come atto intenzionale che conferisce senso” (Sità, 2012, p. 16).

Conferire alle cose un senso, permette di organizzare le singole sensazioni attorno a un significato. Questo, dunque, non è una costruzione soggettivistica. Il senso emerge all’interno dei decorsi fenomenici, e se c’è un decorso, ciò che decorre si lega e, legandosi, dà origine a dei legami. Questa capacità sintetica è ciò che permette al senso di apparire alla coscienza.

“L’intenzionalità è l’intuizione che vede e si raffigura qualcosa che non esiste e che attraverso le figure possibili che vede (possibili e non sempre realizzate nell’esistenza) dà un senso e un significato al discorso, alla scienza, alla vita. Senza l’intenzionalità e le figure proiettate dalla coscienza, scienza e vita sono prive di significato (e, infine, anche di valore) […] Intenzionare significa ‘andare oltre’, vedere qualcosa oltre la realtà vissuta, vedere una possibilità, intuire nelle figure l’essenza e il senso del mondo” (Sini, 1965, pp. 36-37).

Legare la formulazione del linguaggio, il conseguimento dei significati pur in una generalità di convenzioni, all’intenzionalità, significa ancora una volta portare al centro della realtà, della sua organizzazione e simbolizzazione, la responsabilità

del soggetto, che può collocarsi nel linguaggio (e nel pensato) in modo passivo e “inerte” o attivo e costruttivo (con questa prospettiva la ricerca husserliana pare recepire le ultime posizioni di Saussure28, che, dopo aver studiato il linguaggio come prodotto della simbolizzazione collettiva, ne rileva l’imprescindibilità dal soggetto che continuamente lo formula e lo attualizza, lo modifica. Qui avviene una svolta a cui si legheranno in particolare gli studi di Merleau-Ponty29).

Come sintetizzano Costa, Franzini e Spinicci: “le proposizioni sono unità linguistiche che ci parlano dei fatti del mondo solo perché constano di significati e solo perché i significati sono le forme determinate che consentono ai termini del linguaggio di intendere in vario modo gli oggetti.

La teoria del significato dovrà dunque legarsi fin da principio a una piú generale teoria degli atti intenzionali, stringendo in un nodo complesso linguaggio, pensiero ed esperienza percettiva – un nodo che siamo invitati a stringere riflettendo innanzitutto sulla possibilità che ha il linguaggio di dire proprio ciò di cui possiamo percettivamente prendere atto. E lungo questo cammino che dall’ontologia formale ci riconduce al giudizio e dal giudizio alle forme intenzionali del significare la critica husserliana alle interpretazioni psicologistiche della logica trova la via per riguadagnare il terreno della soggettività, anche se ora rivolgere lo sguardo al soggetto e alla sua esperienza non significa piú indagare la genesi psicologica dei concetti e delle regole di cui ci avvaliamo, ma descrivere il terreno che ci permette

28 Per quanto riguarda i rapporti tra Husserl e la linguistica strutturale, inaugurata da Saussure, alcuni studiosi affermano che, “se non si riscontra, almeno dal punto di vista storico, alcun contatto tra l’opera di Saussure e quella di Husserl, è altrettanto vero che è possibile rintracciare, invece, numerose convergenze, sia a livello storico che teorico, tra la fenomenologia husserliana e l’attività scientifica di Jakobson e degli altri membri del circolo linguistico di Praga, fondato nel 1926 dal linguista ceco Mathesius e considerato, insieme alla scuola di Copenaghen, il luogo in cui lo Strutturalismo assume la sua fisionomia più rigorosa e definita. È certamente Jakobson l’autore che, in misura maggiore,trapianta le istanze proprie della fenomenologia husserliana, e soprattutto delle Ricerche Logiche pubblicate nel biennio 1900-1901, sul terreno della nascente linguistica strutturale, tanto che è possibile collocare all’origine del pensiero linguistico di Jakobson, accanto all’opera di Saussure, proprio il testo pubblicato da Husserl all’inizio del secolo scorso” (Aurora, 2014, pp. 21-37). In particolare, oltre a condividere il medesimo contesto di emergenza e i principi chiave del paradigma sorto in opposizione all’episteme ottocentesca, i punti di contatto tra Fenomenologia e Strutturalismo novecentesco possono essere schematicamente ridotti, sulla scia di Holenstein, ai seguenti: l’antipsicologismo; l’idea di una grammatica pura universale e di una teoria delle forme; la teoria del significato; la costituzione intersoggettiva del linguaggio.

29Al termine dei suoi studi già Saussure arriva a superare la contrapposizione tra una lingua intesa come oggetto naturale in sé esistente ed esterno ai soggetti, e una lingua situata all’interno della coscienza. Su questo punto si innestano gli studi di Merleau-Ponty (il testo Corso di linguistica

generale viene in più circostanze ripreso e discusso dal filosofo francese), che In Fenomenologia della percezione, ma soprattutto negli scritti successivi, degli anni Cinquanta,

Merleau-Ponty affronta il linguaggio come gesto corporeo. Per la loro facoltà di essere corpo e al contempo emanazioni del corpo, le parole abitano ubiquitariamente i territori interiori ma anche quelli dell’interazione comunicativa.

di introdurli in modo esemplare, esibendoli nella determinatezza del loro senso” (Costa, Franzini, Spinicci, pp. 73-74).

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