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Parole “scelte”, che fanno bene

6.3. Aver cura delle parole nei contesti educativi e scolastici

6.3.1. Parole “scelte”, che fanno bene

La domanda tesa a saggiare il livello di consapevolezza dell’importanza delle parole nella costruzione di un “contesto relazionale”, ha registrato una serie di risposte convinte e risolute, ma in qualcuna anche prudenti. Scrive al proposito Roberta: “Tra parola ed educazione c’è una stretta correlazione, soprattutto in un contesto sociale difficile come quello in cui viviamo oggi. Si fa sempre più fatica nel trovare il valore e il senso della ‘parola’ stessa”.

Anche le altre risposte hanno evidenziato la rilevanza delle parole in educazione, mettendo in evidenza in particolare:

- la sua valenza comunicativa (Patrizia), performativa (Roberta: “La parola è parte integrante dell’azione educante”), espressiva (“...dei pensieri, delle idee e delle emozioni che voglio trasmettere”, Rossella), proattiva (“permette di realizzare un contesto educativo costruttivo e stimolante”, Patrizia), didattica (per insegnare consapevolezza e apertura, “Teresa”).

La funzione della parola si esprime a più livelli:

- come strumento per manifestare l’empatia e un’accoglienza non giudicante (Teresa)

- è fondamentale affinché il bambino possa esprimersi e costruire la propria identità (Roberta), possa partecipare, progettare, creare (Alessia)

- consente di instaurare una relazione di fiducia e di ascolto (Sara: “Le parole scelte dovrebbero sempre essere pronunciate con l’intento di infondere sicurezza, far sentire compreso e ascoltato l’interlocutore, che si tratti di adulto o bambino, affinché l’utente si ponga in apertura verso di noi”)

- trasmette coerenza (col linguaggio non-verbale e il para-verbale) e per questo “ è lo strumento principe dell’azione educativa” (Rossella)

- stimola e ispira (“Ha bisogno di essere interessante e coinvolgente, che sappia catturare la curiosità e stimolare la fantasia per creare una solida base per un ambiente dove ci si possa apertamente esprimere, dove il dialogo sia di ispirazione”, Anna).

Negli schemi che seguono si affronta il core del questionario: la parola che educa o “dis-educa”.

La parola educa... Quando... Ad esempio...

Patrizia Se condivisa Se crea interesse Se cura e rassicura Se rispetta

Nel dialogo e nel confronto È ascoltata Crea conforto Ci si relaziona Dibattito Comprensione Rapporto affettivo relazionale Patto educativo

Roberta Permette di mettersi in

relazione con l’altro

Creando dei legami costruttivi con altri individui (bambino-bambino;

bambino-insegnante)

Sara L’autostima

Il rispetto dell’altro

Infonde coraggio e stimola a provare

Aiuta a mettersi in ascolto dell’altro e a rispettare il suo pensiero

Bravissimo, hai visto che sei capace?

X si arrabbia con Y perché non vuole giocare a quello che lui ha chiesto: possiamo intervenire aiutando X a capire cosa vuole fare Y e

mettersi d’accordo su qualcosa che piaccia ad entrambi.

Rossella Se riusciamo a far sì che il messaggio positivo che stiamo veicolando arrivi chiaro e coerente

Il messaggio di cura, azione, contenimento, viene accolto e percepito correttamente

Anziché dire “Non correre”, esprimere lo stesso concetto riformulando la frase come “Vai adagio”

Rosanna È usata non per criticare

ma per aiutare a migliorare

Commento su un disegno:”Sei stato molto bravo a disegnare, ma la prossima volta prova ad aggiungere qualche particolare nel viso...”

Alessia È accogliente non ha pregiudizi è attenta è rispettosa è chiara è semplice Teresa Pensare provare

Sollecita il pensiero critico sollecita l’autonomia

Prova a pensare prova da solo

Anna Se fa riflettere e se insegna cose nuove

Viene ascoltata.

Si comunica da conoscenze già acquisite

Porre una domanda con più risposte valide. Insegnare la divisione come l’operazione contraria della moltiplicazione.

Concentrarsi maggiormente assieme su elementi più complicati e portare vari esempi concreti

Dalle risposte emerge – né poteva essere diversamente – come sia molto presente la dimensione sociale, collettiva dell’apprendimento: la parola educa quando apre all’incontro, alla condivisione, all’accoglienza. Ma accanto a questa accezione, vi sono risposte che guardano anche alla crescita delle competenze del singolo: la parola educa quando fa pensare, fa riflettere, invita a sperimentare, aumenta le conoscenze.

Interessanti poi gli accenni ad accorgimenti pratici per rendere la parola effettivamente educativa: innanzitutto deve essere percepita correttamente. L’insegnante deve verificare di aver stabilito una circolarità comunicativa che permette al bambino di ribattere o accogliere inviti e incoraggiamenti a partire dalla constatazione dell’avvenuta comprensione del suo messaggio. Secondariamente la

parola che educa cerca il positivo, enfatizza le risorse del bambino o le sue buone prestazioni prima di (e anche per) segnalargli le possibilità di miglioramento e (auto)correzione. Infine, la parola che educa (ma qui sarebbe più corretto dire insegna) “pone domande con più risposte valide”. L’esempio con cui Anna spiega questa affermazione fa pensare alla didattica disciplinare, ma è indubbio che l’indicazione vale per ogni problem solving: ognuno ha diritto – e dovrebbe avere la libertà – di scegliere il proprio percorso per conseguire comprensioni e apprendimenti, un percorso che tenga conto delle risorse ma anche dei limiti, della storia personale, dei ritmi individuali, della situazione contingente. È ancora il tema dell’originalità e dell’unicità violata, che ricorre. Come hanno messo in luce le insegnanti che hanno partecipato al focus group.

Parte delle risposte alla domanda successiva – che chiedeva di contestualizzare la parola educativa nel proprio ambito professionale (“E declinando la riflessione nel tuo ambito educativo/scolastico, quando la parola educa?”) – hanno confermato queste indicazioni: “La parola educa ogni volta che rispetta l’unicità dell’altro” (Patrizia); “Quando l’insegnante comprende la necessità di quel caso particolare e sceglie le parole giuste, con attenzione” (Sara); “Quando il messaggio positivo di cura, attenzione, contenimento, viene recepito e accolto” (Rossella); “ogni volta che si saluta un bimbo quando lo accogli” (Rosanna); “quando fa sentire importante il piccolo interlocutore (il bambino)” (Alessia).

Le altre risposte hanno messo l’accento sul coinvolgimento (“la parola educa quando coinvolge tutti in un apprendimento reciproco”, Roberta), quando si cura delle emozioni (“chiedi come sta un bambino se lo vedi triste”, Rosanna; “quando mette a proprio agio”, Alessia); quando svolge una funzione “maieutica”: “sollecita, stimola, consola e rassicura” (Teresa, Alessia), “corregge senza sminuire” (Rosanna); e infine quando si occupa anche del contesto: “quando si danno delle basi di lavoro con regole ben precise” (Anna).

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