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L’approccio fenomenologico e la complessità dell’evento educativo

3.2. Orientamenti di un’epistemologia pedagogica fenomenologico-esistenziale

3.2.1. L’approccio fenomenologico e la complessità dell’evento educativo

La pedagogia fenomenologica di Piero Bertolini, così come quella di Vanna Iori, costituiscono proposte di pensiero e di azione promettenti al fine di cogliere la

complessità umana, rinunciando a letture lineari che escludono contraddizioni e

ambiguità.

35 Primato della dimensione soggettiva e intersoggettiva, intenzionalità, esperienza vissuta, epoché, relazione empatica, ricerca di senso e tensione etica, a cui sono stati dedicati i paragrafi precedenti.

Anche Luigina Mortari evidenzia questo aspetto della pedagogia fenomenologica parlando del principio di complessità: “Non solo il mondo umano, ma anche il resto della natura per essere compreso chiede che si adotti il principio di complessità, secondo il quale, essendo il reale non comprimibile entro le logiche epistemiche ordinarie, compito del ricercatore è quello di superare certi schematismi e certi riduttivismi semplificatori innanzitutto rompendo con le spiegazioni lineari, la ricerca di prevedibilità e di generalizzazioni” (Mortari, 2003a, p. 37).

D’altra parte l’approccio fenomenologico si caratterizza proprio per una particolare attenzione alla complessità umana, essendosi posto da subito in dialogo in modo proficuo con i campi del sapere che si occupano del soggetto e che maggiormente resistono alle istanze riduzioniste, e avendo messo in evidenza le aporie cui conduce la pretesa di indagare la sfera umana applicandovi soltanto le categorie della misurabilità e della casualità deterministica (Sità, 2012, p. 14).

La complessità dell’evento educativo consiste nel fatto che che la soggettività umana, in quanto caratterizzata da dinamismo e discrezionalità (volendo evitare il termine, assai equivoco, di libertà) è costitutivamente aperta al cambiamento, al possibile, all’imprevedibile ovvero ad una molteplicità di incognite e variabili, e l’esito della loro combinazione non è prevedibile a priori.

In chiave pedagogica alla complessità umana corrisponde “l’educazione come sistema” (De Giacinto, 1977; Iori, 2000, pp. 109-111), aperta cioè ad un “sistema di sistemi”, “ipercomplesso” (Bertolini, 2001, p. 122), per “gli elementi che non sono né quantificabili né oggettivabili proprio in quanto rinviano direttamente alla soggettività dei suoi protagonisti e alla loro capacità di intenzionare” (ivi, pp. 122-123). E la postura che si addice allo sforzo di accogliere e stare in ascolto di questa complessità è la disponibilità alla problematizzazione, con cui è possibile tentare di comprendere e orientare l’esperienza umana.

“Della fenomenologia – scrive Bertolini – è corretto rivendicare una fondamentale capacità di problematizzare” (Bertolini, 2001, p. 32), con cui è possibile accostare l’evento educativo che per sua natura si caratterizza per “un alto tasso di problematicità” (Mortari, 2003b, p. 9), in quanto il soggetto umano si costituisce anzitutto come “problema vivente”, condizione ribadita anche dalla filosofa spagnola Maria Zambrano: “Tutta la vita si vive inquieti; nessuna vita, mentre la si vive, è calma e tranquilla, per quanto lo si desideri” (Zambrano, 1996, p. 80).

L’inquietudine di scoprirsi continuamente in bilico tra una gettatezza vincolante e l’aspirazione alla trascendenza, tra l’imprevedibile e l’autodeterminazione ci ricorda che “l’uomo è una creatura non formata una volta per tutte, ma neppure incompleta e con un limite stabilito. Non siamo stati terminati e non ci è chiaro che cosa dobbiamo fare per completarci […]. Siamo cioè problemi viventi, in un tempo

che non smette di passare e con un’esigenza urgente, anche se per nostra sventura può essere disattesa” (ivi, p. 84).

In risposta alla dimensione della problematicità, l’essere umano muove alla ricerca di orizzonti di senso e condizioni di vita via via più soddisfacenti ma che invariabilmente si rivelano caratterizzate da inquietudini e nuove criticità.

In questa tensione evolutiva ad essere “di più” (Freire, 2011, p. 73 e ss.), il soggetto fa esperienza del rischio, della fatica, della necessità di compiere scelte e selezioni, distillando ciò che più conta, e al contempo fa esperienza del proprio potenziale che si attualizza, di latenze che si rendono manifeste e dunque disponibili, di risorse che alimentano l’espansione del sé.

La progettazione esistenziale, di cui si incarica l’educazione, impedisce al soggetto di perdersi nel contingente, nella superficialità dell’inessenziale, nell’inautenticità del già dato.

La prefigurazione del possibile guida infatti l’orientamento educativo, il cui cammino è illuminato dalla speranza, che costituisce una delle strutture portanti della condizione umana (Borgna, 2005). Essa consente al soggetto di accogliere e superare il proprio limite, guardando oltre i confini dell’utilità e della necessità. “La speranza è la spinta vitale alla trascendenza, perché ogni inizio – di conoscenza, di pensiero, di azione, di relazione con altri – è sostenuto dalla speranza […] che è tensione all’ulteriore” (Mortari, 2002, p. 95).

La tensione all’ulteriore apre il tempo al futuro irrorandolo del desiderio di dare forma all’esistere, giustifica e sostiene la responsabilità di una ricerca di perfezione, sempre insoddisfatta e per questo sempre in atto (Pati, 2006).

Disporsi all’ulteriore – ciò che il pedagogista problematicista G. M. Bertin indica come “inattuale”36 (1977) – vuol dire dunque radicarsi nella condizione della ricerca come proprium dell’umano, resistere alla tentazione di indugiare presso

36 Il contributo pedagogico di G. M. Bertin, a supporto di un orientamento sostenuto dalla ricerca di significato, in grado di corrispondere all’intrinseca educabilità del soggetto umano, si declina come sostegno alla progettualità esistenziale, come rappresentazione e sperimentazione di possibilità esistenziali ancora da scoprire e del modo in cui l’educazione può promuoverle. Ciò che sostiene questa progettualità – suggerisce Bertin, seguendo il ragionamento di Nietzsche - è l’amore per il Possibile, per la perfettibilità, per il divenire autotrascendente. Esortazione che ognuno ha da rivolgere a sé e che più che mai costituisce l’essenza dell’educare, dove amare le possibilità evolutive dell’altro non significa ignorarne la condizione attuale, ma coglierne in filigrana il suo più alto compimento. Come scrive lo stesso Bertin: “l’idea pedagogica, in quanto tale, dev’essere inattuale: altrimenti non sarebbe idea, ma costume, prassi, ideologia. Inattuale nel senso nieatzscheano: nel senso che essa non coincide né deve coincidere (pur non necessariamente rifiutandole o svalutandole) con le tendenze prevalenti nel presente, con le motivazioni e le sollecitazioni che questo fa valere, con i suoi problemi più urgenti e manifesti. In quando idea, essa dà evidenza, in primo luogo, alle eventuali incongruenze, parzialità, unilateralità di tali tendenze, ed eventualmente ne smonta l’enfasi e ne denuncia la retorica; in secondo luogo fa valere (al loro interno o contro di esse) istanze alternative, misconosciute, conculcate, deformate o mistificate dall’attualità” (Bertin, 1977, p. 6).

confortanti quanto sterili certezze, confermare la condizione di essere interrogativi viventi, accettando l’inevitabilità di lasciarsi trapassare dalle domande.

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