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Immersi in un comune mondo della vita: la realtà intersoggettiva e l’empatia

3.1. Perchè la fenomenologia?

3.1.6. Immersi in un comune mondo della vita: la realtà intersoggettiva e l’empatia

costituisce come “universo” e diventa paradigma di tutti gli individui.

La fenomenologia di Husserl, mediante l’intuizione, si prefigge di giungere alla conoscenza intrinseca non solo della coscienza individuale, bensì anche di quelle degli alter ego che interagiscono con noi nei modi e nelle circostanze della quotidianità.

L’alterità si rivela così costitutiva della coscienza trascendentale, co-costruttrice di senso.

In questo modo Husserl pone i fondamenti metodologici non solo della coscienza individuale, ma anche della comunità universale. Il soggetto che esperisce il mondo, individuandone il senso (der Sinn), non è un demiurgo che crea oggetti o conferisce loro un particolare statuto ontologico, poiché essi esistono in virtù di un Leitfaden (filo conduttore) trascendentale che unifica la molteplicità delle coscienze.

La sfera della ragione viene così estesa dalla dimensione soggettiva a quella universale, dalla percezione immediata dell’altro alla conoscenza di un numero infinito di tipologie di altri ego31, con cui ci relazioniamo mediante modalità

differenti, tra le quali una delle più esperite è l’Einfühlung (letteralmente “sentire 31 Cfr. su questo tema l’approfondimento di L. Caputo (2012).

dentro”, tradotta anche con l’espressione “entropatia”, più comunemente “empatia”, meno frequentemente “immedesimazione”).

Nella V Meditazione cartesiana, Husserl giunge a delineare il tema dell’intersoggettività, con cui contrasta definitivamente il rischio di una costruzione solipsistica del sapere fondata sulla certezza di un Ego puro, ma singolare (Husserl, 2017).

Nelle Meditazioni che precedono la V, Husserl ha preparato il terreno metodologico e sistematico in cui si rende possibile (e necessario) superare la critica secondo la quale l’ego “trascendentalmente ridotto” sarebbe un solus ipse, ossia un soggetto trascendentalmente solitario senza possibilità di relazionarsi in alcun modo agli altri io, e, anzi, senza neppur poterli esperire (D’Angelo, 2020, p. 22).

L’ego della soggettività non scivola dunque in derive soggettivistiche e irrelate, poiché, pur “ridotto”, ottiene un accesso, radicato nell’esperienza originariamente intuita, all’altro io.

L’altro nella sua datità, nel suo modo di manifestarsi a me, si manifesta non come “cosa tra le cose”, ma come soggetto che ha un corpo con una coscienza trascendentale e con il suo flusso di vissuti (Leib). Questa corporeità viva, analoga alla mia, emerge ora propriamente come un altro io, ossia – essendo il risultato della riduzione trascendentale – come alter ego.

Costitutivo dell’Io è il suo rapporto con l’altro, soggettività e intersoggettività sono indissolubilmente unite.

L’ego trascendentale, che diviene conscio di sé stesso nella riduzione trascendentale, coglie se stesso sia nel suo essere proprio originario, sia nell’esperienza estranea dell’altro; quindi coglie già gli altri ego trascendentali (Husserl, 2017, § 62).

La possibilità del discorso scientifico in quanto basato sull’oggettività delle asserzioni e sulla pretesa di queste asserzioni di essere vere (valide) per tutti è giustificata fenomenologicamente dalla natura stessa del soggetto, caratterizzato dalla facoltà di entrare in una comunicazione intersoggettiva. “È infatti proprio questa oggettività ad essere resa possibile dall’intersoggettività trascendentale. Le affermazioni di un io isolato (si badi: non le affermazioni sull’io, ché queste hanno scientificità fenomenologica) su oggetti nel mondo sono infatti necessariamente relative a questo soggetto che le esprime, basate unicamente sul suo campo d’esperienza radicalmente individuale. Solo attraverso la possibilità di ‘mettere in comune’ le esperienze, ossia di comunicarle ad altre soggettività, è possibile giungere all’oggettività di queste stesse esperienze. La verità oggettiva è dunque intesa, in ambito fenomenologico, come ciò che è valido per tutti: l’oggettivo si basa sull’intersoggettivo” (D’Angelo, 2002, p. 28).

Husserl rifonda dunque l’oggettività su altre basi rispetto alla formulazione espressa dalle scienze esatte, senza rinunciare al principio del rigore scientifico. Oggettivo è ciò che è esperibile e dicibile identicamente da molteplici soggetti. La possibilità di una intersoggettività trascendentale permette dunque di giustificare un principio di oggettività della verità per tutti.

La fenomenologia di Husserl fornisce in questo modo una fondazione filosofica (ontologica ed epistemologica) alle scienze, ricorrendo alla funzione originariamente manifestante dell’intuizione (secondo la quale, come recita il “principio di tutti i principi”: “Nessuna immaginabile teoria può cogliere in errore nel principio di tutti i principi: cioè, che ogni visione originariamente offerente è una sorgente legittima di conoscenza, che tutto ciò che si da originalmente nell'intuizione, per così dire in carne ed ossa (leibhaft) è da assumere come essa si dà”; Husserl, 1965, § 24).

L’oggettività della verità è perseguibile da tutti i soggetti (e questo ne fonda l’universalità: è valida per tutti) poiché tutti, attraverso la riduzione fenomenologica, hanno accesso alla realtà per come essa si dà.

Tutti possono cogliere nei “fatti” l'essenziale mediante l'intuizione. Ogni fatto rivela così l'eidos, a cui perveniamo se ci liberiamo da ogni pregiudizio e se descriviamo quello che vediamo come lo vediamo.

La prerogativa dell’ego trascendentale di cogliere gli altri ego trascendentali e comunicare con loro, è possibile grazie all’empatia (Einfühlung), che a sua volta presuppone la corporeità (Leiblichkeit) inscindibilmente intrecciata con elementi culturali, con cui ogni soggetto costruisce la propria unicità (limitare la fenomenologia dell’intersoggettività husserliana alle dinamiche corporee significherebbe infatti farla risultare da meccanismi troppo “automatici”, mentre mediante l’empatia si danno le condizioni di possibilità di più alti momenti di intersoggettività32).

La modalità attraverso la quale facciamo esperienza dell'alterità è quindi innanzitutto di tipo corporeo, e avviene a partire dall'osservazione del corpo altrui e dei suoi movimenti: l'apparire del corpo fisico dell'altro all'interno del mio campo percettivo è una condizione senza la quale non avrei alcuna esperienza interpersonale.

Il ruolo del corpo nell’intersoggettività, mediante la quale Husserl fonda una nuova oggettività e persegue con sistematicità e metodo una conoscenza

32La complessità dell’empatia sta nel suo darsi attraverso percorsi che possono subire interruzioni, anche molteplici, già a partire dalla percezione e dal riconoscimento corporeo stesso. Nel processo empatico è sempre insito un elemento di armonia e di analogia, ma anche uno di rottura dell’accordo e della comprensione. L’empatia infatti non è un fenomeno semplice, al punto che Husserl stesso, in Logica formale e trascendentale, la definisce come un “enigma oscuro e tormentoso” (Husserl, 1966, p. 295). Il rapporto con l’altro dà vita a tutti quegli interrogativi che proprio la fenomenologia ha saputo formulare.

scientificamente valida, è pertanto centrale, e contribuisce al superamento del dualismo soggetto-oggetto di cui si è detto in precedenza. Osservando il corpo altrui, che richiama per analogia il mio, “avviene infatti una trasposizione grazie alla quale considero l'altro come dotato a sua volta della bilateralità delle cinestesi, ovvero della capacità di percepirsi sia da un punto di vista esterno, come soggetto, sia da un punto di vista interno, come soggetto senziente. Mentre il corpo dell'altro rimarrà sempre cosale, oggettivo - seppur portatore di vissuti, che però non potrò mai esperire da una prospettiva in prima persona -, il mio corpo non è solo osservabile dall'esterno, ma procura sensazioni di movimento interne, dette cinestestiche” (Bizzarri, 2015, p. 2).

L’altro, come essere psico-fisico separato da me, si presenta nella mia sfera percettiva e viene riconosciuto come alter-ego in base ad un’analogia, che si caratterizza prima di tutto come associazione passiva, come mero riconoscimento tramite rinvio tra il mio Leib e quello altrui (che intuisco nel suo Körper di cui ho percezione).

Lo sviluppo in senso dinamico dell’analogia porta Husserl ad affermare che l’empatia si fonda su concrete possibilità di partecipazione al punto di vista dell’altro (l’empatia rende possibile un incontro tra presenti viventi: l’altro è parte del mio presente vivente, ma rappresenta, a sua volta, un altro presente vivente), non solo in senso figurato o metaforico, ma in virtù di un corpo simile al mio.

L’empatia è, in definitiva, la presa di coscienza di una consonanza (Einstimmigkeit) circa ciò che appare, ovvero è la presa di coscienza del fatto che tutti abbiamo innanzitutto come riferimento la medesima Welt - la Welt è infatti una per tutti, è intersoggettiva – su cui si innestano vissuti di armonia o di rottura della comprensione.

L’empatia permette la percezione del vissuto della coscienza dell’altro, per quanto si tratti evidentemente di una percezione indiretta. L’oggetto dell’empatia, infatti, il vissuto che viene percepito non è presente “in carne e ossa” nel soggetto che lo percepisce (in questo senso non è originario), ma ha il carattere di “ri-presentazione”, come nel caso del ricordo e della fantasia.

Il soggetto percepisce l’altro mediante l’evocazione, la chiamata a sé di propri vissuti analoghi, consonanti a quelli che percepisce dall’altro. La ri-presentazione riguarda lo stato d’animo altrui con cui l’altro mi permette di partecipare al suo vissuto pur essendo estraneo. Si realizza in questo modo quello che Luigina Mortari descrive definendo l’empatia: “il lasciare il proprio essere vibrare dal sentire la qualità del vissuto dell’altro” (2015, p. 195).

Attraverso la ri-presentazione si attua la possibilità di cogliere l’essere umano, che si manifesta in una particolare dialettica di appartenenza/estraneità, per cui è simile a me, ma contemporaneamente è altro da me.

Il pensiero non può non correre a Edith Stein, allieva di Husserl, che nella sua tesi di dottorato affronta appunto il tema dell’empatia. Nell’atto empatico, sostiene Edith Stein, non si ha la presentazione di un mio stato d’animo, bensì la ri-presentazione dello stato d’animo estraneo (Stein, 2009, p. 147 e ss.).

Il vissuto intersoggettivo che si può sperimentare nell’atto empatico apre la strada all’incontro con l’alterità: il diverso da me. L’empatia è dunque quell’atto e quel vissuto che ci relaziona al mondo della vita (Leib) di cui parla Husserl, poiché ci fa uscire da noi stessi e ci fa cogliere ciò che accade nell’estraneità che in questo modo è data ed è preservata nella sua peculiarità.

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