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Fondamenti scientifici di una conoscenza che non estromette il soggetto

3.1. Perchè la fenomenologia?

3.1.1. Fondamenti scientifici di una conoscenza che non estromette il soggetto

teorie derivano da fatti empirici acquisiti mediante l’osservazione e l’esperimento (induzioni scientifiche), la misurabilità e la replicabilità. Sinonimo di conoscenza è il raggiungimento di un prodotto autonomo rispetto al soggetto che lo produce, che ha validità in sé, oggettivamente. Come scrive Chalmers: “La scienza si basa su ciò che è possibile vedere, udire, toccare; il pensiero speculativo, le opinioni personali o le preferenze non vi trovano posto poiché la scienza è oggettiva. La conoscenza scientifica è attendibile appunto perché oggettivamente dimostrata” (Chalmers, 1979, p. 13).

Questa concezione di conoscenza si fonda sul primato della ragione come strumento di intellegibilità del reale e come principio in grado di organizzare il mondo in un sistema governabile e prevedibile.

A partire da Bacone, dalla fisica galileiana, ma soprattutto con Cartesio, fino alla rivoluzione scientifica del XVII secolo, con le scoperte di Newton, l’oggettività si afferma e resta un valore fondamentale della scientificità; è perseguita come indice di conoscenza sicura, definitiva, incontrovertibile; e come tale continua a rappresentare un obiettivo non solo per le scienze naturali, ma anche per quelle umane (Iori, 1988, pp. 17-23).

Tale enfasi posta sulle scienze esatte come modello unico e assoluto di conoscenza scientifica, porta a trascurare il fatto che non esiste un solo metodo scientifico corretto in ogni tempo e per ogni oggetto di studio, ovvero che la costituzione di un corpus conoscitivo autonomo dal soggetto è insensato (e, soprattutto in alcuni ambiti di studio, impossibile). Oltre al fatto che il ricorso a schemi logici universali non coglie l’originalità dell’esistenza umana nella sua libertà, che solo se intesa come non riducibile a oggetto della ragione scientifica può essere difesa da pericolose manipolazioni della razionalità tecnica.

Queste posizioni si fanno strada con l’inizio del Novecento evidenziando l’inadeguatezza della ragione (o di questo concetto di ragione) a rendere conto della complessità dell’esperienza umana. Inadeguata si è rivelata anche la costruzione di sistemi ideali rigidi e astratti per comprendere l’esistenza, e il tentativo di leggere ogni sua manifestazione con schemi precostituiti.

L’esperienza catastrofica della guerra ha portato alla presa di coscienza definitiva della crisi europea e degli strumenti con cui governarla, evidenziando l’impercorribilità pratica delle sintesi logiche e ottimistiche dell’idealismo, così come ha reso evidenti gli esiti negativi di una politica di potenza all’insegna del progresso.

E tuttavia, per quanto il trionfo della ragione logica e tecnico-scientifica avesse condotto l’umanità in un vicolo cieco, sul piano scientifico resisteva il nesso tra

conoscenza-oggettività-esattezza-misurabilità matematica, con la conseguente squalificazione di altre possibilità di conoscenza non rinvenibili all’interno di un paradigma scientifico costruito su parametri numerico-quantitativi.

Sarà la decisa presa di posizione di Edmund Husserl a denunciare con particolare efficacia la crisi della cultura europea e i limiti di una concezione di ragione tecnico-utilitaristica incapace di cogliere la complessità del soggetto e la varietà delle sue dimensioni.

La fenomenologia di Husserl muove dalla preoccupazione che la scienza e la tecnica non perdano il fine delle loro operazioni, cioè l’essere umano, il suo bisogno di dare significato a ciò che fa, la sua ricerca di senso.

Lo schema classico di esercizio della ragione, procedendo per opposizioni, aveva cristallizzato la riflessione in dicotomie rigide e contrapposte, senza risolvere il rapporto tra il soggetto e il mondo, né tantomeno l’intrinseca ambiguità di questo rapporto (Merleau-Ponty, 2003).

La conoscenza scientifica non può mai astrarsi da quel mondo-della-vita in cui si realizza l’esperienza del soggetto; a maggior ragione le scienze umane, aventi per

oggetto di indagine il soggetto umano, non possono estromettere la stessa

soggettività o snaturarla riducendola a “cosa” (Iori, 1988, p. 17). Come scriver efficacemente Karl Jaspers, interrogandosi come filosofo e come medico, e mostrando l’efficacia pratica del riposizionamento proposto da Husserl: “Io sono un medico grazie alla mia competenza, e la competenza presuppone oggettivazione, l’oggettivazione distacco. Se questa oggettivazione è riferita all’uomo stesso, ecco che si pone la duplice questione di metodo: di che genere di oggettivazione si tratta qui?” e più avanti: “Solo la soggettività del medico è effettivamente in grado di venire incontro alla soggettività del malato. […] È vero che il soggetto, meglio, la personalità del medico al pari di quella del malato, sono essenziali nell’agire umano del medico, e che ciò va chiarito filosoficamente” (Jaspers, 1996, pp. 28-29).

Anche Vanna Iori, assumendo la prospettiva fenomenologica e declinandola in un orizzonte pedagogico, giunge a conclusioni non troppo distanti: “Un’epistemologia idonea all’indagine dell’umano mette in questione la pretesa ‘oggettività’ della conoscenza, e l’assurda estromissione del soggetto dalla scienza. Può il soggetto obiettivizzare se stesso? Può produrre quella scienza che lo oggettivizza? E, così facendo, a quale conoscenza di sé giunge? Ad un sé ‘cosalizzato’ attraverso uno schema di dati misurabili matematicamente, ad un sistema di leggi e verifiche che, paradossalmente, più risultano ‘scientifiche’ ed ‘obiettive’, più perdono di vista il soggetto come originario oggetto della loro ricerca” (Iori, 1988, p. 17).

Applicando il modello della conoscenza scientifica matematizzante al mondo relazionale, emotivo, psichico del soggetto, ciò che si perde è esattamente quello che si intenderebbe conoscere in modo certo e inequivocabile: quel mondo

soggettivamente esperito che si offre alla percezione come un fluire inesausto di senso, ovvero come un’illimitata possibilità di mondi che nessun sapere può

circoscrivere.

Pertanto se la conoscenza applicata all’umano vuole darsi uno statuto scientifico, può farlo solo preservando i significati delle percezioni e dei pensieri che intende spiegare. Mentre qualora la preoccupazione della scienza sia quella di giungere ad una quantificazione/misurabilità oggettiva dei fenomeni, libera dai limiti della soggettività, non può applicarsi all’umano che, per definizione, non può né escludere l’unicità/imprevedibilità di ogni essere, né fare a meno della soggettività del ricercatore.

Per contrastare un modello forte di sapere e di scienza rappresentato dal pensiero oggettivo, Husserl propone il ritorno “alle cose stesse!” (Zu den Sachen selbst!, Husserl, 1965, p. 271), riscoprendole nella loro “datità” originaria. Questo porta il padre della fenomenologia a recuperare la soggettività come valore nel processo di conoscenza e nella formulazione di un’idea di scienza non indifferente all’umano; di più: lo porta addirittura a formulare l’idea di un’etica come scienza (Ferrarello, 2010).

La fenomenologia di Husserl non è, dunque, un rifiuto della tecnica e delle scienze particolari, ma un monito affinché scienza e tecnica nella loro applicazione non perdano di vista l’umanità.

Il ritorno al soggetto è, per Husserl, ritorno al mondo dell’esperienza (Erfahrungswelt), dell’esperienza vissuta in prima persona così come essa si dà, antecedente ogni costruzione teorica filosofica, ritorno cioè al mondo precategoriale e al mondo della vita (Lebenswelt).

Questa concezione permette al filosofo tedesco di prefigurare una

oggettivizzazione di nuovo tipo, tesa a non neutralizzare né la soggettività

indagante, né quella dell’ “oggetto” di studio delle scienze umane. “La fenomenologia ci libera dal vecchio ideale obiettivistico del sistema scientifico, della forma teoretica delle scienze naturali matematiche, e ci libera perciò dall’idea di un’ontologia dell’anima analoga a quella fisica” (Husserl, 2002a, pp. 283-284).

Superare l’obiettivismo naturalistico consente di fondare una scienza che non esclude la soggettività dalla conoscenza, poiché da essa ha origine ogni comprensione e si compiono sempre nuove evoluzioni di senso (ivi, p. 286).

“Il metodo fenomenologico fonda così un rigore, una apoditticità ed una razionalità scientifica che non si esime dal problema fondamentale del recupero dell’oggettività e, insieme, restituisce alla scienza il suo oggetto” (Iori, 1988, p. 41).

La proposta di Husserl non si limita alla denuncia della crisi, ma suggerisce gli strumenti per il suo superamento e, ancor di più e proprio alla luce della crisi,

indica una postura etica per l’esercizio della ragione in una rinnovata idea di scienza, più responsabile del destino dell’uomo.

Si può dire, dunque, in termini molto generali, che la fenomenologia procede verso una “rigorizzazione” del campo di indagine della filosofia (Husserl, 2005c), sulla base di un nuovo criterio di scientificità, con cui cogliere la soggettività nel suo rapporto conoscitivo con il mondo. La “rigorizzazione” della filosofia implica per Husserl un ripensamento del problema gnoseologico, attraverso la definizione di una razionalità fenomenologica.

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