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I flussi migratori dopo il cambiamento di regime del

L’immigrazione rumena verso l’Italia

3.1. Cenni storici su una possibile “cultura dell’emigrazione”

3.1.3. I flussi migratori dopo il cambiamento di regime del

Questo capitale del “saper fare”, acquisito da un numero alto della popolazione rumena durante gli anni del regime comunista, potrebbe costituire un criterio per la selezione dei futuri migranti all’estero. Il carattere circolatorio dei flussi migratori dopo il 1990 è anticipato da questa prassi che i rumeni erano “costretti” ad adottare. I ritorni periodici nel villaggio “ne signifient pas un enracinement dèfinitif ou une baisse de la mobilité.” (Diminescu, 2003, p. 10-11) Certamente, non tutti gli individui che hanno avuto l’esperienza del “navetism” hanno intrapreso dei percorsi migratori all’estero, e probabilmente questa strategia di vita, motivata in Romania dalla situazione economica, non si prolunga all’estero grazie al “capitale migratorio” accumulato, ma sempre a causa delle scarse opportunità offerte dalle zone rurali.

Citando l’opinione di Von Hirschhausen (1998), Perrotta (2007, p. 133) parla del crollo delle grandi industrie rumene durante il periodo della transizione come causa della disoccupazione e dell’esodo inverso dei rumeni, dalle città verso le aree rurali. La perdita di una fonte di reddito (in seguito ai licenziamenti) determina, tra il 1990 ed il 1994, il passaggio di circa 500.000 lavoratori (il 5,8% della forza lavoro) dal settore industriale verso quello agricolo. A questa migrazione in senso inverso rispetto al periodo comunista segue una politica del nuovo governo rumeno di riduzione dei mezzi di trasporto che assicuravano il collegamento campagna-città. Questo provvedimento porta ad un isolamento della popolazione rurale, nonostante lo sviluppo di mezzi di trasporto alternativi, appartenenti ad iniziative private, e costituisce un forte impulso per la ricerca di altre opportunità fuori dal Paese.

Accanto alla ristrutturazione delle reti sociali e delle modalità di gestione del potere che aprono la strada ad un nuovo patriarcato si nota una crescente individualizzazione la cui principale manifestazione è la migrazione. I fenomeni sociali che preparano la rottura “rivoluzionaria” non sono condizioni sufficienti per innescare i cambiamenti successivi; nel caso delle migrazioni, ad esempio, sono le tensioni interne e le pressioni esterne, connesse alla perdita progressiva di possibilità di riscatto economico e sociale della seconda metà degli anni Novanta, che provocano migrazioni internazionali. (Sacchetto, p. 111).

Alla progressiva svalutazione della moneta rumena, alla disoccupazione diffusa e alla situazione di “povertà“ e di “povertà estrema” in cui vive una parte della popolazione rumena, si

aggiungono le risposte inadeguate o troppo lenti dei governi filo-comunisti che si succedono al potere, soprattutto riguardo i fondi allocati ai Piani Nazionali contro la povertà, le politiche per la gioventù, la ristrutturazione e la privatizzazione delle industrie statali fallimentari.

Come posizione geografica, la Romania si trova all’incrocio di culture e civiltà diverse, aspetto che trasforma questo Paese in un territorio sia di transito che di destinazione di numerosi flussi migratori extra-europei. Dana Diminescu, nell’introduzione alla raccolta di saggi sull’immigrazione recente dalla Romania (2003), propone la divisione dei flussi migratori dopo il 1989 in tre tappe distinte, anche se eterogenee al loro interno.

Una prima tappa, cominciata proprio nei primi giorni degli eventi del dicembre del 1989, quando alcuni paesi occidentali avevano temporaneamente aperto i confini per i “rifugiati” rumeni, ha una durata di circa quattro anni. Oltre alle persone che “scappano” dal Paese con l’intenzione di stabilirsi all’estero, i rumeni continuano, in questi primi anni confusi dopo la caduta del regime comunista, a praticare il “commercio transfrontaliero nella valigia” vendendo merci rumene nelle piazze ungheresi, turche e polacche. Ma, sostiene Dana Diminescu, la parte più visibile di questa fase della migrazione rumena è costituita dall’afflusso di “rifugiati politici” accolti dai paesi occidentali sullo sfondo dell’ambiguità politica del Paese. Fino al 1994, 325.900 persone provenienti dalla Romania hanno fatto domanda di asilo politico nell’Europa occidentale.

Altre tipologie di migranti sono, in questo periodo, i minoritari tedeschi i quali emigrano verso la Germania, e numerosi cittadini rumeni di origine rom, in cerca dell’affermazione di un’identità rom transfrontaliera.

Inoltre, i legami transnazionali sempre più stretti che le chiese protestanti rumene sviluppano portano a due fenomeni distinti. Da una parte, avviene la migrazione dei membri di queste sette verso gli Stati Uniti, l’Inghilterra, l’Olanda, da altra parte si sviluppano forme di commercio attraverso l’apertura di numerosi negozi di abbigliamento “second-hand”, che hanno tuttora un grande successo, essendo la merce importata tramite le filiere religiose.

Una seconda “onda” della migrazione dalla Romania si potrebbe individuare nel intervallo 1994-2000, quando la “malattia della circolazione” dei rumeni si amplifica, a causa dell’alto tasso di partenze illegali. Tale aspetto, considera Dana Diminescu, è la conseguenza della mancata tutela dei flussi migratori sia da parte dello stato rumeno sia da parte dei paesi di destinazione.

Questo periodo, che ho vissuto personalmente in Romania, è segnato da un tentativo di cambiamento di governo, fatto che suscita, nelle coscienze di numerosi rumeni, la speranza di un vero cambiamento a livello economico. Fino al 1996, il potere è stato monopolizzato, sotto forma di “comunismo con faccia umana”, come dichiarava spesso il Presidente della Repubblica, Ion Iliescu, da uomini politici filo-comunisti, refrattari alle riforme capaci di ristrutturare e di privatizzare le

grandi industrie statali ormai fallimentari. Nel 1996, i rumeni votano il cambiamento e al potere arriva Emil Constantinescu, leader democratico fino al 2000 quando come presidente viene rieletto Ion Iliescu.

Alcuni rumeni che avevano avuto, durante il periodo del Regime, l’esperienza del lavoro regolare in paesi come ad esempio l’Israele, ripetono il progetto migratorio per motivi economici sulla base di un visto di ingresso, per poi diventare degli “over-stayers”, restando per lunghi anni all’estero senza la possibilità di ritornare in patria in maniera legale.

Questa seconda fase dei flussi migratori dalla Romania è caratterizzata, in tutte le regioni del Paese, dallo sviluppo di una rete estremamente complessa attraverso cui i rumeni organizzavano le partenze più o meno clandestine all’estero. Intorno alle ambasciate di paesi come l’Italia, la Francia, la Spagna, l’Inghilterra, ecc. si erano formati dei “sistemi” clandestini che procuravano, in cambio di denaro (si trattava di cifre che giravano intorno a 25-30 stipendi rumeni di allora), dei visti turistici (per la durata di circa due settimane) in base a dei documenti personali autentici o falsi (anche questi reperibili un mercato clandestino). Anche se la letteratura sul fenomeno migratorio rumeno evita di menzionare questo aspetto legato ai flussi clandestini entro il 2001 è importante, a mio avviso, affermare la complicità delle rappresentanze diplomatiche occidentali in Romania all’esodo di “turisti” che tornano solamente dopo l’eliminazione dei visti d’ingresso a partire dal 2002. E’ sempre questo, comunque, il periodo in cui arrivano all’apice le partenze organizzate in base alla fornitura di “servizi” da parte delle “guide” che assicurano l’entrata illegale di migranti rumeni sul territorio degli stati europei di destinazione.

I paesi di destinazione rimangono, come fino a quel momento, la Germania (anche in base agli accordi firmati nel 1992 e 1999 tra i due governi riguardo alla migrazione per motivi di lavoro), la Francia, l’Israele, ma si orientano, sempre di più, verso la Spagna, l’Italia, l‘Irlanda e, fino ad oggi, verso il Canada e gli Stati Uniti (attraverso dei veri e propri programmi di lavoro temporaneo o di emigrazione permanente pubblicizzati intensamente nel Paese). Oltre ad un accordo ufficiale con l’Israele, la Romania avvia, entro il 2000, accordi con il Libano, assicurando un flusso di forza lavoro tra i due paesi.

Diminescu (2003) parla di un compromesso tra i paesi di approdo e i migranti rumeni in quanto, dopo circa dieci anni di “assalto” clandestino alla “fortezza Europa”, dopo centinaia di casi di espulsioni,

Les uns et les autres trouvent leur intéret: les migrants ont réussi leur insertion sur le marché du travail international, les autorités se contentent du caractère provisoire de leur migration. A cette situation d’armistice informel ont contribué de manière décisive, dans les sociétés d’accueil, les individus plus que les institutions. Chaque migrant a “son patron”,

“son Français”, “son Italien”, “son ami allemand”, qui la protégé, l’a introduit dans son réseau, lui a appris la langue de son pays, éventuellement lui a ensuite rendu visite chez lui dans son village, etc.

L’esistenza, presso i migranti rumeni, della figura di un “benefattore” autoctono, i rapporti di “amicizia” o di lavoro avrebbero facilitato la circolazione transfrontaliera, nonostante le restrizioni imposte dalle regole dello spazio Schengen.

Inevitabilmente, la terza tappa dei flussi migratori dalla Romania è legata all’avvicinamento della Romania alle prime prassi in vista alla futura adesione all’Unione Europea, nel 2007.55 Dal

2000 al 2002 si registrano, anche da parte dello stato rumeno, maggiori interventi ufficiali per regolare i flussi migratori in uscita dal Paese. Sempre in questo periodo, lo stato rumeno stabilisce degli accordi bilaterali riguardanti la circolazione della forza lavoro con cinque nuovi stati: Svizzera, Ungheria, Lussemburgo, Spagna e Portogallo (verso gli ultimi due registrandosi dei flussi molto attivi). (Şerban, Stoica, 2007).

Intorno al 2002, anche in seguito all’abolizione dei visti di ingresso nello spazio Schengen per i cittadini rumeni, diventa più visibile la “circolazione” dei minori “non accompagnati”, delle donne/ragazze destinate al mercato della prostituzione, delle persone disabili sfruttate ulteriormente attraverso la pratica dell’accattonaggio. Un fenomeno che ha attirato molto l’attenzione dell’opinione pubblica anche in Italia è rappresentato, fino al 2007, dalle numerose espulsioni di cittadini rumeni da paesi come la Francia, la Svizzera e la Spagna. Il mercato dei “documenti di viaggio” falsi (sia in Romania che nei paesi di approdo) ha alimentato, comunque, la possibilità delle persone espulse di ritornare, dopo una breve permanenza sul territorio rumeno, nello spazio Schengen.56 In assenza dei visti, le condizioni per uscire dalla Romania sono imposte dallo stato

rumeno. La Circolare di emergenza 144/2001 impone ad ogni cittadino che viaggia all’estero, di essere in possesso di assicurazione medica, biglietto andata e ritorno per un mezzo di trasporto e una cifra minima (in base alle esigenze del paese di destinazione, per la durata di non meno di 5 giorni: ad esempio, 50 euro al giorno per la Turchia e gli ex-stati socialisti e 100 euro al giorno per i paesi dell’Unione Europea, in contanti o sotto forma di carte di credito o lettere di garanzia da parte dei cittadini che dovevano dichiarare anche la disponibilità di ospitare il “turista” rumeno, ecc.).

55 Nello studio del 2000 realizzato dal sociologo Dumitru Sandu in base alle informazioni raccolte tramite un

censimento comunitario della migrazione (OIM insieme al Ministero della Pubbliche Informazioni e il Ministero degli Interni), con un questionario a cui hanno contribuito anche Dana Diminescu, Sebastian Lazaroiu e Louis Ulrich, si mette in evidenza il fatto che i flussi migratori dalle zone rurali della Romania verso l’esterno sono di tipo circolatorio, “vai e vieni”, “strutturati in campi e regioni di migrazione” (circa 15 regioni di migrazione diverse, in base al paese di destinazione).

56 Questo mercato nero è ancora molto attivo, nonostante la Romania sia diventata membro dell’Unione Europea. Le

carte d’identità o i passaporti falsi servono sia nei casi di traffico di minori (per dimostrare un’età superiore, e quindi diminuire la pena per i “protettori” nel caso di un processo), sia per i cittadini rumeni espulsi in seguito alla decisione di un tribunale (o, ultimamente nel caso italiano, se in seguito ad un controllo delle forze dell’ordine vengono trovati senza la possibilità di dimostrare una fonte di reddito, considerati di conseguenza un potenziale pericolo per la sicurezza pubblica).

Entro il 2006, la Romania avvia numerosi programmi interni e internazionali a scopo di controllare i flussi migratori sia in entrata che in uscita dal suo territorio, come tappa indispensabile del processo di adesione all’Unione Europea:

On the 1st of June, the Government has approved the The Schengen Action Plan for 2005. The Plan represents a new stage in the Romania's accession process to the Schengen Convention which will eliminate border controls within the internal frontiers of the Schengen Space. The government representatives declared that the adoption of the Schengen Action Plan is part of the responsibilities assumed during the negotiation regarding Chapter 24, Justice and Home Affairs. The Plan includes the legislative, institutional and operational progresses that have been recently made in the area of border control, visa regime, migration, police and judicial cooperation, fight against drug and ammunition trafficking as well as personal data security. The Schengen Action Plan should be implemented by the 1st of January

2005. (Lazaroiu, Alexandru, 2005)

Secondo gli antropologi Pietro Cingolani e Flavia Piperno, la migrazione rumena si distingue, all’interno dei flussi migratori est-europei verso i paesi occidentali, attraverso tre caratteristiche: lo sviluppo di reti che mantengono, all’estero, la loro composizione regionale, il carattere circolatorio (rilevato da numerose altre ricerche sia rumene che straniere)57 e diventato una

vera e propria “strategia di vita”, e il legame con il paese di origine attraverso “una fitta rete di pratiche transnazionali” (2006, p. 61-62).58

Oltre alle tre caratteristiche emerse nell’esperienza di campo dei due antropologi italiani, la migrazione rumena dopo il 1989 fino ad oggi è stata caratterizzata anche da altri aspetti ricorrenti negli spostamenti verso diversi paesi europei (la migrazione verso gli Stati Uniti ed il Canada, ad esempio, ha un carattere prevalentemente permanente, anche se tra questi due paesi esistono numerosi flussi di studenti rumeni che ritornano nel Paese).59 Altri attributi evidenti dei vari flussi

migratori rumeni sono rappresentati dalla provenienza maggiormente dalle aree rurali dei migranti (Perrotta, 2007, p. 138), la presenza delle donne come “pionieri” delle partenze all’estero (Sacchetto, 2004, p. 167), l’illegalità – fino al 2002, ma anche ulteriormente (Simina, 2005). Inoltre, come emerge anche dal paragrafo 3.3 del presente capitolo, tutte le tappe dell’emigrazione dalla Romania contengono dei flussi di popolazione appartenete a diversi gruppi rom. Agli spostamenti

57 Anche se non l’unico modello di migrazione dalla Romania, il carattere temporaneo e circolatorio dei flussi più

visibili dalla Romania emergono da ricerche come quella di Şerban e Grigoraş (2000) sui rumeni emigrati in Spagna, quella di Potot (2000) sui collegamenti tra due villaggi rumeni con la Spagna e la Francia, Sandu (2000), Diminescu (2003), Sacchetto (2004), Ricci (2006), o quella realizzata dalla “Fundaţia pentru o Societate Deschisă” (2006), ecc.

58 A causa della mancanza di appartenenza culturale e identitaria, della permanenza di una “mentalità individualistica”

nell’articolazione delle reti di appoggio dei rumeni all’estero, Cingolani (2006, p. 63) parla di un “transnazionalismo debole.”

59 Sulla migrazione degli specialisti rumeni in informatica verso il Canada e gli Stati Uniti è suggestiva la ricerca di

dei rumeni verso i paesi occidentali ha corrisposto, in una certa misura, un fenomeno inverso, visibile attraverso gli investimenti straneri in Romania e la presenza di imprenditori che arrivano nel Paese approfittando proprio delle condizioni economico-sociali problematiche in cui si trovano le persone che decidono di emigrare.

Dopo il 1989, un terzo delle households della popolazione rumena hanno all’interno al meno un persona che è stata o è attualmente all’estero. Questo significa un dato di circa due milioni e mezzo delle households del Paese che hanno avuto l’esperienza diretta della migrazione per lavoro o per turismo. (Sandu, 2006, p. 17)

.

In base ai dati ottenuti dal sociologo rumeno Sebastian Lazaroiu del Centre for Urban and Rural Sociology di Bucarest (CURS), Perrotta (op. cit.) afferma:

Nel maggio 2006, l’11% delle famiglie ha almeno un membro all’estero. Su una popolazione di 22 milioni di abitanti, sono almeno 1,2 milioni i rumeni all’estero per motivi di lavoro; il volume delle rimesse passate per canali formali rappresenta il 3% del PIL rumeno. (p. 135)

La percezione sia di una parte dell’opinione pubblica rumena, che dei ricercatori del fenomeno della migrazione (Diminescu, 2003, p. 19) è stata quella di uno stato rumeno immobile, incapace e soprattutto indifferente rispetto alle “fughe” all’estero dei suoi cittadini. In realtà, l’instabilità economica del Paese e la grave crisi politica degli anni Novanta concentrano le energie dei governi che si succedono al potere sulla “confusione” creatasi sul piano interno. Senza provare a giustificare una tale posizione, la percezione personale durante quei anni era quella di uno stato che sceglieva di non intervenire per lasciare ai cittadini un’alternativa a un contesto nazionale che non poteva garantire stabilità economica e protezione sociale. La natura circolare di numerosi progetti migratori rumeni ha provocato non solo una desertificazione del Paese, ma anche lo sviluppo di iniziative personali transnazionali e locali mirate al miglioramento della condizione economica e sociale della famiglia del migrante temporaneo o del migrante di ritorno definitivo.

It apperas that both sending and receiving countries’ interests are best served by a system of temporary labour migration, not permanent immigration. The difference is in the duration of the desired absence or presence. Receivers prefer flexible short-term migrations, while senders prefer long-term absences without permanent settlement. (Schmitter Heisler, 1985, p. 157)

La stessa prospettiva, che vede lo stato di origine “disinteressato” al ritorno definitivo dei suoi migranti, è adottata anche dallo studio di Pastore e Sciortino (2001), motivando tale posizione con la difesa del mercato del lavoro interno e con l’apporto che le rimesse hanno sull’economia del

paese. In Romania, invece, il problema che si sta creando, in seguito ai numerosi flussi migratori verso l’estero, è una crisi della manodopera in numerosi settori dell’economia.

Lontano di aver perso il suo enorme potere di regolare la vita dei suoi cittadini, lo stato rumeno (nel complesso delle sue istituzioni) ha attraversato un periodo, anche se più lungo del previsto, di ampie ristrutturazioni necessarie dopo una “tradizione” di quasi mezzo secolo di regime totalitario. L’antropologo Bruno Ricco, in uno studio basato sull’analisi delle “pratiche transnazionali” tra l’Italia e il Senegal (2004), riflette sul ruolo ancora molto attivo che gli stati nazionali mantengono nel contesto mondiale della globalizzazione:

In primo luogo, lo stato è ovviamente importante per il transnazionalismo, in quanto è insito nella sua stessa definizione: i trasmigranti sono coloro le cui vite quotidiane si svolgono “qui” e “là”, tra due o piè stati nazionali, con profonde conseguenze sia per i migranti sia per gli stati che questi ultimi attraversano. Inoltre, il potere di esclusione e la forza disciplinatrice degli stati sono ancora molto attivi e lo stato può rivelarsi in alcuni casi un attore creativo nell’utilizzo economico o politico delle reti transnazionali. (…) Lo sviluppo delle migrazioni transnazionali potrebbe stimolare più delle trasformazioni dello stato nazionale come ci siamo abituati a concepirlo che un esaurirsi totale della sua funzione, in particolare per quanto riguarda quella di controllo e di polizia. (p. 126-127)

Certamente, il periodo di mancato intervento sostenuto e strutturato da parte dello stato rumeno riguardo all’evoluzione dell’emigrazione dei suoi cittadini ha lasciato spazio anche allo sviluppo di forme abusive di spostamenti legati al traffico di persone a scopo di sfruttamento. Dopo il 2006, in passo con le preparazioni all’adesione e ulteriormente in qualità di membro dell’Unione Europea, lo stato rumeno ha dovuto essere presente (anche se in alcune aree solo formalmente) e partecipe alle azioni comuni dei paesi comunitari. I risultati non sono ancora molto visibili, ma saranno sicuramente un ambito interessante di ricerca negli anni futuri.