L’immigrazione rumena verso l’Italia
3.1. Cenni storici su una possibile “cultura dell’emigrazione”
3.1.2. Migrazioni e spostamenti durante il regime comunista
Secondo il sociologo rumeno Ionel Muntele (2003), durante il regime totalitario (1948-1989) i flussi migratori rumeni hanno conosciuto una serie di tappe, portando a un deficit dei popolazione di -783.578 persone:
-avant 1953, l’émigration était accentuée (vivant sourtotut les catégories touchées par la nationalisation de 1948
- de 1953 à 1956, le solde devient positif, phénomène consécutif à la mort de Staline qui a permis le retour d’une grande partie des prisonniers et des déportés de l’URSS;
- de 1957 à 1965, la politique concernano l’émigration devient plus permissive – c’est à ce moment qu’on enregistre le sommet de l’émigration juive et que les Saxons de Transylvanie, moins touchés jusque-là par l’émigration que les autres groupes d’Allemands (…)
- de 1966 à 1980, on retrouve un équilibre migratoire, effet du controle excessif de la société, mais aussi de l’illusion crée par l’ouverture du régime et l’apparente prospérité des années 1970, auxquelles on peut ajouter l’arrivée en Roumanie de petits groupes de réfugiés grecs, chiliens, etc., pour la plupart d’affiliation comuniste fuyant les régimes d’extreme droite;
- de 1981 à 1989, s’accentue le caractère négatif du solde migratoire, cette fois-ci avec une implication ceratine des autorités politiques qui dirigeaient ces flux constitués notamment d’Allemands et des opposants au régime (p. 36)
Durante il periodo del regime comunista, dalla Romania si esce in varie modalità e con diverse motivazioni. I migranti per motivi di lavoro sono monitorizzati dal sistema del Partito comunista. I lavoratori rumeni hanno la possibilità di spostarsi solamente verso i paesi del C.A.E.R. o verso quelli ideologicamente vicini al regime rumeno. Una ricerca realizzata in un villaggio rumeno del sud del Paese (Şerban, Grigoraş, 2000) raccoglie le testimonianze di circa 35 persone che, a partire dagli anni ’70, si spostano per lavoro verso i paesi arabi (Libia, Iraq, Iran, Egitto e Siria) e verso la Germania Federale e la Russia:
Le partenze erano intermediate da alcune fabbriche con la sede a Bucarest. Tutto quello che la persona che voleva partire doveva fare era di ottenere il trasferimento verso una di queste fabbriche. Dopo alcuni mesi di verifiche del suo profilo (per la prima partenza durava circa 6-7 mesi) il richiedente poteva ottenere il visto. I mestieri richiesti erano soprattutto quelli nell’edilizia (…) (p. 35)
Le partenze, sostengono i due sociologi autori della ricerca, avvenivano attraverso la rete familiare sulla base di un tipo di raccomandazioni basate sul “passa parola”.
Un altro ambito che offriva ai rumeni la possibilità di lavorare per certi periodi all’estero era quello delle grandi industrie. I paesi di destinazione erano gli stessi menzionati dai contadini del villaggio del sud. Nella logica degli scambi economici tra i paesi ideologicamente vicini l’esportazione di macchinari richiedeva, nel paese di destinazione, la presenza temporanea di tecnici rumeni. Nel 1949 i leader dei paesi del blocco comunista creano il Consiglio di Aiuto Economico Reciproco (CAER), che ufficialmente mirava alla fluidificazione dei rapporti economici e alla collaborazione tecnico-scientifica tra i paesi membri. In numerosi momenti, i rapporti di scambio venivano realizzati senza una base economica, facendo sì che nel 1954 l’Unione Sovietica importasse tecnologia industriale dai paesi-satellite, per poi tenerla in dei depositi senza mai utilizzarla nella produzione. I paesi-satellite esportavano nell’Unione Sovietica prodotti agricoli, carburanti e minerali speciali e uranio, mentre in realtà i macchinari avevano solamente un ruolo secondario nell’esportazione. La Romania, ad esempio, aveva cominciato la produzione massiccia di motori elettrici, nonostante il fatto che la richiesta interna fosse bassa, mentre all’estero la merce non era richiesta, visto che la Cecoslovacchia produceva da molto tempo quel tipo di motori. Le esportazioni non tenevano conto della richiesta reale del mercato socialista, dato il fatto che i progettisti non facevano altro che copiare i piani di sviluppo dei paesi vicini. Un’atra tendenza che la grande Russia ha cercato di imporre agli altri stati membri è stata quella della mono- specializzazione di ogni stato, prospettiva che la Romania ha cercato di evitare a causa della ripartizione del ruolo di “paese agricolo”.
Gli accordi di “clearing” che la Romania ha avuto con i paesi del CAER o con altri come l’India o il Pakistan non hanno portato a un equilibrio economico il Paese, essendo spesso ideato, lo scambio di merci, alla loro totale inutilizzazione.
Le motivazioni economiche erano anche alla base dei brevi periodi di “gite turistiche” concesse alla popolazione rumena con frequenza biennale.
Come turista, ogni due anni potevamo andare nei paesi socialisti, ma non in Russia. In Russia si andava solamente all’interno delle gite organizzate dall’Ufficio Regionale di Turismo. Io sono stata solo in Bulgaria, in Ungheria, nella ex-Cecoslovacchia e nella Germania Democratica. Sono uscita per la prima volta nel 1981, insieme a mio marito ho fatto una richiesta scritta presso l’Ufficio di polizia locale, menzionando che la richiesta del rilascio del passaporto è a “scopo turistico”. Tanto sapevamo che non potevamo prendere un treno verso i paesi occidentali senza essere inseguiti e controllati a vista! (…) Alcuni dei nostri amici non hanno mai avuto l’accordo della Securitate50 di avere un passaporto, forse perché avevano dei familiari scappati nei paesi occidentali, allora erano un pericolo per lo stato. Mio fratello ha sempre fatto il camionista, ha girato il mondo ma è tornato sempre a casa, penso che questo fatto fosse stato una garanzia per loro, non mi hanno mai fatto dei problemi per partire. (Nica, 58 anni, intervista realizzata durante la mia
visita in Romania, nel 2007)
Sulle gite organizzate verso l’Unione Sovietica ho raccolto la testimonianza di una donna originaria di una città della Transilvania:
Io lavoravo come tecnico in un laboratorio per il controllo degli alimenti. Questo era un posto ottimo allora, vista la scarsità di cibo con cui ci aveva abituati Ceausescu. I miei superiori erano la maggior parte uomini della Securitate, cioè informatori. Erano loro che organizzavano queste gite, con la scusa di uno scambio per la ricerca sui polli. Io sono andata con loro nel 1985, abbiamo preso il treno da Bucarest, ma solo una volta sul treno la guida rumena ci ha dato le 110 ruble che lo stato ci permetteva di portarci dietro. Sai che allora era vietato, comunque, di tenere in casa della moneta straniera. 110 rubli erano un buon stipendio mensile in Russia. Come tutti i miei colleghi, mi ero informata sulle merci rumene che si vendevano bene in Russia, allora ho comprato vestiti di cottone, deodoranti, biancheria intima, oggetti di porcellana, scarpe cinesi (erano molto richieste), sperando di vendere e di poter portare indietro delle cose che da noi non si trovavano.
(Titza, 56 anni, intervista realizzata in Romania nel 2007)
50 Il servizio segreto di stato – “Securitatea” – fu fondato nel 1949 e diventa, durante il regime comunista, una rete
capillare nel paese, arrivando al controllo della popolazione attraverso gli informatori reclutati da tutte le categorie sociali e lavorative del Paese. Ogni istituzione e posto di lavoro avevano un ufficio della “Securitate”, ma gli informatori “infiltrati” erano scelti, ad esempio, in ogni palazzo, per poi riportare agli uffici centrali le discussioni sentite tra gli abitanti (soprattutto i lamenti contro le politiche del regime), le persone che frequentavano le famiglie del palazzo, gli orari di ritorno a casa degli abitanti, gli spostamenti, la merce portata dalle campagne – visto che nei villaggi era ormai proibito il consumo della carne proveniente dall’uccisione del proprio bestiame. Invece, l’uccisione di un animale era considerato un atto dovuto verso i membri locali del partito comunista, i quali confiscavano l’intera produzione. Le uccisioni degli animali avvenivano comunque di nascosto e spesso alimentavano le famiglie abitanti nelle città, dove il cibo diventava sempre più scarso.
Dal racconto di Nica risulta che il motivo turistico era solo una copertura del vero scopo delle brevi uscite concesse ai rumeni nei paesi socialisti vicini. In realtà, i rumeni partivano per ragioni economiche, esistendo nel Paese un intero sistema di scambio di merci attraverso queste “visite”: da una parte, i rumeni cercavano di riempirsi le valigie con merci richieste sui mercati illegali dei paesi vicini, mentre da questi si portavano indietro non solo dei beni per il proprio consumo, ma soprattutto a scopo di vendita attraverso delle reti di conoscenze, nei posti di lavoro, presso gli ospedali o le fabbriche.
Prima di partire, la Securitate ti permetteva di cambiare 4.700 lei in moneta straniera, presso la Banca rumena. Erano abbastanza soldi, se pensi che allora un marchio tedesco era 7,5 lei. Noi cambiavamo tutta questa cifra in marchi, perché sapevamo che in Germania la merce rumena non era richiesta. Era un vero calvario procurare la merce da portare via: dovevi avere delle conoscenze e sborsare dappertutto. Sapevo da quelli che erano andati prima di me che in Ungheria si vendeva bene il cognac rumeno e il rum, il caffè solubile (che anche da noi si trovava solo se avevi delle conoscenze presso i ristoranti), i vestiti di cotone, gli oggetti di artigianato, ecc. In Cecoslovacchia, invece, si vendeva solo il cognac, il rum e il caffè solubile. Devi immaginarti che partivamo ognuno con quattro valigie, col treno. L’inferno cominciava alla dogana rumena, poi a quella ungherese. Ci avevano detto di preparare, per i doganieri, un sacchetto a parte pieno di sigarette Kent super long (merce di contrabbando, comunque), una o due bottiglie di cognac, ma loro prendevano comunque qualsiasi cosa desiderassero dalle tue valigie. (Nica, 58 anni)
La vendita della merce rumena avveniva nelle piazze ungheresi o ceche di cui i “turisti” rumeni si portavano dietro gli indirizzi presi dai connazionali che avevano già sperimentato questo tipo di commercio all’estero. In Russia, invece, il gruppo di turisti rumeni era controllato in permanenza dalla guida russa che cambiava da città in città: i rumeni riuscivano a vendere la merce portata da casa durante le visite guidate obbligatorie quando si faceva l’appello, nelle piccole pause, presso i negozi e le farmacie.
Per noi è stato un vero shock vedere, a Budapest ma soprattutto a Berlino, la stazione piena di pattuglie di soldati russi. Non si avvicinavano, non controllavano la gente, ma per noi era la prima volta che vedevamo con i nostri occhi cose sentite solo attraverso le radio rumene clandestine della diaspora. (…) Dall’Ungheria ho portato soprattutto delle spezie, da noi non si trovavano, poi dei fili per fare i maglioni, il caffè, oggetti d’oro, burro, Coca-Cola, che da noi vedevi una volta all’anno (ma solo una bottiglia, tanto una seconda te l’avrebbero presa alla dogana), gomme da masticare, caramelle e sapone, da noi c’era solo quello per lavare il bucato. Da Bratislava ho portato tanti fili per lavorare con i ferri, vestiti per noi, perline, mentre a Berlino abbiamo spesso tutti i marchi in vestiti belli per noi e per i nostri figli. Se poi, al ritorno, passavi i confini senza che i doganieri prendessero troppa roba dalle tue valige, tornavi a casa e cominciavi il giro di conoscenze per vendere la merce. E conveniva, tiravi fuori quasi il doppio di quello che avevi investito per il viaggio e per la merce da portare via. (Dinu, 57 anni, marito di Nica)
Invece la merce russa richiesta sul mercato nero rumeno era diversa, anche se rispecchiava, come i prodotti portati dagli altri paesi socialisti, la situazione devastante in cui si trovava la Romania durante gli anni ’80:
Io non sapevo tanto come vendere la merce che avevo portato, ma i miei colleghi, quelli che ci andavano spesso nelle gite in Russia, erano ormai esperti, era gente che viveva bene di questo commercio. Mi ricordo che avevo trovato delle lenzuola di buona qualità, da noi ormai non si trovava più nemmeno il tessuto per farle in casa. Ne avevo prese dieci, era un bel colpo, ne ero così contenta! Poi in una località turistica abbiamo trovato delle noccioline americane, ti giuro che ci siamo quasi picchiati per arrivare a comprarne il più possibile! E mi ricordo il gelato che ho mangiato a Kiev, da noi erano anni in cui non trovavi più il gelato! Forse era meglio allora, sapevi goderti quel poco che ti veniva dato! Alcuni hanno portato a casa degli aspirapolvere, oro, ma io ho preso solo dei cappelli di pelo, molto richiesti da noi, dei ricambi automatici per il contatore del gas per me e per mia madre, tovaglie di plastica, una giacca, del caffè solubile e tanti dolci per i bimbi. Quello che mi ha colpito, nel pieno regime delle razioni per gli alimenti in Romania, è stata l’opulenza dei tavoli russi presso gli alberghi dove siamo stati. (Titza, 56 anni)
Le informazioni e le statistiche sui flussi migratori rumeni rimangono segreti per tutta la durata del regime comunista. (Sacchetto, 2004, p. 165) Attualmente, le ricerche sulla migrazione rumena si concentrano sul periodo molto ricco del dopo 1990 mancando, invece, uno studio complesso, basato su testimonianze, che possa ricostruire gli spostamenti dei rumeni all’estero durante i decenni del regime.
Purtroppo, lo spazio e la natura di questa tesi non permettono una riflessione approfondita sulla storia dell’esilio rumeno durante gli anni del regime, sulle motivazioni politiche dell’espatrio forzato o volontario di migliaia di persone che, in una maniera o nell’altra, si sono mostrate refrattarie alle azioni del totalitarismo. Le numerose diaspore rumene51 in paesi come la Francia, la
Svezia o gli Stati Uniti hanno assorbito intellettuali e personalità importanti della cultura rumena, continuando, fuori dai confini del Paese, a diffondere le informazioni sugli orrori del regime comunista52 ed a lottare per un cambiamento.53
51 Un’ampia panoramica sugli studi e le teorie dedicate al fenomeno della diaspora a livello mondiale è contenuta nel
libro curato dai sociologi inglesi Steven Vertovec e Robin Cohen (1999).
52 Dopo sedici anni dalla sua prima diffusione televisiva Memorialul durerii (Il Memoriale del Dolore), il documentario
sulle prigioni del regime comunista e sul “fratricidio” di quella epoca diventa un libro essenziale per la storia della Romania. La sua pubblicazione, nel 2007, avviene attraverso i finanziamenti dell’Istituto di Investigazione dei Crimini del Comunismo.
Una tipologia a parte di migranti dalla Romania sono i rom (o, meglio, alcuni gruppi della popolazione rom). In conformità all’ideologia del regime comunista arrivato al potere nel 1948, per i rom come per altre minorità nazionali (tedeschi, ungheresi, turchi, ebrei) comincia il periodo dei tentativi di assimilazione, nell’illusione di uno stato “puramente rumeno”. L’aspetto positivo di questa strategia del regime è il fatto che, al meno a livello delle istituzioni statali – come la scuola, la sanità, l’esercito – si cerca una parità di diritti per tutti i cittadini rumeni. Come un gran numero della popolazione rurale, la popolazione rom viene coinvolta nel processo di urbanizzazione, trovando impiego nelle grandi industrie delle città. Nel 1962 il nomadismo è ufficialmente proibito, ma alcuni gruppi rom continuano i loro spostamenti di carattere economico attraverso il Paese. Durante gli anni ’80, quando la politica di Ceauşescu tende ad incriminare qualsiasi forma di lavoro autonomo, a favore del lavoro presso le istituzioni e le industrie statali, numerosi rom dalla Romania ottengono asilo politico in vari paesi occidentali. (Diminescu, 2003, p. 53)
Il fenomeno del pendolarismo interno della popolazione durante il periodo del regime comunista è considerato come una possibile “anticamera” dei flussi migratori verso altri paesi dopo gli eventi politici del 1989. Gli spostamenti all’interno della Romania avvengono in due direzioni: da una parte, la popolazione si sposta dalle regioni considerate “meno sviluppate” (come la Moldavia rumena) verso quelle che offrono più opportunità (soprattutto lavorative), come la Transilvania o la zona di Bucarest per il sud rumeno. In generale, questo tipo di “migrazione” può riguardare sia un movimento dalle aree rurali verso quelle urbane, sia dalle zone urbane verso altre zone urbane.
Un secondo tipo si spostamento della popolazione riguarda la “migrazione” all’interno della propria regione, sia del tipo rurale verso rurale ma, soprattutto, del tipo rurale verso urbano. Gli spostamenti possono avere carattere permanente o temporaneo, creando il fenomeno del pendolarismo villaggio- città – chiamato in rumeno “navetism”. (Gheţău, 2005)54 Lo spostamento
per motivi di lavoro dai villaggi verso i centri urbani sempre più industrializzati avvenivano indubbiamente sullo sfondo delle trasformazioni radicali sofferte dalle aree rurali del Paese, soprattutto dal passaggio forzato di proprietà delle terre dei contadini verso lo stato. Il pendolarismo
54 I sociologi Traina Rotariu ed Elèmer Mezei hanno pubblicato, nel 1999, uno studio accurato sul fenomeno della
migrazione interna recente in Romania. Inoltre, articoli su questo argomento sono reperibili nel numero 538 della rivista rumena Dilema del 2003, dedicato alla questione del ritorno di un grande numero di rumeni, durante gli anni ’90, dalle aree urbane verso quelle rurali. Un tale fenomeno, sostiene un rapporto del 2001 dell’UNICEF, rappresenta il segno di un periodo di crisi della società. Le motivazioni di questo ritorno al villaggio sono di natura economica poiché molti rumeni cercano di affrontare le profonde trasformazioni e le riforme degli anni ’90 attraverso il ritorno alle pratiche agricole, possibili fonti di reddito, ma anche attraverso l’apertura di piccoli negozi privati (solitamente bar, alimentari, piccoli forni, negozi di vestiti di seconda mano). A partire dal 1991, anche se in ritmi lenti, la Legge n. 18 del 18 febbraio assicura ai rumeni la possibilità di ridiventare proprietari delle terre confiscate durante il regime e trasformate in delle CAP (Cooperative agricole di Produzione) di ispirazione sovietica.
era una scelta soprattutto della popolazione maschile, e riguardava il ritorno giornaliero, settimanale o mensile nel villaggio, in base alle distanze e ai mezzi di trasporto esistenti.