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Lo straniero e lo sradicato nell’immaginario popolare rumeno

L’immigrazione rumena verso l’Italia

3.1. Cenni storici su una possibile “cultura dell’emigrazione”

3.1.1. Lo straniero e lo sradicato nell’immaginario popolare rumeno

Nella società tradizionale dei villaggi rumeni, le condizioni dello “straniero” o della persona “sradicata” dal suo contesto originario rappresentavano delle esistenze ai margini delle regole accertate dalla comunità. Le situazioni dell’allontanamento dal villaggio riguardavano diversi “eventi” nell’esistenza di un individuo, partendo da quelli positivi, come il matrimonio di una ragazza in un villaggio vicino, fino a quelli con attributi negativi come la partenza per una guerra, la morte e la vita nell’al di là, o la migrazione per lavoro in qualità di “argat” (servo) presso le famiglie benestanti.36 In questo ultimo caso, la separazione dalla famiglia, il passaggio di questi

bambini/ragazzi dall’infanzia alla condizione di lavoratore si rispecchia in maniera drammatica nella letteratura popolare rumena, come anche tutte le altre forme di allontanamento dalla casa dei genitori. Per certi aspetti, questa pratica di sfuggire alla povertà assomiglia al fenomeno riscontrato

36 La pratica di questa forma di mobilità e di “prestito” dei figli alle famiglie benestanti in cambio di prodotti agricoli o

di denaro è tuttora diffusa nell’ambiente rurale in Romania. Numerosi ragazzi rimangono, presso le famiglie senza figli, come dei figli adottivi, chiamati in rumeni “copii de suflet” – “bambini di cuore” -, che diventano dei veri e propri eredi nel caso in cui la famiglia affidataria non abbia dei figli propri. In alcuni casi queste famiglie non considerano i “bambini di cuore” come eredi, ma si impegnano per assicurare loro la dote necessaria per un matrimonio.

oggi nei casi delle famiglie che accettano il progetto migratorio dei loro figli minorenni, anche al costo di “affidarli” ad altri adulti per poi ricevere una parte del guadagno dei ragazzi.

I testi tradizionali parlano della partenza, dell’estraneità, del vissuto in mezzo agli “stranieri” e della lontananza dal villaggio come di un dramma esistenziale irreparabile. Alcune poesie parlano del desiderio della morte come unica soluzione che possa colmare il miscuglio di sentimenti negativi con cui si vive la condizione di “straniero”.

Guardando, ad esempio, ai sentimenti espressi dal giovane che parte per il servizio militare o per la guerra si può individuare, come nel caso della sposa allontanata dalla casa dei genitori, un fenomeno che nel linguaggio della psicanalisi è chiamato “sofferenza di crescita” (Beneduce, 1998). Questo atto di separazione, drammatico ma allo stesso tempo essenziale per lo sviluppo dell’individuo, rappresenta un “rituale di passaggio” dall’adolescenza all’età adulta, fenomeno che caratterizza tuttora il vissuto da numerosi giovani migranti rumeni. La partenza obbligatoria del giovane implica un rituale di separazione a cui partecipa l’intera comunità. I toni usati in questi testi hanno le connotazioni e rispettano le tappe di un rituale funebre che include parole di separazione, l’accompagnamento del ragazzo fino al confine del villaggio (fino al limite dello spazio protetto, sicuro, al di là di cui il futuro soldato passa verso uno spazio sconosciuto, minaccioso e impossibile da controllare da parte dei membri della comunità). La lirica rumena è ricca di “canzoni per il servizio militare” che rispecchiano un periodo storico relativamente recente per le province rumene (secolo XVIII-XIX) e, di conseguenza, una testimonianza storico-sociale e culturale.

Come nel caso della partenza della sposa verso “altre case”, la partenza del giovane militare ha delle conseguenze sull’intera comunità. I parallelismi con la condizione del migrante sono plausibili e confermano la permanenza, nella cultura rumena, di una “tradizione dei sentimenti”. Il dialogo tra il futuro soldato e la ragazza che lascia a casa mette in luce, in numerosi testi, il dolore della separazione espresso in parole che ricordano l’immagine del “posto senza nostalgia” rappresentato dal paese di approdo:

Cara, per te va bene/ Perché rimani nel tuo villaggio (…) Ma per me va peggio,/ Perché vado in un paese straniero,

Privo di nostalgia, privo di pietà. (Dejeu, Istoc, Hlinca Dragan, 2002, p. 46)37

Come succede anche nel caso del giovane che intraprende un percorso migratorio, nell’economia della famiglia tradizionale l’assenza del figlio maschio era risentita come la mancanza della forza lavoro e di un guadagno. Il migrante, quindi, dovrà ristabilire questo equilibrio sbilanciato attraverso le rimesse. I testi popolari includono, nel momento della

37 Il testo in rumeno: “De tine, puică, e bine,/ Ca rămîi în sat la tine./ (…) Dar este mai rău de mine,/ Că plec în ţară

separazione del giovane dalla famiglia, dal villaggio e dagli strumenti utilizzati per lavorare la terra, anche le parole di addio verso i simboli del suo status di celibe. Al ritorno nel villaggio il ragazzo passa ad un nuovo status, che è quello di un potenziale sposo. Sia per il soldato che parte che per il migrante, il nuovo mondo verso di cui partono sarà collegato con il mondo lasciato dietro solamente attraverso il ricordo e il sentimento della nostalgia. Certamente, nel mondo globalizzato di oggi, la tecnologia permette il mantenimento, anche a grandi distanze, di legami e di sentimenti di appartenenza, creando quello che Benedict Anderson chiama “the imagined communities”.

Per la futura sposa che parte verso la casa dello sposo, abbandonando lo spazio originario in cui è cresciuta, il nuovo universo è spesso caratterizzato dall’assenza del canto (ed implicitamente della gioia, della parola, del dialogo), dalla mancanza dell’allegria, della pietà dei genitori e dell’affettività. Ma spesso, nei testi popolari non cerimoniali, lo statuto di “straniero” non è la conseguenza di una decisione individuale che interviene nel destino di una persona. Essere “straniero”38 diventa, nella mentalità tradizionale, la conseguenza del compimento, da parte della

madre, di certi gesti rituali in maniera sbagliata, soprattutto nel momento particolare della nascita di un bambino, quando viene deciso il suo destino:

Mi hai fatto pannolino di lana/ E vestiti di panno duro.

Mi hai battezzato al tramonto,/ Per non poter godere il mio villaggio.

Hai spento il carbone nell’acqua/ Per allontanarmi dai vicini (…). (Mohanu, 1975, p. 460)39

Sempre alla madre è attribuita la colpa di un altro gesto sbagliato (o rifiutato) che consiste nel rispetto del digiuno, prassi essenziale nella religione ortodossa, che possa influenzare sia in negativo che in positivo la vita dell’individuo:

Tanto, madre, ti ho pregato,/ Fiume di lacrime ho versato Per farti tenere dei giorni di digiuno per me,

E poter essere nello stesso villaggio con te;

Ma tu i giorni non li hai rispettati/ Ed io lontano sono andato. (Jarnik, Birseanu, 1964, p. 113)40

38 Il termine inglese “estranged” è l’aggettivo del sostantivo “stranger”. In rumeno, il vocabolario offre la stessa

terminologia: il sostantivo “strani” e l’aggettivo corrispondente “înstrăinat”, con la connotazione di “persona, oggetto allontanate da qualcuno, da qualcosa”. L’aggettivo ha assunto, in rumeno, anche il ruolo di sostantivo, avendo il senso di “persona che si è allontanata dal suo paese, dal suo mondo”. “Dezrădăcinat”, un altro termine per denominare lo “straniero” è prestato in rumeno dal vocabolario della biologia, come nella lingua italiana il termine “sradicato, la persona senza radici.”

39 Il testo in rumeno: “Mi-ai făcut scutec de lînă,/ Făşie de strămătură./ M-ai botezat pă-nsărat,/ Să n-am parte de-al meu

sat./ In apă mi-ai stins cărbuni,/ Să n-am parte de vecini.”

40 Il testo in rumeno: “Mult, măicuţă, te-am rugat,/ Rîu de lacrimi am vărsat./ Să ţii zile pentru mine/ Ca să fiu în sat cu

Altri testi immaginano l’essere un estraneo come conseguenza di una bestemmia pronunciata sempre dalla madre, atto verbale di massima efficienza magica, equivalente ad un vero e proprio destino. La condizione di “straniero” diventa, quindi, uno statuto ontologico:

Tanto mi hai bestemmiato, madre/ Per andare via dal tuo seno;

Mi hai bestemmiato, madre, di lunedì/ Per mangiare il mio pane tra gli estranei. (Folclor din Oltenia si Muntenia, p. 475)41

La rete famigliare e sociale è la carenza più risentita che appare nei testi folcloristici, legata alla condizione della persona che “emigra” verso nuovi universi. Solamente i testi del rituale funebre specificano, alcune volte, il fatto che il cammino nell’aldilà finisce in un punto dove il morto si riunisce ai membri già deceduti del suo villaggio, con la parte invisibile del suo lignaggio. Di conseguenza, l’individuo che, per vari motivi, si allontana dalla sua comunità, utilizzerà delle “strategie” compensatorie per poter resistere nel nuovo contesto percepito all’inizio come ostile; alcuni testi parlano dei balli tradizionali come elementi che l’individuo continua a praticare nel nuovo spazio per poter sopravvivere, insieme alle canzoni tradizionali che gli fanno compagnia e svolgono anche il ruolo di specchio dei valori della comunità di appartenenza.

Più spesso, invece, la lirica popolare rumena ricorre al potere del sentimento della nostalgia – “dorul”, in rumeno – che viene strumentalizzato sia per esprimere l’identità dello “straniero” sia per colmare le numerose “assenze” che esso risente. Il ricordo attraverso il filtro dolce-amaro della nostalgia, lo spazio del paese lasciato alle spalle si ridimensiona, diventa presente e riesce a colmare la sofferenza del migrante. Proprio per questo motivo, la poesia e la musica diventano opportunità di espressione della nostalgia, una risorsa narrativa con il ruolo di auto-terapia.

Gli studi rumeni sulla nostalgia – “dorul” – sono numerosi, ma non sono stati ancora raccolti in una monografia che possa esprimere il polimorfismo di questo sentimento in cui si mescola il dolore con il piacere del ricordo (il sostantivo “dor” ha il corrispondente grammaticale nel verbo “a durea” – “fare male, sentire dolore” – e nell’altro sostantivo, meno metaforico, “durere” – “dolore”). Nonostante alcune voci autorevoli considerino il “dor” come un sentimento “tipico rumeno”, in numerosi contesti la sua interpretazione si iscrive nell’area delle idee filosofiche molto attraenti, come ad esempio il saggio dello studioso rumeno Constantin Noica, Introducere la dor del suo libro pubblicato nel 1996. La “specificità rumena” del “dor”, sostiene il poeta e filosofo rumeno Lucian Blaga (1985), è conferita dalle sfumature che questo sentimento assume nella lingua rumena.

41 Il testo in rumeno: “M-ai blestemat, mamă, rău/ Să plec de la sînul tău;/ M-ai blestemat, mama, lunea,/ Prin străini să-

L’altro filone di studi è rappresentato soprattutto dallo studio comparativo di Elena Balan- Osiac (1972), la quale contestualizza la nascita di questo sentimento nell’area della cultura latina (rumena, spagnola e portoghese). Il “saudade”, il “soledad” e il “dor”, sostiene la studiosa rumena, hanno generato “una struttura psichica specifica”. A mio avviso, si può ipotizzare l’esistenza di una “tradizione dei sentimenti”, di una maniera propria in cui un popolo, un gruppo sceglie di esprimere un sentimento universale utilizzando una sua visione del mondo.

Per il migrante descritto nei testi folcloristici o per l’immigrato rumeno dei “mondi contemporanei”, il sentimento della nostalgia diventa un possibile elemento di collegamento, anche se a livello mentale, con il paese di origine. Secondo l’etnologo Ovidiu Bîrlea (1983),

la nostalgia determina un vissuto intenso sul piano psichico, mettendo l’anima in uno stato di tensione attiva, come un’aspirazione, sia a qualche realtà immaginata sia ad una tramontata, realizzabile solamente attraverso la comunione spirituale. La nostalgia può essere definita come una comunione spirituale con quello che ha un prezzo alto e attrazione indistruttibile. (p. 191)

Salman Rushdie (1991), con un’espressione che ha fatto ulteriormente carriera all’interno degli studi di antropologia delle migrazioni, parla di “imaginary homelands” per definire la ricostruzione, attraverso il filo della nostalgia, dell’immagine sfumata della “casa” (intesa, come nel termine inglese, come “universo familiare”):

It may be that writers in my position, exiles or emigrants or expatriates, are haunted by some sense of loss, some urge to reaclaim, to look back, even at risk of being mutated into pillars of salt. But if we do look back, we must also do so in the knowledge – which gives rise to profound undertainies – that our physical alienation from India almost inevitably means that we will not be capable of reclaiming precisely the thing that was lost; that we will, in short, create fictions, not actual cities or villages, but invisible ones, imaginary homelands, Indias of the mind. (p. 10)

Il sentimento della nostalgia che nasce in seguito all’atto migratorio, allo spostamento da uno spazio all’altro, è vissuto dall’individuo con massima intensità portando, in alcuni casi, fino al punto in cui non colma più le mancanze, ma diventa cronico, simile ad una malattia. Nei termini dell’antropologo Clifford Geertz, si potrebbe dire che l’individuo che assume la condizione di “straniero” non riesce più a “performare” la sua identità e, implicitamente, la propria cultura (sia a causa dell’emarginazione nella società di approdo sia in seguito all’auto-segregazione). Nel contesto degli studi e della metodologia recente dell’etnopsichiatria, queste deviazioni comportamentali manifestate dai migranti vengono avvicinate dalla prospettiva dell’universo culturale a cui essi appartengono, utilizzando le terapie specifiche di quella area geografica.42

42 Esempi di studi di entopsichiatria sono il lavoro di Beneduce (1998) che nasce in seguito alle ricerche sul campo

Le cause dell’alienazione estrema sono dovute all’incapacità del migrante di “negoziare” il suo spazio interiore e quello sociale durante il contatto con il nuovo contesto e alla tendenza della nuovo universo di reificare lo “straniero”, di negare la sua identità. Tahar Ben Jelloun (1977), parlando della condizione dei migranti berberi in Francia, chiama la situazione dello “sradicato” la “plus haute des solitudes”, quadro favorevole all’apparizione della malattia del corpo e dell’anima. Alcune varianti dei testi folcloristici rumeni rispecchiano questa solitudine assoluta:

Madre, straniera come me/ Non c’è nessun altra al mondo, Solo un cucù nel bosco./ Non nemmeno lui è come me Perché qualcuno ne avrà pure. (Filipciuc, 1980, p. 34)43

Nei testi rumeni, la sofferenza incontrollabile, la sensazione di perdita definitiva di un universo familiare che assicurava al individuo un’identità, si manifesta attraverso i segni della sofferenza derivante dall’intensificazione del sentimento della mancanza della “casa”. Questo costituisce il momento in cui la “terapia” della poesia e della musica del Paese di origine smette di funzionare, mentre il dolore non trova più alternative per manifestarsi. Di fatto, i sintomi della malattia e della sofferenza si manifestano proprio sugli organi del parlare:

Da quando sono straniero/ La lingua si è seccata in bocca E le labbra si sono gonfiate. (Ivi, p. 72)44

Le conseguenze estreme della nostalgia per il Paese di origine sono rappresentate dalla condizione tragica dell’allontanamento dal sé, ipostasi che porta, spesso, all’impossibilità di intraprendere il viaggio di ritorno:

Mi ha mandato mia madre una lettera/ Tramite una nuvola che porta brutto tempo, Chiedendomi di tornare da lei;/ Ma io le ho risposto,/ Tramite una nuvola di tempo mite, Che non ci vado perché sono troppo straniera. (Flori alese din poezia populară, 1967, p. 219)45

In altre versioni, a causa dell’auto-segregazione l’individuo non percepisce più se stesso come portatore di una identità, come nei versi:

Da quanto sono triste,/ Non mi vedo più come uomo sulla terra,

sulle problematiche a livello psichico riscontrate nei lavoratori italiani immigrati in Svizzera.

43 Il testo rumeno: “Maică, străină ca mine/ Nu e nimenea pe lume,/ Numai cucul din pădure./ Dar nici ăla nu-i ca mine,/

C-are şi el pe oarcine.”

44 Il testo rumeno: “Că de cînd m-am străinat,/ Limba-n gură s-a uscat./ Buzele s-a-mbăşicat.”

45 Il testo rumeno: “Trimisu-mi-o mama carte/ P-un noruţ de vreme rea,/ Să mă duc pînă la ea;/ Si eu i-am trimes napoi,/

Sono triste ed amareggiato,/ E dai miei parenti separato. (Mohanu, 1975, p. 456)46

Dal punto di vista medico, questo tipo di esperienza si inserisce nella nozione di “crisi della presenza” utilizzata da Ermesto De Martino per descrivere lo stato delle persone deprivate dei riferimenti tradizionali di uno spazio, di un tempo e di un ambiente sociale proprio.

Docteur, pouvez-vous m’aider a oublier?, chiedeva uno dei pazienti di cui parla Beneduce (1998) nel suo libro. Lo sforzo dello “sradicato” di dimenticare il trauma della separazione e della perdita dello spazio familiare trova, nella mentalità rumena tradizionale, solamente un’ultima soluzione, quella dei suicidio – provato o desiderato nel momento in cui l’individuo diventa “straniero a se stesso” e non trova più le risorse per adattasi:

E delle volte sento proprio così,/ Di buttarmi viva nell’acqua.

Invece di vivere sola sulla terra,/ Meglio morta nella tomba. (Mohanu, op. cit, p. 459)47

Un set di “lamenti”, frequenti nelle poesie tradizionali dedicate allo “sradicato”, creano l’immagine di una bestemmia esistenziale, perché alla ragazza migrante le viene rifiutata ance la soluzione dei suicidio48, motivata dall’intensità troppo alta della sua condizione di “straniera”:

Straniera sono, Dio, straniera,/ Sono talmente straniera e povera, Che non mi annega neanche l’acqua./ Per troppa vita tra gli stranieri Il mondo per me è diventato brutto./ Per troppa lontananza

Il mondo per me è diventato pesante./ Perché sono troppo povera e troppo straniera Non mi tranquillizza più neanche l’acqua. (Folclor din Oltenia si Muntenia, p. 455)49

Tre i numerosi significati della “diaspora”, evidenzia il sociologo Robin Cohen (1997), presso popoli come gli ebrei, i palestinesi o gli armeni, il termine acquisisce le connotazioni di un “trauma collettivo” e promuove l’immagine di una “tradizione della vittima”. Gli accenti tragici rispecchiati nei testi rumeni tradizionali si iscrivono sulla stessa linea, senza offrire all’individuo la possibilità di un ritorno o di un superamento della condizione di “vittima del destino”.

Sulle alternative di questo dramma dell’individuo messo, attraverso la migrazione, nella situazione di continuare ad essere se stesso davanti a due mondi, a due spazi in continua

46 Il testo rumeno: “Că de năcăjit ce sînt/ Nu mă ştiu om pe pămînt,/ Năcăjit şi supărat,/ Şi de neamuri străinat.”

47 Il testo rumeno: “Şi-aşa-mi vine cîteodată/ Să m-arunc de vie-n apă./ Decît singur pe pămint,/ Mai bine moartă-n

mormînt.”

48 Anche se in alcuni casi è un gesto esemplare, il suicidio non è accettato nel contesto rurale tradizionale e dalla

religione ortodossa. Il suicida viene tutto oggi seppellito ai margini del cimitero, se non proprio al di là dei confini del cimitero, senza poter beneficiare di un servizio religioso.

49 Il testo rumeno: “Străină-s, Domane, străină,/ Sînt străină şi săracă,/ De nici apa nu mă-neacă./ De străinătate multă/

competizione dentro di lui, Tzvetan Todorov (1996), il teorico bulgaro auto-esiliato a Parigi, scrive nei termini di una possibile “transculturazione”. L’angoscia della doppia appartenenza, secondo lui, si trasforma in una convivenza delle due voci interiori solamente nel momento in cui l’individuo è capace di stabilire una gerarchia che porti ad una nuova esperienza. “Dominare la propria tradizione” porta, nell’incontro con l’alterità, alla formazione di uno spirito tollerante e critico nello stesso tempo, capace di permettere all’individuo di guardare alla propria cultura da una prospettiva esterna. Il migrante, quindi, tenderebbe verso la posizione privilegiata di un antropologo.

Le concezioni dei contadini rumeni sulla migrazione, contenute nei testi folcloristici, formano il sottofondo di una visione personale di questo popolo sull’allontanamento dell’individuo dal Paese di origine. Come emergerà dal paragrafo 3.1.3, la migrazione rumena degli ultimi anni è caratterizzata da flussi circolari, dalla permanenza temporanea all’estero. Quindi, il senso di colpa e di spaesamento, il legame forte con il luogo di nascita, la nostalgia di estreme intensità sono probabilmente dei sentimenti e delle attitudini costruite, ereditate dal mondo contadino arcaico e