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Un approccio transnazionale alla presenza di minori “non accompagnati” a Bologna

4.1. Le rappresentazioni culturali dei minori “non accompagnati”

4.1.1. La terminologia rumena e italiana

Nel linguaggio ufficiale, il termine per denominare i ragazzi sotto 18 anni presenti senza un tutore legale sul territorio di uno stato straniero, variano in base all’ente che lo usa, alla strategia – politica e sociale che si segue, ecc. Uno sguardo alla terminologia europea, nota la preferenza per alcune definizioni che non siano la traduzione esatta del termine americano “separated children”.

In Italia, l’espressione più diffusa è quella di “minore straniero non accompagnato”,che spiega Emma Collina, Responsabile del Servizio Emergenza Minori del Comune di Bologna,

è stata probabilmente scelta eliminando altre opzioni, nell’assenza di una denominazione per una tale realtà. La differenza, però, tra “separato” e “non accompagnato” sta nella connotazione della realtà che la sfera semantica possa suggerire: nel primo caso le associazioni portano verso significati come “staccato”, “allontanato”, lasciando spazio anche all’idea di un azione compiuta al di là della volontà del protagonista. Invece nella seconda formulazione, il temine evoca uno stato di “solitudine”, di “abbandono”. Ritengo importante questa breve riflessione sulla terminologia in uso dato che spesso dietro ad essa vengono messe in atto delle risposte diverse e soprattutto si crea una rappresentazione, un “orizzonte di attesa” che ha delle sfumature varie. Giovanna Campani e Jochen Blaschke (2002, p. 9) spiegano l’utilizzo del termine “minore non accompagnato” attraverso la mancanza di protezione “legale” in cui si trovano questi ragazzi “mal accompagnati”, nonostante la conoscenza del fatto che raramente un minore straniero arriva in Italia da solo.

In Romania, il termine più frequente (possibile da osservare sia nei documenti ufficiali che nella stampa) è quello di “copil neînsoţit”, che sarebbe la traduzione della fusione tra il termine americano e quello italiano, significando “bambino non accompagnato”. La parola “bambino” viene spontaneamente associata al mondo dell’infanzia, alla piccola età, ad un immaginario legato alla vulnerabilità, all’innocenza, ecc. La realtà della migrazione di minori fuori dai confini del loro paese, parla di una maggioranza di adolescenti tra 14-18 anni, con la prevalenza della fascia 16-18, per cui l’inclusione nella categoria di “bambini” sarebbe limitativa. Il problema, considera il sociologo Alessandro Bosi,

non è una questione di linguaggio, ma il fatto che noi ci siamo abituati a pensare il bambino nella realtà occidentale che considera il mondo dei bambini un mondo angelicato. La parola ‘minore’ ha le radici nel periodo Illuminista, col significato di un essere umano ‘dimezzato’, ‘incompiuto’, mentre la parola ‘bambino’ proviene dal latino ‘bamba’, cioè ‘lo sciocco’.99

Un’etimologia che crea una visione simile è quella della parola “infante”, proveniente dal latino “infans”, denominando “colui che non parla”. Spesso, come risulta dalle testimonianze dei ragazzi stessi e dall’esperienza dei servizi sociali, il minore che arriva in un paese straniero ha un progetto migratorio proprio, molto simile a quello di un adulto.

Il fallimento dei servizi rivolti ai minori non accompagnati, sta nell’errore di infantilizzarli quando a loro servono dei percorsi da adulti,

Nota l’antropologa Vincenza Pellegrino.100 Una delle problematiche legate al sistema d’ accoglienza

italiano rivolto ai minori “non accompagnati”, sta’ proprio nel ritmo rallentato a cui i ragazzi si devono adattare, ma che rifiutano, in quanto il loro percorso migratorio, ideato spesso a breve termine, segue dei ritmi molto più veloci, in vista di un guadagno rapido o come conseguenza alla cosiddetta “libertà” di frequentare posti e situazioni destinate al mondo degli adulti.

In Romania, il fenomeno dei “minori non accompagnati” ha una storia recente – di circa cinque anni- e coinvolge il paese come luogo di “esportazione”, di “transito” e di “destinazione” dei flussi di minori migranti (in quanto la Romania ha vari progetti di accoglienza rivolti ai rifugiati provenienti da paesi come Iraq, India, China, Somalia, Palestina e Afghanistan). La scelta della terminologia – “bambini non accompagnati” - potrebbe rispecchiare un messaggio rivolto ai paesi di destinazione dei minori rumeni, accentuando la gravità del fenomeno, in quanto il termine “bambino” implica una maggiore drammaticità del progetto migratorio, in assenza dei genitori, o nei casi in cui sono i genitori stessi gli sfruttatori dei propri figli.101 La scelta studiata dell’utilizzo

nel linguaggio ufficiale della parola “bambino”, per denominare tutti i minori rumeni migranti, allontana ancora di più la possibilità di interventi sul territorio italiano, capaci di prendere in considerazione i bisogni, i desideri, i sogni ed i progetti degli adolescenti che migrano. Da una parte il minore può accedere a dei diritti universali, fondamentali nel contesto migratorio, ma persiste il rischio di una visione centrata sulla figura del bambino, la quale diminuisce le straordinarie capacità

99 Intervento nel quadro del Convegno regionale “Equal Palms” del 16 novembre, 2005 100 idem

101 Il sottotitolo di un articolo sul giornale rumeno Ziua del 26 novembre, 2004, parla della Romania come “esportatrice

di bambini”. L’autrice, la giornalista Corina Scarlat, usa però la parola “prunc”, equivalente a quella di “copil” un termine particolare per denominare il “bambino”. La scelta di questo termine è suggestiva in quanto “prunc”, con profonde connotazioni arcaiche nella lingua romena, è legata nell’immaginario del Paese all’immagine di Gesù Bambino, chiamato sia nei testi biblici che nell’iconografia “pruncul Isus”- “Gesù bambino”.

di progettazione e di adattamento dei ragazzi rumeni cosiddetti “non accompagnati” presenti nelle città italiane.