L’immigrazione rumena verso l’Italia
3.3. Strategie della migrazione rumena – forme legali ed illegal
3.3.3. Più pendolari che nomad
Potrei partire subito,/ Ma cosa vuoi tu, paese straniero,/ Separare il fratello dal fratello/ Vuoi che lascio dietro la mia famiglia piangendo/ Dio, se potessi cambiare un po’ la mia sorte/ Perché mi sono stufata dalla vita dura/ Di correre sempre dietro ai soldi/ Ma tu che vuoi, paese straniero,/ Separare il fratello dal fratello.
Così recita un’altra “manea” interpretata da Liviu Guţă, uno dei più famosi cantanti rom rumeni per quanto concerne questo genere musicale. Spesso queste canzoni accompagnano i rumeni all’estero, fanno parte della valigia dell’immigrato e si diffondono in Italia anche attraverso la televisione rumena che ha un canale dedicato esclusivamente alla musica delle “manele”.
A Villa Salus non c’è la connessione ad internet, ma ogni famiglia ha montato sulla finestra della stanza un’antenna parabolica per vedere la televisione rumena, PROTv International e il canale dedicato esclusivamente aelle manele. Queste musiche, le telenovele e i telegiornali rumeni fanno da sottofondo in ogni camera e vengono seguiti e apprezzati da tutte le famiglie dello stabile.
La scelta di emigrare diventa per i rumeni, a partire dal ’90, l’unica possibilità per affrontare i cambiamenti di un Paese in transizione. Necessità che aveva vissuto anche la generazione dei contadini rumeni a ridosso e subito dopo la Prima Guerra mondiale, i quali hanno compiuto dei lunghissimi viaggi – a piedi e poi in nave – per andare a lavorare nelle miniere degli Stati Uniti. Molti tra questi emigranti, dopo anni di duro lavoro, sono tornati nei loro villaggi, hanno costruito delle case e comprato del bestiame. Dalla ricerca effettuata a Bologna da Mimmo Perrotta (2007a) su lavoratori rumeni provenienti dall’Oltenia emerge l’eterogeneità della composizione dei flussi migratori provenienti da questa zona:
partono dall’Oltenia operai, contadini, artigiani, musicisti, muratori, pastori, impiegati, giornalisti, ingegneri. Non parte dalla Romania quella classe di “nuovi ricchi” che più ha tratto giovamento e guadagno, anche grazie alle speculazioni, dai processi economici messi in atto dopo il 1989: privatizzazioni, vendita del patrimonio statale, liberalizzazione del mercato, arrivo di investimenti dall’estero. (p. 98)
Le motivazioni alla base di questi viaggi di rumeni – rom e non - che sono arrivati in Italia negli ultimi anni sono rimaste le stesse, anche se spesso “i conti fatti a casa non combaciano con quelli che trovi al mercato” come afferma un proverbio popolare del Paese.
Molti canti rumeni parlano di queste migrazioni, soprattutto in termini di una scelta di vita dolorosa, e somigliano a veri e propri lamenti funebri. La partenza, l’abbandono del proprio villaggio, della famiglia, è sempre equiparata, soprattutto nell’immaginario popolare della provincia rumena, alla morte, la morte simbolica di chi va in cerca del “miele più dolce,/Perché in questo paese/ Anche il miele è amaro!”(Flori alese, 1967).
Quindi la partenza, l’allontanamento è la conseguenza di una maledizione, di una cattiva sorte in cui l’individuo assume lo statuto ontologico di “straniero”.
Molti abitanti di Villa Salus raccontano di essersi sentiti già “stranieri” in Romania, dove la discriminazione agita dai rumeni nei confronti dei rom si fa sentire quotidianamente. Così Codri., da 4 anni a Bologna:
In Romania non puoi dire che sei rom se vuoi ottenere un posto di lavoro, ma lo sospettano lo stesso magari per la tua pelle più scura.
Craiova, la città capoluogo della Regione Dolj, considerata la capitale del Sud rumeno, si caratterizza per la presenza, all’interno del suo territorio, di tanti quartieri-ghetto - costruiti durante il Regime e caratterizzati dalla ricchezza architettonica del centro storico - circondati da un numero alto di ville lussuose.
I rumeni conoscono Craiova anche per via della sua squadra di calcio- Universitatea Craiova - e la fabbrica di macchine, Automobile Craiova, che una volta produceva “Oltcit”, poi è stata privatizzata e ha iniziato a costruire macchine coreane come la “Daewoo”. La città è stata per lungo tempo meta della forza lavoro dei villaggi intorno grazie all’industria del petrolio, quella chimica, automobilistica ed elettrica.
Vali Tîrnăcop, assitente sociale rumeno con il quale ho avuto il piacere di parlare della situazione in cui si trovano a vivere molti rom rumeni che vivono nei villaggi attorno alla città89 di
Craiova, originario di una città del Sud, così descrive questa città:
Craiova è una città bellissima, durante il comunismo si è aperta la fabbrica di macchine Oltcit e intorno hanno aperto tante piccole fabbriche per fare i pezzi che servivano per le macchine; era un’industria che
89 Lo studioso della popolazione rom in Romania, Lucian Cherata (2005, p. 51), attira l’attenzione sul ruolo che Craiova
ha avuto, già dal 1934, nella promozione del movimento dell’unità dei gruppi rom attraverso la pubblicazione di un giornale O rom (Il rom).
usava anche tante caldaie e quindi i rom erano bravissimi nel lavorare in questo campo e sono venuti a Craiova anche da altre città. Così si sono create delle grosse comunità. (discussione informale presso il
Centro di Transito di Satu Mare nel giugno del 2006)
Dopo l’89 la transizione che ancora adesso sta attraversando l’intero Paese è stata causa della crisi di molti settori dell’economia rumena. Di conseguenza si è registrato un alto tasso di disoccupazione che ha colpito maggiormente ll popolazione considerata già “povera” e “disagiata”, tra cui numerosi rom.
Questo racconta Miha., che ha abitato a Villa Salus insieme ai figli, alle nuore e ai nipoti: Lavoravo nell’industria dell’estrazione del petrolio, facevo il pendolare dal villaggio nella città, tornavo a casa solo il fine settimana. Solo che all’inizio degli anni ’90 le cose cominciarono a non funzionare più, le privatizzazioni, la riduzione del personale. Ho lavorato per 18 anni nell’estrazione del petrolio. Era duro, c’era tanta sporcizia ma si guadagnava, sai com’è nella vita, in ogni cosa c’è una calda e una fredda! Poi una volta disoccupato, sono tornato nel villaggio a lavorare la terra….presso quelli che ce l’avevano, a giornata.
Così Gin., che ha abitato a Villa Salus:
A Craiova mio marito lavorava nell’estrazione del petrolio, poi è stato licenziato, tanti hanno perso il lavoro. Era 14 anni fa. Anche la fabbrica “Oltcit” è stata comprata dai giapponesi, fanno la “Matiz”. Io ho lavorato in una cooperativa di sartoria, dopo è fallita e sono rimasta disoccupata. Prendevo 20 euro, praticamente un bel niente!
Così suo marito, Crist.,:
Lavoravo nell’estrazione del petrolio, si guadagnava, solo che nel ’92 sono rimasto disoccupato, nel villaggio non avevamo la terra, quindi avevo cominciato a confezionare le ceste di canna che i contadini usavano spesso.
La madre di Codri. ricorda che:
Era difficile, mio marito era l’unico che lavorava, aveva uno stipendio basso. Lavorava a Craiova. Era un controllore di tombini, guadagnava poco e non ci bastavano i soldi, non ci bastavano per fare niente… prendeva circa ottanta euro al mese…A Craiova facevo fatica a trovare lavoro…lavoravo in città, dai privati, non ti chiedono nemmeno se sei minorenne. Pagavano circa 200 lei al giorno. Ma sai anche tu, con 200 non puoi fare nulla, sono circa 6 euro al giorno, in Italia al meno con questi soldi compri una gallina e mangi!
E’ di 200 mila lei, ma cosa te ne fai di questi soldi per un mese? Da noi è tutto alla rovescia, i prezzi crescono e i salari scadono! Con 200 mila al giorno non compravi una gallina, al meno in Italia una gallina la compri con i soldi che ti danno per un’ora!
Negli ultimi 10 anni Craiova ha conosciuto un forte afflusso di investimenti stranieri. Dopo il consorzio “Daewoo” al secondo posto vi sono le aziende italiane incoraggiate probabilmente dalla presenza di un Consolato italiano onorifico, frutto della presenza di una comunità arrivata intorno alla Prima Guerra mondiale, oggi mescolata con la popolazione rumena.
Nella ricerca sul movimento migratorio rumeno la sociologa Dana Diminescu dedica un’attenzione particolare al rapporto villaggio-città e afferma che molti cittadini hanno messo in atto le prime “pratiche migranti” nel periodo in cui sono stati costretti a fare i pendolari all’interno del Paese:
I contadini spostati in città durante il periodo comunista per compiere il processo di sopra-industrializzazione (di stampo stalinista) non sono mai diventati una classe operaia, ma un gruppo sociale di contadini operai. Il villaggio è rimasto lo spazio simbolico dell’appartenenza per migliaia di urbanizzati recenti e per tutti quelli che facevano i
pendolari. (Diminescu, 2003)
Dal 2001 il governo rumeno ha attivato una politica di inclusione espressa nella “Strategia Nazionale per Migliorare la Condizione dei Rom” e gestita dall’Agenzia Nazionale per i Rom. In seguito, numerose associazioni ed organizzazioni governative e non governative hanno realizzato dei progetti in base a questo documento ufficiale90.
Nel “Rapporto di monitoraggio delle situazione dei rom rumeni dopo il 2001”, i ricercatori di “Save the Children” – con sede in Romania - evidenzia alcune problematiche che sembrano essere irreversibili legate ai cittadini rom rumeni soprattutto dei villaggi – gli stessi che hanno abitato Villa Salus91. La principale fonte di reddito nelle comunità rom - sia in campagna che in città
- è rappresentata dal reddito minimo garantito, cioè dall’aiuto sociale statale che arriva a 50 – 60 euro - in base al cambio monetario -, che è anche lo stipendio minimo percepito ancora da numerosi lavoratori rumeni. Altre entrate arrivano dalle pensioni - per chi le percepisce - ovvero circa 80 euro al mese e dall’aiuto sociale per i figli (Save the Children, 2006). Emerge dalla ricerca la difficoltà di trovare un posto di lavoro fisso – molti rom rumeni considerano inutile lo sforzo di fare i pendolari per 90 euro al mese e sopportare anche i costi di trasporto - circa 50 euro mensili – per guadagnare pochi soldi. Inoltre, lo studio ha registrato un basso livello di istruzione e la
90 Vedi il sito ufficiale dell’Agenţia Naţională per i Rom: www.anr.gov.ro
91 Save the Children, una delle più grandi organizzazioni internazionali indipendenti per la difesa e la promozione dei
preoccupazione di molti cittadini rom rumeni di essere oggetto di discriminazioni continue per via della pelle più scura –anche per questo molti rimangono a vivere in campagna, sopravvivendo con la raccolta dei frutti di bosco, la vendita dei bucaneve in primavera, di scope di paglia, di funghi, il riciclaggio dei rifiuti per poi in inverno “ibernare come l’orso” (Save the Children, 2006a).
Leonardo Piasere, autore di numerosi saggi e libri sul mondo dei rom, sostiene che il rifiuto di un lavoro salariato fa parte di una tra le tante “strategie economiche alternative” che i rom hanno sempre sviluppato per contrastare il modello di vita dei “gage”. “Degagizzando” anche il lavoro, che di conseguenza non ha un carattere fisso ma un aspetto transitorio, adatto al contesto in cui il gruppo o l’individuo sono inseriti per un certo periodo, i rom si sottraggono alle regole che ordinano la vita quotidiana di un non rom (Piasere, 1999).
Nel Rapporto sulla Valutazione dei Programmi per le Comunità Rom in Romania realizzato nel 2005 dall’Agenzia di Sviluppo Comunitario “Impreună” – “Insieme” - all’interno del Programma dello Sviluppo in Romania delle Nazioni Unite, uno dei rappresentanti finanziatori così sintetizza la situazione dei rom:
Le priorità sono legate alla situazione economica e sociale disastrosa direi, delle comunità rom isolate, o in generale delle microcomunità rom dei villaggi, delle città, come per esempio Ferentari a Bucarest, i quartieri molto poveri di rom a Craiova, Timişoara. Certo che esistono delle comunità rom molto ricche, ma purtroppo queste sono troppo pubblicizzate e si parla troppo poco dei quartieri rom molto poveri. E sapete cosa succede? Nel momento in cui non esiste una soluzione a livello nazionale, o non esistono delle politiche molto chiare per dei problemi come la disoccupazione dei rom, le possibilità di essere assunti, il counseling, la mediazione nelle comunità per permettere a queste persone di avere accesso ad un servizio dove poter assicurare una vita decente alle loro famiglie, vi rendete conto che tutti gli altri problemi derivano da qui, e che esse siano delle priorità. L’educazione per i rom è una priorità, come una priorità è anche quella di avere i bambini rom negli asili, per poter permettere a loro di continuare dopo con la scuola […]. Una priorità è l’educazione alla sanità o la garanzia di condizioni di vita decenti, che alla fine significa anche pubblica sanità, condizioni abitative, l’accesso alle comodità che la società attuale offre. Quanti rom hanno accesso ad un computer, quanti di loro hanno accesso ad un centro comunitario dove poter trovare delle informazioni? Se dovessi mettere queste priorità in un certo ordine, direi che prima di tutto la società rumena deve risolvere il problema dell’educazione di qualità per i rom, e dopo il problema del lavoro, della formazione professionale, l’alfabetizzazione e tante, tante altre cose. Lavoro, abitazione, sanità (Agenţia pentru Dezvoltare Comunitară, 2005).
Altri rappresentanti finanziatori affermano nel Rapporto che i problemi delle comunità rom sono uguali in tutte le regioni rumene, nonostante le differenze al livello economico tra la regione dell’Oltenia, la zona del sud del paese, e la Transilvania, per esempio, considerata come la zona più sviluppata, più occidentale della Romania.
Ho appena attraversato il confine/ e il mio cuore piange/ Chissà come sarà dall’altra parte/ O quando tornerò… I soldi, i soldi, i soldi,/ Che li bruciasse il fuoco!/ Sono loro che ti fanno girare il mondo
Non sono andato via di casa perché vivevo bene/ Ma per fare dei soldi per i miei figli/ Così da far vedere ai nemici chi sono/ Non sono partito perché vivevo bene/ Ma per non essere preso in giro dai nemici,/ Non per fare dei soldi per me, ma per i miei figli
I soldi, i soldi, i soldi,/ Che li bruciasse il fuoco!/ Sono loro che ti fanno girare il mondo…
Se avessi i figli già grandi/ Non girerei il mondo per i soldi./ I figli non sanno che i soldi non ce li hai/ Ma a loro li devi dare.
Secondo i dati ufficiali: più di un terzo dei nuclei familiari rumeni, circa due milioni e mezzo, ha almeno un membro che è andato all’estero dopo il 1989 (Fundaţia pentru o Societate Deschisă, 2006).
Nella storia recente dell’immigrazione rumena si possono individuare tre tappe che si distinguono non solo per l’intensità ma anche per le caratteristiche. Durante la prima tappa, 1990-1995, i principali paesi di destinazione dell’emigrazione rumena sono l’Israele, la Turchia, l’Italia, l’Ungheria e la Germania. Nella seconda tappa, 1996-2001, i rumeni emigrano spesso anche nella Spagna e negli Stati Uniti - tramite vari programmi di lavoro stagionale rivolto agli studenti, agli infermieri professionali, ecc.. Dopo l’apertura dei confini dello spazio Schengen nel 2002 - i rumeni da allora possono viaggiare senza avere bisogno di un visto turistico - cambiano sia le modalità di viaggio che i flussi, e
l’Italia attira la metà delle partenze, mentre la Spagna un quarto […]. Le persone dall’Oltenia cominciano a orientarsi soprattutto verso l’Italia (Fundaţia pentru o Societate Deschisă, 2006)
Le fonti non ufficiali parlano di circa un milione e mezzo di rumeni presenti sul territorio italiano, mentre i dati ufficiali dell’Istituto Italiano di Statistica pubblicati nel 2006 segnalano una presenza di 297.570 rumeni regolari: quindi lo scarto tra il numero di migranti legali, con un permesso di soggiorno, e quelli illegali è significativo per descrivere la tendenza clandestina dell’emigrazione rumena (Fundaţia pentru o Societate Deschisă, 2006).
Nelle interviste realizzate da Mimmo Perrotta (2007a) a lavoratori rumeni e rumeni rom provenienti da Craiova la motivazione ricorrente per la scelta di emigrare è quella economica, “per lavorare”. Questa continua messa in mostra delle buone intenzioni per la partenza sono motivate, in parte, dalle problematiche legate al contesto della transizione rumena. In parte, sostiene l’autore, questa affermazione è spiegabile attraverso le rappresentazioni che il contesto di partenza e quello di approdo costruiscono sul migrante:
il lavoro è l’elemento che consente, attraverso un sacrificio, di mantenere un legame stretto con il contesto di provenienza. A questa autorappresentazione contribuiscono sia la “comunità” di partenza, che continua a pensare gli emigrati in quanto lavoratori che restano legati ad essa, sia, con più forza, la società d’immigrazione, per la quale l’immigrato è ammissibile soltanto in quanto “braccia” o “manodopera”. (p. 125)
La storia dell’emigrazione in Italia è quella di un percorso verso la legalità, se letta anche attraverso le lenti del Comune di Bologna, che ha sempre dichiarato l’intenzione di regolarizzare il più possibile i numerosi clandestini e lo stesso gruppo di abitanti di Villa Salus, arrivati in Italia a cavallo del secondo flusso migratorio del 2002.
Il viaggio verso l’Italia cambia strategia costo in base alle politiche migratorie rumene e comunitarie del momento. Prima del 2002 la migrazione rumena è caratterizzata da una forte clandestinità: anche le persone che escono dal Paese con un visto turistico sul passaporto - di durata di una o di due settimane - sono costrette ad ottenerlo per vie illegali, o addirittura procurandosi un passaporto falso:
Ali., immigrato rumeno di Craiova, attualmente a Bologna:
Non sono riuscito a comprare un visto italiano, ma uno spagnolo, pagando nel 1999 tre mila marchi…circa 1.500 euro di oggi. Sono andato prima in Spagna, ma da lì sono partito subito per l’Italia, i confini tra questi Paesi…Schengen, come si chiama, erano aperti.
Alexand., immigrata rumena di Craiova, attualmente a Bologna92:
Nel 2000 il mio ragazzo era già a Bologna e mi mandò dei soldi per pagare il viaggio. Contattai una persona di fiducia che conosceva mia madre e pagai a lei 3000 marchi che mia madre ottenne ipotecando la casa. La donna mi portò un passaporto ungherese con la mia foto sopra. Siamo stati per 3 giorni in Ungheria, non mi ricordo quale città, dopo partimmo per l’Italia. Io e le altre persone con me dovemmo imparare a memoria i dati dei nuovi passaporti, ma poi andò tutto bene.