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Parte III: Analisi del discorso pubblico

8. L'eccezionalismo polacco e la figura della Matka Polka

9.3 Gli approcci alla liberalizzazione dell'aborto

Il dibattito sulla liberizzazione dell'aborto vede spesso il contrapporsi di due approcci: quello basato sui bisogni (needs-based) e quello basato sui diritti (rights-based). Per esempio, la posizione pro-vita, quando riconosce la possibilità di sottoporsi a un'interruzione di gravidanza in alcuni casi specifici (solitamente in caso di grave rischio per la salute della madre o di irreversibili malformazioni del feto), si riferisce a determinati bisogni – contrapposti al diritto alla vita del nascituro. Anche il discorso tipico della posizione pro-scelta presenta la stessa bipartizione e in quello polacco, in particolare, convivono entrambi gli approcci.

Rosalind Petchesky (2000), tuttavia, mette in guardia da questa dicotomia che, sostiene l'autrice, contiene un implicito pregiudizio di genere. Affermare una bipartizione fra diritti e bisogni e, come parte di questa, una gerarchia che subordina alcuni bisogni (specialmente nel

campo della riproduzione e della sessualità) ad altri è secondo Petchesky profondamente errato. La dicotomia implica che i bisogni individuali e i bisogni sociali, o bisogni e diritti, appartengono a sfere differenti. Alcuni autori sostengono che il concetto stesso di diverse “generazioni” di diritti implica la priorità dei diritti “civili e politici” su quelli “economici e sociali”. Questa prioritizzazione ha inoltre un lato avaro, come osserva Florence Butegwa (1995: 34): «I diritti civili e politici sono caratterizzati come negativi e gratuiti (privi di costo), poiché i governi devono solo astenersi da attività che li violerebbero. In contrasto, i diritti economici, sociali e culturali richiedono ai governi di fare qualcosa, impiegando quindi notevoli risorse, per assicurare il godimento individuale di questi diritti». Sotto la dicotomia diritti/bisogni c'è un errore di base, in quanto essa ignora che i diritti non sono altro che la codificazione dei bisogni, riformulati come norme etico-legali e implicanti quindi il dovere da parte dei governi di fornire tutti i mezzi necessari per assicurare che questi bisogni trovino soddisfazione. Questo dovere è sia affermativo sia negativo, ossia gli organi dello Stato hanno un obbligo non solo di rispettare (ossia di non danneggiare), ma anche di intraprendere azioni positive per assicurare il godimento di tali diritti (Copelon e Petchesky, 1995).

I diritti riproduttivi sono riconosciuti dal diritto internazionale come facenti parte della categoria dei diritti umani, come è stato esplicitamente affermato durante la conferenza internazionale su popolazione e sviluppo tenutasi al Cairo nel 1994. In quell'occasione, fu sviluppata una definizione di “salute riproduttiva”, che includeva il diritto alla salute sessuale, il diritto di accedere a metodi di pianificazione familiare sicuri, efficaci e a buon mercato e il diritto a servizi sanitari appropriati per permettere una gravidanza e un parto sicuri. Questo approccio olistico alla salute riproduttiva è stato confermato in numerosi trattati e convenzioni internazionali successivi. In Polonia, la possibilità di controllo delle donne sulla propria fertilità è molto limitata, non solo per la legislazione restrittiva sull'interruzione di gravidanza, che affronteremo più approfonditamente nei capitoli successivi, ma anche per i costi dei contraccettivi ormonali e la necessità, imposta dalla legge, di una prescrizione per l'acquisto della contraccezione d'emergenza. Data la limitata finestra temporale a disposizione e la frequente invocazione da parte dei medici della clausola di obiezione di coscienza, l'accesso effettivo a questa possibilità è pressoché nullo. Non sono previsti, sul territorio nazionale, consultori o altri servizi di informazione e consulenza per i giovani relativamente alla sessualità.

Come sopra accennato, i sostenitori della posizione pro-scelta in Polonia avanzano, a grandi linee, due argomentazioni principali: in primo luogo il diritto della donna all'autodeterminazione e, in secondo luogo, la necessità di consentire l'aborto per ragioni socio-economiche allo scopo di

evitare il ricorso a procedure clandestine potenzialmente pericolose. Queste ragioni rientrano nei due macro-approcci adottati nel dibattito sui diritti riproduttivi: rights-based e needs-based. Nel caso polacco, l'introduzione della legge sull'aborto e la sua liberalizzazione sono state entrambe guidate da ragioni pratico-funzionali piuttosto che etiche: a spingere i legislatori sono state le statistiche sulle morti causate dagli aborti clandestini e non considerazioni sull'autonomia della donna o sul suo diritto all'autodeterminazione. Inoltre, il diritto all'interruzione di gravidanza è stato “concesso / imposto dall'alto”, in Polonia come negli altri Paesi del Blocco Sovietico, e non è stato quindi frutto dell'operato di un movimento ad esso dedicato. In particolare, il movimento femminista in Polonia è stato debole e di scarsa o nulla rilevanza fino alla fine degli anni '90, il che ha portato anche a una sostanziale assenza di un discorso pubblico pro-scelta.

La genesi passiva del diritto all'aborto in Polonia è parte caratterizzante della sua realtà tanto quanto la situazione religiosa: un diritto concesso può essere tolto molto più facilmente di uno guadagnato, tanto più in assenza di un gruppo capace di opporre resistenza. Infatti, quando nel 1993 la legislazione fu nuovamente modificata in funzione di una limitazione dell'accesso all'aborto, le argomentazioni pro-scelta (needs-based) risultarono inefficaci nel discorso pubblico e incapaci di mobilitare un sostegno, tanto più quando statistiche ufficiali rivelarono che la mortalità femminile a seguito di procedure abortive clandestine non era incrementata con l'imposizione delle restrizioni. Nel dibattito pubblico sulla possibilità di una liberalizzazione dell'accesso all'aborto, le ragioni avanzate a favore di questa proposta erano basate principalmente su realtà socio-economiche e facevano riferimento a due argomentazioni principali: (1) le difficili condizioni di vita possono condurre una donna a decidere di interrompere una gravidanza e (2) una legislazione restrittiva può condurre a conseguenze negative per la salute della donna stessa, che potrebbe essere spinta a ricorrere a rischiose procedure clandestine. Anche i sostenitori delle posizioni pro-scelta dipingevano quindi le donne come non-autonome, vittime degli stenti e di una legislazione restrittiva, mentre il concetto di “diritto di scelta” è stato per lungo tempo escluso dal dialogo. L'approccio needs-based, prevalente nel discorso pubblico, e la retorica attorno ad esso costruita limitano l'autonomia femminile, rafforzando il modello patriarcale di società e sottraendo legittimità alla figura della donna come attore sulla scena politica. Questo approccio implica anche che l'accesso all'aborto è condizionale e condizionato – dallo stato di salute della donna e del feto, dalle condizioni economiche, eventualmente dalla disponibilità di anticoncezionali. Per contro, l'approccio rights-

based pone l'accesso all'aborto come incondizionato.

Polonia mancasse una tradizione di discorso pubblico (e del linguaggio ad esso connesso) sui diritti della donna e in particolare sul diritto di scelta. Inoltre, come già accennato e come vedremo più approfonditamente nei capitoli successivi, il fatto che l'ampliamento delle possibilità di accesso all'aborto fosse stata introdotta dal governo comunista delegittimò grandemente la posizione liberale in tema di diritti riproduttivi. Ci vollero anni perché i movimenti pro-scelta riuscissero a introdurre il concetto di diritto della donna nel discorso pubblico in Polonia, grazie anche al sostegno di istituzioni e organizzazioni non governative internazionali come la Commissione dell'ONU per i Diritti Umani e il Centro per i diritti riproduttivi (Center for

Reproductive Rights196). La Federazione per le donne e la pianificazione familiare (Federation for

Women and Family Planning / Federacja na rzecz Kobiet i Planowania Rodziny), la principale

ONG pro-scelta in Polonia, ha presentato all'ONU nel 1999 e ancora nel 2004 relazioni sulla violazione dei diritti delle donne in Polonia, sulla base del riconoscimento da parte della Corte Europea dei Diritti Umani del fatto che le leggi restrittive sull'aborto violano i diritti delle donne (si veda il capitolo 11.9.1).

Małgorzata Fuszara (1993, 1994, 2001) aggiunge un'ulteriore strategia legata al binomio diritti/bisogni nella costruzione del discorso pubblico sull'aborto in Polonia: la contrapposizione fra i diritti della donna e quelli del feto. L'autrice sostiene che tramite l'istituzione del nascituro come soggetto di diritto sia stato possibile un trasferimento di diritti da un soggetto all'altro. Tramite questo processo, il feto è separato più dalla madre e gode di identità autonoma (Petchesky, 1990). Questo spostamento di diritti è riscontrabile nella sentenza della Corte Costituzionale polacca (Decisione del Tribunale Costituzionale del 28 maggio 1997, nr. K 26/96, per una trattazione più completa si veda il capitolo 11.6), secondo la quale la relazione fra genitori e nascituri deve essere protetta allo stesso modo di quella fra genitori e figli.