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Parte I: la Chiesa Cattolica e la costruzione religiosa della storia nazionale polacca

3. Il caso in esame: narrative nazionali e la diade Polak / Katolik

3.4 La (ri)costruzione della nazione nel periodo post-comunista

3.4.2 La “guerra delle croci”

Il ruolo del campo di concentramento di Auschwitz come simbolo universale del male (Alexander, 2002) è indiscutibile, ed è enfatizzato nella sua odierna trasformazione a monumento e memoriale. Nel suo libro The Crosses of Auschwitz, Geneviéve Zubrzycki approfondisce questo concetto relativamente alla realtà polacca, attribuendogli un doppio ruolo di pietra miliare: sia 117Sulla contrapposizione fra l'idea etnica e quella civica di nazione si rimanda a Zubrzycki (1997a, 2001).

nella storia nazionale polacca sia nella storia cattolica. Auschwitz (Oświęcim) è infatti anche un simbolo fondamentale per la Polonia, poiché fu originariamente istituito, nel 1940, proprio per contenere i prigionieri politici polacchi. Solo nel 1942, con l'adozione della “soluzione finale”, ad esso venne attribuita la funzione ulteriore di centro di sterminio, con la creazione di Auschwitz II – Birkenau a tre km di distanza. Per i polacchi, il campo rimase il simbolo del tentativo da parte dei nazisti di annientare la nazione sia culturalmente sia fisicamente, o in altre parole il simbolo del proprio martirio durante la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1947, il governo socialista sostenne questa narrativa creando il museo di stato di Oświęcim-Brzezinka, a commemorare “il martirio della Polonia e delle altre nazioni”118. Il nome attribuito al museo spiega già da sé il

racconto che esso porta avanti: sebbene i polacchi non fossero stati le sole vittime del campo di concentramento, essi ne erano le principali; la sofferenza polacca fu posta sotto i riflettori, mentre l'eccidio ebraico fu messo in disparte. Nel 1979, durante la prima visita in Polonia di Papa Giovanni Paolo II, Auschwitz fu consacrato come sito di martirio cattolico grazie alla Messa celebrata a Birkenau. Fin dal 1945, quindi, Auschwitz è stato l'espressione concreta di un trauma nazionale all'interno della narrativa dominante della storia polacca. Con la caduta del regime comunista, il luogo fu ridefinito nei termini dell'olocausto e la narrativa fu revisionata, sollevando quindi l'enfasi prima posta sulle vittime polacche. Questo processo produsse disorientamento nella nazione, o, in termini Durkheimiani, una forma di anomia. A sua volta, questa incertezza fornì le condizioni di sfondo in cui si sviluppò la guerra delle croci. Senza questi prerequisiti storici profondamente radicati e sentiti nella coscienza collettiva, il fenomeno della guerra delle croci, così come il significato stesso della croce nella cultura polacca – che va ben oltre il suo contesto religioso – sarebbe del tutto incomprensibile.

Nella primavera del 1988, si diffusero voci su una possibile rimozione della “croce papale”, ossia della croce appartenente all'altare su cui Giovanni Paolo II aveva celebrato la Messa nel 1979, dietro richiesta di una organizzazione ebraica119. Gli animi si infiammarono. Nel giugno

dello stesso anno, Kazimierz Świtoń, ex militante di Solidarność ed ex deputato KPN (Konfederacja Polski Niepodległej, Confederazione della Polonia Indipendente, formazione 118La narrazione era comunque portata avanti da un punto di vista socialista, indicando i prigionieri del campo di

concentramento come “vittime del fascismo”, poi liberati dalla gloriosa Armata Rossa.

119Fra i documenti utilizzati per questa parte della ricerca, è risultata particolarmente interessante la recensione del libro di Geneviéve Zubrzycki da parte di un ricercatore polacco. In essa, il focus dell'attenzione era spostato: la “guerra delle croci” non era più scatenata dall'azione di coloro che effettivamente piantano le croci (cattolici), bensì dalla protesta degli ebrei per la presenza della croce papale: «La guerra delle croci fu in sostanza un'esplosione di comportamento collettivo innescata dalla protesta dei leader ebrei ortodossi contro il posizionamento della croce sul perimetro del campo di Auschwitz in commemorazione della visita di Giovanni Paolo II». L'uso dei termini non è affatto casuale, ed è anzi molto significativo, in particolare laddove si menziona la “sanzione” papale, implicando sia che il posizionamento delle croci fosse in realtà naturale e legittimo, sia l'insormontabile natura della benedizione stessa.

politica destrorsa), attivista cattolico, chiamò i compatrioti a piantare croci sul terreno circostante, a protezione della “croce papale” ma anche per commemorare le morti dei polacchi in quel luogo (Świtoń invocava 152 croci per i 152 decessi documentati). Durante il reso dell'estate, numerosi individui e organizzazioni risposero all'appello, anche da oltre i confini nazionali, a dimostrazione che la questione risultò significativa anche per gli esponenti della popolazione emigrata. In meno di un anno (maggio 1999), il luogo era punteggiato di ben 322 croci (Zubrzycki, 2006; 2011). Świtoń e i suoi sostenitori avanzarono una visione del mondo che fondeva nazione e religione in un' unica realtà indifferenziata, così che (come affermava un popolare poster propagandistico) “difendere la croce è difendere la Polonia” (Zubrzicki 2006: 162). Secondo il punto di vista da loro propagandato, ogni tentativo di rimuovere le croci era parte di un protratto assalto contro la Polonia intera da parte dei suoi nemici, dipinti come “Ebrei” a prescindere dalla loro effettiva identità religiosa o etno-nazionale. L'installazione illegale di queste croci artigianali provocò una vera e propria “guerra della memoria” che vide contrapporsi due differenti narrative sul significato del campo di concentramento di Auschwitz e sfociò infine in una controversia sia nazionale sia internazionale. Attivisti, media ed esponenti della classe politica parteciparono vivacemente al dibattito che finì per ridurre il complesso ruolo di Auschwitz a uno stallo cristallizzato nello spareggio diretto fra la sofferenza polacca e quella ebraica, in un gioco a somma zero in cui c'era spazio per un solo vincitore. La “guerra delle croci” permise in questo senso un riconsolidamento, per quanto temporaneo, dell'identità nazionale polacca come identità cattolica, esclusiva ed antisemita.

La maggior parte delle croci piantate sul suolo di Auschwitz-Birkenau presentava iscrizioni rievocanti la sofferenza polacca; altre recavano citazioni bibliche, unendo il già menzionato anti- semitismo a una recrudescenza del messianismo martirologico: mentre gli Ebrei erano descritti principalmente come deicidi, il che giustificava la loro morte nel campo di concentramento quale

espiazione del proprio peccato, i Polacchi figuravano come vittime sacrificali. Come nella

narrativa messianica risalente all'epoca delle spartizioni, le vittime polacche dei nazisti avevano il ruolo di redimere il peccato del mondo. Questo linguaggio non si rispecchiava tuttavia nell'opinione pubblica: i “difensori” della croce erano descritti dalla maggior parte dei media come rappresentanti di una forma di nazionalismo retrograda e xenofoba, che non poteva trovare spazio nella dimensione pubblica di un paese sul punto di unirsi all'Unione Europea. Perfino alcuni esponenti del clero lamentarono che Świtoń stava politicizzando inappropriatamente un simbolo religioso e trascurando l'universalità della croce. Zubrzycki (2006) sostiene che la “guerra delle croci”, anziché confermare l'equazione Polak / Katolik, ci mostra come nel periodo

post-comunista i simboli cattolici siano contestati quali simboli di identità nazionale, erodendo la narrativa tradizionale. I conflitti culturali e politici della Polonia post-comunista erano re- inquadrati all'interno di un dibattito sull'identità nazionale e rappresentati simbolicamente nella controversia sollevata dalle croci di Auschwitz, che dimostra quindi il declino del linguaggio figurato religioso quale segnale indicatore di una forma specifica di identità nazionale e quindi la sua riconfigurazione all'interno di un nuovo set di contesti ideologici, culturali e politici. In ultima analisi, la campagna di Świtoń appare quasi una protesta contro questo spostamento simbolico, un tentativo fallito di fermare l'erosione di una visione del mondo un tempo egemonica. Il cattolicesimo, più in generale, è qui presentato non come una componente necessaria dell'identità nazionale polacca, quanto piuttosto come un set di simboli e metafore potenti utilizzato dagli attori pubblici in Polonia per perseguire una varietà di scopi.

Nel processo di perdita di significato dei simboli religiosi, non vanno trascurati tre fattori fondamentali: l'educazione, il ricambio generazionale, e la presenza, finalmente, di uno stato- nazione. Dalle analisi svolte dal CBOS dal 1995 al 2005, emerge infatti che la narrativa martirologica polacca relativamente ad Auschwitz, e più in generale il mito dell'intrinseca cattolicità del paese, è molto più diffuso fra le fasce più anziane della popolazione che fra quelle più giovani, specialmente per chi è nato dopo il 1989. Zubrzycki (2011) parla a questo proposito di “prossimità variabili” della mitologia nazionale agli individui, che a suo parere dipende da fattori generazionali, ideologici e di classe: coloro che sono risultati “perdenti” dall'integrazione europea si mostrano infatti più attaccati alla narrativa tradizionale e parlano dell'ingresso nell'Unione Europea come di una nuova spartizione, una nuova era sulla croce. Bisogna infine tenere in considerazione il fatto che la mitologia nazionale polacca fu articolata principalmente per affrontare una situazione di assenza di sovranità; non sorprende quindi che sia più diffusa e goda di maggiore consenso durante i periodi di occupazione piuttosto che di indipendenza.

Dagli eventi della “guerra delle croci” ad oggi, la nazione polacca ha continuato a dibattere sul significato di cattolicesimo e identità nazionale. L'etichetta di “ebreo” è tutt'ora utilizzata dall'estremo più a destra dello spettro politico per riferirsi ai suoi opponenti (la maggior parte dei quali sono essi stessi pubblicamente cattolici, riducendo il tutto a una sorta di gara a chi è più cattolico) e i moderati liberali che giunsero al potere nel 2007 ancora sostenevano che la religione cattolica fosse di grande importanza nella vita pubblica, sebbene non confinassero più l'identità nazionale all'interno di un'unica forma religiosa. La religione in senso lato continua a giocare un ruolo sorprendentemente forte, ma la natura e il significato di tale ruolo è fortemente contestato e altamente fluido.